martedì 26 maggio 2009

STORIA DELLA PROPAGANDA ELETTORALE


Qui a fianco una scritta elettorale su una casa di Pompei

All’inizio del Novecento in Italia, più modestamente rispetto a quanto avveniva negli Stati Uniti dove ogni evento elettorale si traduceva in una vera e propria kermesse che coinvolgeva migliaia di cittadini, le campagne elettorali si caratterizzavano soprattutto per il ricorso smodato alle affissioni al punto che a Milano, ad esempio, il Corriere della Sera nel gennaio del 1911 scrisse: “Nell’imminenza della lotta amministrativa furono emanate le solite disposizioni che consentono l’affissione di manifesti su tutti i muri e la vietano nelle tabelle municipali: sarebbe desiderabile che venissero poste delle limitazioni, almeno per quel che riguarda i monumenti e gli edifici degni di rispetto. Se mancano, tuttavia, regole speciali, crediamo si possa vigilare per una disciplinata affissione sì da risparmiare i luoghi che dalla disordinata tappezzeria di carta verrebbero sconciati. L’ammonimento ci viene suggerito anche da qualche lettore che ci scrive nel senso sopra espresso, allarmato, evidentemente, dal fatto che dell’occasione elettorale sogliono profittare coloro che fanno, con manifesti e disegni, delle reclames di cattivo gusto”.

Folcloristicamente, sempre a Milano, in occasione delle elezioni amministrative del 1897 molti cani randagi furono addobbati con cartelli con la scritta “Votate per i socialisti” mentre a Roma i sostenitori di un candidato di sinistra precorrevano i quartieri cantando una canzoncina, un vero e proprio jingle romanesco, i cui versi inneggiavano al loro candidato.

Nella stessa epoca, in Gran Bretagna, la figura preminente delle campagne elettorali era il canvasser, un collaboratore del candidato che, seguendo più o meno le regole di quello che oggi è il multilevel marketing, scandagliava il collegio elettorale andando di casa in casa a raccogliere le opinioni degli elettori, per convincerli a votare per il proprio rappresentato e per trasformarli a loro volta in canvasser. Non casualmente venivano chiamati “agenti” e il loro ruolo era quello di creare sul territorio una rete fittissima di sostenitori.

Imponente era, anche oltremanica, il ricorso a manifesti e cartelli murari che venivano affissi ovunque. In particolare, nei quartieri popolari venivano esposti alle finestre delle abitazioni private e non era insolito che alcune stanze venissero affittate dai candidati per bilanciare – attraverso l’esposizione dei propri striscioni -, una eccessiva presenza, in quella determinata via o piazza, del proprio avversario. Anche in Gran Bretagna, nelle aree rurali, il ricorso ad animali, soprattutto cani, mucche e cavalli addobbati con manifesti elettorali era piuttosto diffuso.

Non inferiore era la fantasia dei candidati francesi ai quali era però vietato di imbrattare i muri delle abitazioni con manifesti la cui affissione poteva avvenire solamente su appositi tavolati – esattamente come accade oggi praticamente in tutta Europa -, predisposti delle municipalità in occasione delle elezioni.

In Grecia, siamo sempre all’inizio del Novecento, i candidati affidavano alla loro fotografia il compito di convincere gli elettori. Si trattava di veri e propri manifesti con il volto del candidato e il suo nome, ma senza alcuno slogan. Le foto, nei formati più diversi, venivano appese ovunque: sui rami più alti degli alberi, sui monumenti, sui fili normalmente utilizzati per stendere la biancheria, alle porte e alle finestre. L’elemento distintivo delle campagne elettorali greche era la parata che le concludeva e che, in qualche modo, può essere comparata alle processioni religiose: una gigantesca fiaccolata in cui venivano portate in trionfo le foto dei candidati e che, nelle intenzioni degli organizzatori, aveva il compito di convincere gli elettori ancora incerti a votare per l’uno o l’altro.