venerdì 26 febbraio 2010

Tajikistan: si rinnova il Parlamento ma non cambia nulla


Domenica 28 febbraio in Tajikistan si vota per il rinnovo del Parlamento (Camera Bassa) e ci sono poche possibilità che venga intaccato il potere del partito al governo, il People’s Democratic Party of Tajikistan (PDPT). Il Paese, uno dei più poveri dell’Asia centrale e che confina per 1.300 chilometri con l’Afghanistan, spera che qualcosa possa accadere per far ripartire l’economia minata, tra l’altro, dalla minaccia dei militanti di al-Qaida. Le elezioni vedono contrapposti i comunisti e il solo partito islamico legale dell’ex sovietica Asia centrale, al potere monolitico del partito al governo. Per gli osservatori è quasi certo che dalle elezioni uscirà rafforzato il presidente in carica Emomali Rakhmon, che guida il paese dal 1992 e che è stato riconfermato per altri 7 anni nel 2006.
Il Presidente è stato più volte accusato di violazioni dei diritti civili, censura della stampa e soppressione dell’opposizione. A oltre dieci anni dalla devastante guerra civile, l’economia del paese non si è ancora ripresa e i maggiori partiti hanno concentrato la loro campagna sui temi della stabilità politica e della rinascita economica. Gli altri temi riguardano l’indipendenza energetica, la fine dell’isolamento geografico, la disponibilità di cibo e, soprattutto (così come accade nella grandissima maggioranza dei paesi ex sovietici), la lotta alla corruzione.
L’economia del Tajikistan sta vivendo, oltre ai contraccolpi della crisi mondiale, quelli derivanti dal crollo della domanda delle principali merci che esporta, l’alluminio e il cotone. In Tajikistan è in vigore un sistema bicamerale che comprende un’Assemblea Suprema (Camera Alta) composta da 34 seggi e l’Assemblea Nazionale (Camera Bassa), che comprende l’Assemblea dei rappresentanti, composta da 63 seggi. I 34 membri della Camera alta vengono eletti con voto indiretto e rimangono in carica 5 anni. Di questi 25 sono selezionati dai deputati locali, 8 nominati dal presidente e uno rimane a disposizione dell’ex presidente. Tutti i membri vengono nominati dal Presidente o da pubblici ufficiali in sua vece. L’Assemblea dei rappresentanti è invece composta da 41 membri eletti a maggioranza assoluta in collegi uninominali e 22 membri eletti in liste chiuse a rappresentanza proporzionale. Nei collegi uninominali il sistema elettorale è a due turni. Il secondo turno elettorale è previsto anche nei collegi dove ha votato meno del 50 per cento degli elettori registrati. I candidati che concorrono con il sistema proporzionale fanno riferimento a un collegio nazionale e la soglia di sbarramento è al 5 per cento.
Il Partito Democratico del Popolo (People’s Democratic Party), che dispone di 52 dei 63 seggi del parlamento, sta promettendo il sostegno alle piccole e medie imprese e l’autonomia energetica proprio mentre è in via completamento il progetto di una centrale di 1.000 MW che dovrà sopperire al fabbisogno interno ed esportare energia in Pakistan e in Afghanistan.
Il partito islamico (Islamic Revival Party) che ha due seggi al parlamento e che è sorto negli anni precedenti al collasso dell’Unione Sovietica, sostiene che arriverà a 10 seggi se non ci saranno dei brogli, cosa di cui il suo leader Muhiddin Kabiri si dice certo.
Il Partito Comunista (Communist Party) l’unica altra forza politica rappresentata in Parlamento con 4 deputati, ha posto in vetta al suo programma elettorale il miglioramento del sistema scolastico e l’aumento di quanti hanno accesso alla sanità pubblica.
Il problema di tutti i partiti è quello di superare l’indifferenza della gente nei confronti di queste elezioni che hanno avuto un irrilevante copertura mediatica.
Sono 221 i candidati in rappresentanza degli 8 partiti registrati e riconosciuti e che si contendono i 63 seggi dell’assemblea dei rappresentanti ( Majlisi Namoyangadon). 22 seggi saranno assegnati sulla base della percentuale dei voti che otterranno i partiti. Il PDPT, il partito del Presidente Imomali Rahmon, si è avvantaggio sugli altri utilizzando a suo favore le testate giornalistiche controllate dallo stato. Le testate indipendenti, d’altro canto, sono state messe a tacere attraverso continue denunce penali. E’ evidente quindi a tutti che il parlamento continuerà a restare in mano a un solo partito e che la presenza di altri partiti sarà vanificata attraverso ingegnerie legislative. Considerate anche le irregolarità che gli osservatori hanno registrato nelle elezioni del 2005, è piuttosto difficile pensare quindi che un vero cambiamento possa avvenire attraverso un processo elettorale. Una ricerca divulgata lo scorso mese dall’International for Elections System (IFES) mostra che la gran parte dei tajikistani non sanno nemmeno quali siano le differenze tra le piattaforme dei diversi partiti mentre, è noto, le diverse posizioni sono essenziali in un contesto in cui un terzo dei seggi è assegnato sulla base dei risultati elettorali piuttosto che dalle campagne individuali. Il sondaggio ha anche evidenziato che il 70 per cento degli elettori non conosce i programmi di alcun partito. Tra quelli che hanno dichiarato di conoscerli il 65 per cento ha fatto riferimento al PDPT, il 16 per cento all’ IRPT e il 10 per cento al Partito Comunista.

La corruzione e i partiti



Il caso del senatore Di Girolamo ma anche quanto documentano tante inchieste della magistratura sulla politica locale chiamano direttamente in causa le modalità di reclutamento della classe politica, al centro e alla periferia (le vicende giudiziarie che coinvolgono, rispettivamente, la Protezione civile ma anche Telecom e Fastweb toccano invece aspetti diversi). Come sempre, quando scoppia una emergenza giudiziaria, e tanto più se ci si trova alla vigilia di qualche importante scadenza elettorale, si invocano e si propongono nuove regole, soprattutto per quanto riguarda la composizione delle liste elettorali. È giusto che i partiti, in questa situazione, si diano delle norme stringenti nella selezione dei candidati. Proporre nuove regole, più o meno moralizzatrici, ha lo scopo di tranquillizzare un’opinione pubblica allarmata e sconcertata. Ma che servano davvero a risolvere, alla radice, il problema della qualità dei reclutamenti dei politici è un altro discorso. Ci sono due aspetti da considerare. Il primo riguarda la natura dei partiti: la loro plasticità e permeabilità. I partiti sono strutture camaleontiche, che si adattano all’ambiente in cui operano, e sono anche, inevitabilmente, condizionati, sia per il reclutamento del personale politico sia per quanto riguarda le influenze che su quel personale sono esercitate dall’esterno, da gruppi, aziende, notabili (ma anche, in certe zone, organizzazioni criminali), che nei diversi territori sono dotati delle maggiori risorse. Ne discende che le battaglie moralizzatrici (anche ammesso, e non concesso, che vengano intraprese con reale convinzione e con reale volontà) tese a bonificare i partiti sono destinate a sicuro fallimento se non si procede prima, o almeno contestualmente, a bonificare l’ambiente.

È inutile, ad esempio, stupirsi delle «infiltrazioni mafiose » nei partiti se parti ampie delle economie dei territori in cui le infiltrazioni avvengono sono in mano alla criminalità. Per bonificare con speranze di successo i partiti bisogna intervenire sull’economia di quei territori. Tramontata l’epoca che alcuni (ma non chi scrive) ritengono gloriosa dei partiti di massa ideologici, i partiti sono ormai quasi esclusivamente comitati elettorali e rimarranno tali. La loro permeabilità all’ambiente resterà, pertanto, elevatissima. E il reclutamento del personale politico continuerà a esserne condizionato. Il secondo aspetto importante riguarda l’opacità delle relazioni fra gruppi di affari e il personale politico. Qui bisogna davvero intendersi. Non si riuscirà mai a dare la trasparenza necessaria alla attività delle lobbies che operano sul piano locale e sul piano nazionale se continueremo a demonizzarle (come la nostra cultura politica ha sempre fatto) anche a prescindere dalla individuazione di specifici e circostanziati reati penali. Le lobbies, in tutte le democrazie, sono una costante. Imporre la trasparenza necessaria per contrastare le attività illecite richiede, come contropartita, la piena accettazione pubblica delle attività lobbistiche. I vescovi hanno levato giustamente la loro voce contro i perversi rapporti fra politica e affari nel Mezzogiorno. Ma è un problema che non si risolve se non ci si fa venire nuove idee su come combattere l’economia parassitaria (l’economia che vive di distribuzione di risorse pubbliche) nel Sud del Paese.

C’è poi il fatto che non bisognerebbe avanzare richieste contraddittorie. È più che lecito, ad esempio, criticare l’attuale legge elettorale perché, fra le altre cose, spezza il rapporto fra l’eletto e il territorio. Ma come si concilia questa critica con la richiesta di usare la ramazza contro i comitati d’affari locali? Se, cambiando legge elettorale, si rinforzano i legami fra eletti e territorio (per esempio, reintroducendo le preferenze) anche i rapporti fra i candidati, gli eletti e gli interessi dei gruppi locali che fanno affari con la politica non possono che rafforzarsi. Chi scrive è sempre stato un fautore del sistema maggioritario con collegi uninominali. Perché mi sembra il sistema elettorale che meglio favorisce la competizione fra opposti schieramenti politici. Ma mentirei se sostenessi che con il collegio uninominale si allenterebbe la dipendenza degli eletti dai gruppi di interesse locali. Probabilmente, quella dipendenza potrebbe solo accrescersi. Il fervore con cui, improvvisamente, si cerca di trovare «nuove regole» è comprensibile. Ma non porterà da nessuna parte senza interventi ben più incisivi e importanti sugli ambienti sociali ed economici in cui i partiti operano. Ad esempio, scordatevi la possibilità di avere nel Sud partiti puliti e lustri se la realtà meridionale, per tante parti, resta quella che è. Anche se una certa, diffusa mentalità legalistico-formalistica porta tanti a non comprenderlo, una nuova «regola», quale che essa sia, per esempio in materia di composizione delle liste, se cade in un ambiente con essa incompatibile, verrà necessariamente aggirata o stravolta. Passata l’emergenza, tutto ricomincerà più o meno come prima.

Angelo Panebianco
26 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA




giovedì 25 febbraio 2010

Nel TOGO la prima candidata donna alla presidenza del Paese


Previste per il 28 febbraio le elezioni presidenziali del TOGO sono state posticipate, a causa di turbolenze politiche all’interno dei partiti sulla scelta dei candidati, al 4 marzo prossimo. Le elezioni si svolgeranno in un turno unico e sarà eletto presidente il candidato che otterrà il maggior numero di voti anche se questi saranno inferiori al 50 per cento. I partiti d’opposizione, e in particolare il leader dell’ Unione delle Forze per il Cambiamento (UFC) Gilchrist Olimpo, hanno duramente contestato il turno unico così come hanno chiesto che venisse ridotta la somma di denaro che i candidati devono depositare all’atto della presentazione della loro candidatura e che fossero riviste le liste elettorali. Olimpo, che è stato escluso dalla competizione elettorale dopo il controllo medico previsto dalla costituzione, dubita che le elezioni possano svolgersi in maniera corretta e ritiene che le leggi varate dal padre dell’attuale presidente siano tali da impedire una qualsivoglia alternanza. Dal canto suo il Presidente uscente Gnassingbè è stato accusato, tra l’altro, di aver fatto campagna elettorale al di fuori dei tempi previsti. Se ogni elezione di questo paese africano è accompagnata da scambi d’accuse tra maggioranza ed opposizione al punto da imporre continui cambiamenti di data, la grande novità di questo turno presidenziale è la presenza, tra i candidati, di una donna. Si tratta di Brigitte Kafui Adjamagbo-Johnson, capo della Convenzione democratica dei popoli africani che si è astenuta, con altri due candidati d’opposizione, dal far campagna elettorale. Questo gesto è stato motivato come una protesta a fronte della paura che il risultato elettorale venga alterato. Per Adjamagdo-Johnson, 52 anni e laureata in legge, il Togo è pronto ad avere come presidente una donna. Con una vasta esperienza politica - è stata anche a capo di un ministero - è soprannominata, come lo fu la Teacher, “Iron Lady”. La Commissione elettorale indipendente (CENI) ha accolto positivamente la candidatura della Adjamagdo-Johnson che ha sei avversari, tutti uomini. Come sempre accade, a ogni latitudine, non tutte le donne impegnate in politica nel Togo hanno appoggiato la sua candidatura. Tra queste Ameganvi Isabelle, avvocato e membro dell’UFC che ha dichiarato di voler sostenere il candidato ufficiale del suo partito Jean Pierre Fabre invitando anche le altre donne del paese a farlo. Fabre, dal canto suo, sta sostenendo che la valorizzazione della donna è uno dei suoi obiettivi e che non si possono compiere delle scelte politiche tenendo conto solo del genere. Adjamagbo-Johnson è una forte sostenitrice dei diritti delle donne ed è impegnata in molteplici associazioni africane impegnate nello sviluppo e nella difesa delle donne.
Il Togo ha una popolazione di oltre 5 milioni e mezzo di abitanti di cui il 52 per cento sono donne. Attualmente ci sono 4 donne al governo e 9 al Parlamento dove sono decisamente sotto rappresentate. La candidata alla presidenza non si sta battendo solo per la tutela delle donne che ancora oggi muoiono speso di parto, ma anche per migliorare le condizioni di vita delle famiglie per molte delle quali mangiare tre volte al giorno è diventato un lusso. Ciò che sta promettendo è “democrazia, pane e lavoro per tutti” utilizzando lo slogan di Obama “Yes We Can”. L'economia del paese è in totale recessione, le risorse naturali sono in via di esaurimento e l'unica attività economica che funzioni è quella legata al porto della capitale. La percentuale di malati di Aids o sieropositivi è altissima e si verifica ancora la tratta dei bambini.
Migliaia di giovani dell’opposizione si sono organizzati nel movimento Cittadini per l’alternanza, con lo slogan “Cambiamento o morte, vinceremo”, che è considerato dalla maggioranza come un pericoloso elemento di destabilizzazione e portatore di violenza. In più parti del paese il movimento si è scontrato con le forze dell’ordine da quando è iniziata la campagna elettorale.
Il presidente in carica Faure Gnassignbe Eyadema corre per il secondo mandato dopo aver preso, nel 2005, il posto del padre che aveva guidato il Togo per 38 anni in un regime di dittatura. Era arrivato alla guida del paese prima attraverso un colpo di stato delle forze armate e, solo in un secondo momentom tramite le elezioni La sua elezione era stata seguita dall’accusa di brogli e da scontri che avevano portato alla morte ufficiale di 400 persone anche se molti sostengono che siano state più di 1000. Le Nazioni Unite avevano dichiarato che, a quel tempo, almeno 40 mila tongolesi si erano rifugiati in Ghana e nel Benim. L’Unione africana e la Comunità economica dei paesi africani dell’ovest hanno inviato degli osservatori che monitoreranno l’attività delle forze dell’ordine mentre il Presidente Gnassingbe ha dichiarato che non sarà tollerata alcuna forma di violenza e ha duramente disapprovato l’utilizzo dello slogan “cambiamento o morte”. Dal canto suo l’opposizione insiste nel dire che le elezioni saranno una farsa ma non hanno trovato, a una settimana dal voto, un accordo riguardo alle forze che dovranno sostenere l’avversario del presidente in carica che quindi si trova di fronte cinque avversari che procedono in ordine sparso (e in questo caso la mancanza di un secondo turno può essere per loro fatale).

mercoledì 24 febbraio 2010

venerdì 19 febbraio 2010

Referendum costituzionale nella più piccola repubblica del mondo


In Oceania, al largo delle coste della Nuova Guinea, c’è la minuscola isola di Nauru che è la Repubblica più piccola al mondo con poco più di 14 mila abitanti. Sabato 27 febbraio i cittadini che hanno compiuto 20 anni saranno chiamati a esprimersi su un referendum costituzionale per la ratifica di numerosi emendamenti tra cui l’elezione diretta del Presidente, l’educazione dei cittadini sui temi della Costituzione e la creazione di un organo statale in grado di assumere il ruolo di Governo nelle diverse emergenze. I quesiti referendari, per essere approvati, richiedono una maggioranza di due terzi dei voti espressi. Il Capo di Stato e capo del Governo in carica è Marcus Stephen. Il sistema parlamentare è unicamerale con un’assemblea di 18 seggi. Il paese è suddiviso in 14 distretti amministrativi raggruppati in 8 collegi elettorali. La situazione politica del Paese, che ha conquistato l’indipendenza dall’Australia (di cui era un protettorato) nel 1968, dopo anni di stabilità sta conoscendo una certa turbolenza causata anche dalla non facile situazione economica determinatasi con l’esaurimento del fosfato che rappresentava la maggior ricchezza dell’isola che, tra l’altro, ha una scarsissima vegetazione. Sull'isola erano stati istituiti, per conto dell'Australia, del centri di accoglienza per emigrati clandestini che avevano suscitato aspre polemiche. Proprio in questi giorni il presidente Marcus Stephen ha superato la crisi determinata dal voto di sfiducia da parte del Parlamento e dall’accusa di aver fatto ricorso alla polizia per impedire ai membri dell’opposizione di entrare nell’edificio. Un parlamentare dell’opposizione ha dichiarato alla radio australiana che un cordone di polizia era stato predisposto per impedire ai sui colleghi di raggiungere i loro banchi. Per tutta risposta il presidente Stephen ha dichiarato che la polizia presente non era più numerosa del solito e comunque di aver superato il voto di sfiducia.

Nel Paese, che è l’unico al mondo dove non esiste una capitale, sino a poco tempo fa le notizie venivano veicolate attraverso dei messaggi scritti sulle pareti delle piazze. Da non più di due anni, grazie ai fondi e al know how dei vicini (4400 miglia!) australiani (5 ore di volo da Brisbane) il paese si è dotato di un primo sistema di comunicazioni di massa attraverso la creazione di una televisione, di una stazione radio e di un giornale. Complessivamente sul questo progetto, coordinato dall’ex produttore della ABC Rod Henshaw che è il direttore ad interim della comunicazione del Governo, sono stati investiti 450 mila dollari. Prima che Henshaw cominciasse a lavorare, nove anni fa, per il governo di Nauru, i fogli informativi che venivano distribuiti erano dei bollettini istituzionali, la radio era una sorta di jukebox e non esistevano telecamere.

Ora le notizie ufficiali vengono distribuite attraverso dei centri d’informazione disseminati sul territorio. La stazione televisiva tratta temi locali e grazie a un nuovo trasmettitore si possono seguire le tramissioni su tutta l’isola. Il 24 febbraio prossimo sarà distribuita la prima copia di un quotidiano che sarà stampato in 2 mila copie e venduto a 50 centesimi

giovedì 18 febbraio 2010

Che cos'è il Tea Party che sta preoccupando sia i democratici sia i repubblicani





Here's one thing about the Tea Party movement everyone can agree on: It's confusing. With decentralization as a core value, the Tea Party phenomenon can seem like a baffling collection of individuals and organizations, often divided against each other. But with its first national convention now underway in Nashville, and as Tea Party groups gear up for campaigns around the country, it's time we met the movement's main players. Herewith, a handy guide.

KEY DATES IN THE MOVEMENT

February 19, 2009 – Rick Santelli of CNBC goes on a rant against homeowner mortgage bailouts, calling for a “Chicago Tea Party” to protest big government intervention in the economy.

February 27 – Dozens of “Tea Party” protests occur across the country. In Washington D.C. the event coincides with the mainstream Conservative Political Action Conference.

April 15 – Announced by Top Conservatives on Twitter, fanned by conservative blogs, and coordinated by the new website TaxDayTeaParty.com, protests occur in 300 cities—to great fanfare on FOX.

July 4 – Another day of protest garners less coverage than the tax day events, but keeps momentum moving.

September 12 – Coordinated by FreedomWorks and heavily promoted by Glenn Beck’s 9/12 Project, tens of thousands of protesters converge on Washington D.C.

January 7, 2010 – RNC chairman Michael Steele tells a St. Louis radio station, “I’m a tea partier, I’m a town haller, I’m a grass-rootser.”

January 19 – Scott Brown defeats Martha Coakley in the Massachusetts senate special election, with help from an influx of tea party volunteers and donations.

February 4-6 – National Tea Party Convention takes place in Nashville, headlined by Sarah Palin.

KEY FIGURES IN THE MOVEMENT (ALPHABETICAL)

Dick Armey – The former House Republican conference leader heads up FreedomWorks, a platform that he uses to school Republican party brass in how to appeal to the tea party base. In August, he was asked to resign his lobbying position at DLA Piper, which had been pushing health care reform while Armey’s group battled against it.

Glenn Beck - The FOX talker is perhaps the tea party movement’s most prominent and beloved media figure, having orchestrated the September 12 protest in Washington D.C. He has been skeptical of the Nashville convention, however, and will be headlining this year’s CPAC instead.

Keli Carender (a.k.a. Liberty Belle) – The Seattle-area hipster teacher with a theatrical streak organized the first anti-stimulus protest on February 16, 2009. Carender gained a large following with her energetic blogging and leads the Washington state tea party group, which organizes around issues from highways to health care. She was scheduled to speak at the Nashville convention, but the controversy prompted her to cancel yesterday.

Erick Erickson – As the editor-in-chief of RedState.com, an influential right-wing blog, Erickson has decried what he sees as the insufficient conservatism of Republican lawmakers and has championed tea party candidates like Doug Hoffman in NY-23. In early January, Erickson called out Judson Phillips’s National Tea Party Convention for seeming “scammy.”

Amy Kremer – Kremer, who blogs at Southern Belle Politics, was a leader in Tea Party Patriots until the group’s board filed suit against her in November 2009 for seizing control of parts of their website and email database. The episode, which the press played as a bitter internecine battle, brought the movement to one of its most fragile points. Kremer still leads the Atlanta Tea Party.

Michael Patrick Leahy – After a career in management consulting and media strategy, Leahy founded Top Conservatives on Twitter, a community of right-wing early adopters who tweet with the hashtag #TCOT. He was active in organizing the first tea parties, and self-published Rules for Conservative Radicals, an adaptation of Saul Alinsky’s seminal text. Leahy, based in Nashville, is now affiliated with the National Tea Party Coalition.

Michelle Malkin – The prolific blogger, author, and Fox News commentator has been on board with the tea party movement from the beginning.

Jenny Beth Martin – A computer programmer by training, Martin became a full-time blogger and Republican activist in the early 2000s. After her family went bankrupt in the midst of the recession—a tale chronicled through her role in Tea Party: The Documentary Film—she helped found Tea Party Patriots and became director of political operations at Smart Girl Politics.

John O’Hara and J.P. Freire – In February 2009, John O’Hara, a twenty-something staffer at the Chicago-based Heartland Foundation, and J. P. Freire, a writer with the American Spectator, organized an anti-bailout protest in front of the White House and several simultaneous ones around the country. Though both still comment frequently in the media, the two young activists have since stepped back from the vanguard of the movement—O’Hara recently released a book on the tea parties, and Freire holds forth from the Washington Examiner.

Eric Odom – The Chicago-based libertarian online activist, through his firm Strategic Activism LLC, is the man behind TaxDayTeaParty.com, the American Liberty Alliance, and the anti-incumbent Liberty First PAC, which is in the process of endorsing and funneling money towards tea party-minded candidates around the country. Along with Patrick Ruffini, Odom also organized the DontGO movement, which urged Republican legislators to keep the House in session through the 2008 summer recess, and was the most prominent tea party figure to make The Telegraph’s list of America’s top 100 conservatives.

Judson and Sherry Phillips – Nashville personal injury attorney Judson Phillips and his wife Sherry are the masterminds behind this weekend’s National Tea Party Convention. Judson, a former district attorney and 2002 GOP candidate for his county’s board of commissioners, has a troubled financial past. According to disaffected former volunteers, the Phillipses always hoped to make a profit from the pricey convention, and eventually drove all dissenting voices out of the planning effort.

Ned Ryun – The son of former Kansas congressman Jim Ryun and a one-time “presidential writer” for George W. Bush—which is one way to describe having worked in the Office of Correspondence—Ned Ryun is the founder of American Majority. Ryun also records podcasts on the history of the Constitutional Convention, and directs the Madison Project, a PAC that raises money for conservative candidates.

Howard Kaloogian – This former member of the California House of Representatives is now the chairman of Our Country Deserves Better, the PAC behind Tea Party Express. After leading the recall of Gray Davis, he launched unsuccessful runs for the U.S. Senate in 2004 and the House in 2006.

KEY TEA PARTY ORGANIZATIONS (IN THEIR APPROXIMATE ORDER OF IMPORTANCE)

1) Tea Party Patriots – Calling itself the “official grassroots American movement,” Tea Party Patriots was one of the first online networks that allowed tea party groups around the country to have a web presence and connect with each other. It now claims 15 million contacts and 1,000 local organizations, and while cautiously disavowing any attempt to control its member groups, is often seen as the movement headquarters.

2) Tea Party Express – The 9/12 protest in Washington was heralded by a highly-publicized caravan of buses that wound its way across the country, holding 34 rallies along the way. The organizer, Tea Party Express, will kick off its next big trip in Harry Reid’s hometown of Searchlight, Nevada, and arrive in Boston on April 14. Tea Party Express is funded by Our Country Deserves Better PAC, which runs campaigns ranging from defeating Harry Reid to demanding that Rahm Emanuel resign for his role in “stealing” the Senate seat President Obama vacated. Tea Party Patriots repudiated the group in October for its GOP-centric leadership as well as the PAC’s support of Republican candidates.

3) Tea Party Nation – In early 2009, Judson Phillips and his wife Sherry started Tea Party Nation, now a complex social networking site with nearly 13,000 members, and quickly began using it to organize a national tea party convention the following year. Phillips secured a $50,000 loan from a local baseball card mogul to pay Sarah Palin’s speaking fee, and promised to turn TPN into a non-profit and contribute any extra proceeds to tea party-favored political candidates. But in November, he hadn’t, and volunteers objecting to the couple’s autocratic methods (as well as “liberal trolls”) were kicked off the site.

4) 9-12 Project – With the slogan “We Surround Them,” Glenn Beck launched the 9-12 Project—based around nine principles and 12 values—to bring the burgeoning tea party movement to Washington D.C. on September 12, 2009. The next plan is 8/28 —a rally at the Lincoln Memorial on August 28, 2010.

5) American Liberty Alliance – Influential libertarian activist Eric Odom started the for-profit ALA as an umbrella group to help coordinate free market efforts. Its projects include an anti-healthcare reform site called Healthcare Horserace, the conservative news site 73wire.com, and the Patriot Caucus, a proposed new representative body that will “facilitate an environment of mass collaboration and communication within the liberty movement.” The ALA was the first major sponsor to back out of the Nashville convention, though Odom has been careful to avoid speaking ill of the organizers or participants.

6) National Precinct Alliance – With business slow in mid-2009, commercial mortgage banker Phillip Glass started researching the office of local precinct committee chair, a position he believes is especially important in the outcome of primary elections. The little-known office often sits vacant—so Glass, who says his only political ideology is adherence to the “Charters of Freedom,” organized a 50-state effort to recruit and train candidates, with the goal of reforming the Republican Party from the bottom up. The NPA followed the American Liberty Alliance in backing out of the Nashville convention, and then announced a “strategic alliance” with Eric Odom’s Tax Day Tea Party, which Glass says amounts to an endorsement by Odom’s group of the precinct organizing approach.

7) Regional groups – Much of the tea party movement’s activity happens on the state and local level, organizing around issues at all levels of government. Dallas, St. Louis, Atlanta, and many cities have particularly active groups that are endorsing candidates and becoming a force in local politics.

8) Smart Girl Politics – After the 2008 election, former Toys “R” Us H.R. director Stacy Mott started an online community for conservative women aimed towards increasing female participation in politics. Now with 25,000 members, Smart Girl Politics avoids specific issues, but may move towards forming a PAC and becoming the conservative equivalent of EMILY’s List.

9) Nationwide Tea Party Coalition – The NTPC, administered by Michael Patrick Leahy, played a role in organizing the early tea party protests and continued as a loose alliance of tea party leaders that is putting on a series of local leadership summits around the country to train organizers.

ESTABLISHMENT CONSERVATIVE ORGANIZATIONS RELEVANT TO THE TEA PARTY MOVEMENT (NO ORDER)

FreedomWorks and Americans for Prosperity – The two groups, which formed when the anti-tax Citizens for a Sound Economy split in 2004, have arranged logistical support for tea parties from the beginning. While it takes care to avoid the appearance of directing the movement, FreedomWorks has been heavily involved with its development, prompting charges of “astroturfing.” FreedomWorks arranged permits for the protests on February 27 and September 12, distributed how-to guides and talking points for health care town halls in August, and serves as a connection between beltway conservatives and the grassroots. AFP has more field staff on the state level, and gets involved in local campaigns.

American Conservative Union – The more mainstream, establishment ACU has been reserved in its endorsement of the tea party movement. Sarah Palin declined to speak at the ACU-sponsored Conservative Political Action Conference, citing an embarrassing attempt by ACU leader David Keene to extract donations out of UPS and FedEx.

Leadership Institute – Morton Blackwell’s group has been training conservative activists since its founding in 1979, with a special focus on college campuses—Landrieu phone tapper James O’Keefe got his start at an LI-funded campus magazine. The Institute, along with Phyllis Schlafly’s Eagle Forum, Judicial Watch, Rick Scarborough’s Vision America, and the National Taxpayers Union, is one of the Tea Party Nation convention’s last remaining sponsors.

Sam Adams Alliance – Many online conservative projects can be traced back to this Chicago-based non-profit, including the Sammies awards for anti-big-government video projects, the conservative blog hub Blogivists, and the transparency watchdog Sunshine Review. Eric Odom spent time as the group’s media director before launching taxdayteaparty.com.

American Majority – Ned Ryun started American Majority at the beginning of 2008 with seed money from the Sam Adams Alliance to train conservative activists. With a $1.8 million budget in 2009, American Majority ran 150 sessions and started www.aftertheteaparty.com to draw tea party types into its programs. American Majority pulled its support of the National Tea Party Convention in mid-January; the Phillipses were reportedly perturbed that Ryun failed to promote the convention during a 5-minute spot on Fox News, and American Majority backed out after it learned that the Leadership Institute would be leading sessions as well.

Lydia DePillis is a reporter-researcher for The New Republic.

mercoledì 17 febbraio 2010

VERSO LE REGIONALI / Pdl: è invasione del campo Pd



di Andrea Romano / Il Sole 24 Ore

Se il ministro degli Interni Maroni sconfessa le pulsioni emergenziali che sono venute dalla sua stessa parte politica dopo i fatti di via Padova, se il ministro dell'Agricoltura Zaia apre un conflitto con il Consiglio di stato in nome della lotta al mais transgenico, se ben sei tra governatori e candidati governatori del centro-destra si battono "senza se e senza ma" contro il ritorno al nucleare, tutto questo non ha a che fare soltanto con la vigilia delle elezioni regionali. È la destra che veste anche i panni della sinistra, giocando due parti in commedia e riassumendo al proprio interno gran parte della dialettica politica nazionale.

D'altra parte può capitare che un partito o una coalizione siano talmente forti da ospitare dentro i propri confini un ventaglio molto ampio di posizioni politiche, grazie anche alla debolezza degli avversari. È quanto accadeva, tra l'altro, alla Dc nei suoi tempi migliori. Quando tra la destra e la sinistra democristiana correva una distanza risolta solo in parte dal carisma della leadership o dalla negoziazione interna di partite governative. Eppure quello che sta accadendo alla coalizione di governo non sembra avere molto in comune con l'esempio della Dc. Perché sui temi degli Ogm, dell'immigrazione e soprattutto del nucleare - per citare solo tre punti dell'agenda politica - le diverse anime del centro-destra hanno rivelato una divaricazione che si fatica a interpretare come un punto di forza.

È pur vero che la debolezza del Pd ha raggiunto livelli tali da lasciare un vuoto che non può che essere colmato anche per questa via. Risolta con grande fatica e molte cicatrici la vicenda delle candidature regionali, il Pd di Bersani sembra avere smarrito la voce dinanzi ai fatti di questi giorni. Il caso Bertolaso è stato naturalmente accompagnato dalla richiesta di dimissioni del capo della Protezione civile. Gli scontri di via Padova sono stati l'occasione per denunciare il fallimento delle politiche di integrazione dell'amministrazione milanese. Ma la gran parte delle energie propriamente politiche del Pd continua a essere dilapidata in una partita giocata interamente nella propria metà campo. Che è poi la stessa partita che si prolunga da tempo senza alcuna novità e senza più appassionare nessuno tra coloro che per ragioni di militanza o sopravvivenza non siano particolarmente affezionati alle vicende interne di quel partito.
Si prendano ad esempio le ultime dichiarazioni di Walter Veltroni, raccolte sabato scorso nell'intervista ad Aldo Cazzullo del Corriere della Sera. Ancora una volta l'annuncio di non nutrire «alcuna ambizione personale», ancora una volta la rivendicazione di una «atipicità personale» animata da «un rapporto febbrile con la politica ma non di febbre per il potere», ancora una volta «la politica come vocazione e non come mestiere». Eppure questo saggio tardivo di mimetica veltroniana, nel quale sono tornati ad affacciarsi persino Bob Kennedy ed Enrico Berlinguer come se ancora ci trovassimo nei primi anni Novanta, non ha prodotto alcuna reazione di peso. Bersani ha liquidato l'ex segretario come "una risorsa" e per il resto silenzio, da sponde sia amiche che nemiche. Il silenzio che ha accompagnato l'uscita di Paola Binetti e la progressiva diserzione degli esponenti cattolici dal Pd. Lo stesso silenzio con cui la principale forza di opposizione si prepara a ricevere il verdetto del voto regionale con molti timori per la propria tenuta strutturale.

Eppure per il centro-destra non sono tutte belle notizie, perché il mutismo del Pd lascia libero il Pdl di rivelare la fragilità della sua aspirazione a essere un partito autenticamente nazionale. Un partito che sia quindi capace di tenere insieme posizioni anche molto distanti e di riassumere sotto un unico tetto quelle che appaiono come le prime manifestazioni di una possibile frantumazione post-berlusconiana. E al di là dell'assunzione di temi di sinistra nell'armamentario politico di settori del Pdl, l'opposizione dei governatori di centro-destra al ritorno al nucleare è qualcosa di più grave di un'ordinaria manifestazione della celebre sindrome Nimby. C'è anche l'incapacità di quel partito (e di una leadership dall'apparenza tanto carismatica) a far valere il peso di una legittima scelta di politica energetica presso i terminali più forti della rappresentanza popolare, quali sono oggi le presidenze di regione. Perché se per i cittadini di una nazione il cortile di casa è il paese intero, per una forza politica che voglia essere partito nazionale le opzioni strategiche come quelle energetiche sono un campo di prova che non può essere fallito. A meno di non volersi preparare, prima o poi, alla moltiplicazione dei cortili politici come metodo di sopravvivenza di un'intera classe dirigente.
17 febbraio 2010

domenica 14 febbraio 2010

SAO TOME E PRINCIPE ELEGGE L'ASSEMBLEA NAZIONALE

La repubblica democratica di Sao Tome e Principe si sviluppa su un arcipelago, le cui isole maggiori sono Do Prince e Sao Tomè, al largo del Gabon nell’Africa equatoriale. E’ una repubblica dal 1975 quando si è resa indipendente dal Portogallo. I principali partiti sono Movement for the Liberation of Sao Tome and Principe (MLSTP), Party of Democratic Convergence (PCD), Independent Democratic Action (ADI), Democratic Movement Force of Change (MDFM), Christian Democratic Front-Socialist Union Party (FDC-PSU), Santomean Workers Party (PTS); Popular Party of Progress (PPP), National Union for Democracy and Progress (UNDP), Democratic Coalition of the Opposition (CODO).

Il 21 febbraio si terranno le elezioni politiche. Amministrativamente il Paese è diviso in sette distretti municipali, sei a Sao Tome e uno a Principe. Il sistema di rappresentanza è unicamerale con l’Assemblea nazionale composta da 55 membri che rimangono in carica 4 anni e vengono eletti in collegi con sistema proporzionale. Il presidente della repubblica viene eletto a suffragio universale per 5 anni e non può restare in carica per più di due mandati. I candidati sono scelti nei congressi nazionali dei rispettivi partiti o possono correre individualmente. Il candidato presidente per essere eletto deve ottenere la maggioranza assoluta dei voti popolari nel primo o nel secondo turno elettorale. Il partito che ottiene la maggioranza nella legislatura nomina il Primo Ministro, nomina che deve essere ratificata dal Presidente. Il Primo ministro designa i membri del governo. L’attuale presidente della Repubblica è Fradique Bandeira Melo de Menezes mentre il Primo Ministro è Joaquin Rafael Branco. Gli elettori iscritti sono oltre 90 mila


Anguilla: 8.000 elettori al voto

Lunedì 15 febbraio ad Anguilla, protettorato inglese nel mar dei Caraibi, sarà vietata la vendita di alcol per tutta la durata delle operazioni di voto (dalle 6 alle 19) che porteranno al rinnovo dell’Assemblea parlamentare. Il sistema di rappresentanza e di governo di Anguilla è il cosiddetto sistema Westminster sviluppatosi in Gran Bretagna per un periodo di quasi 900 anni. Durante l’Impero inglese era stato trasferito in tutti i paesi governati dagli inglesi e oggi continua ad essere applicato nei paesi del Commonwealth che si sono dati la forma di repubblica e dove la Regina è stata sostituita da un Presidente. La popolazione elegge i propri rappresentanti in parlamento che, a loro volta, designano l’esecutivo. Dopo che il “supervisore elettorale” ha dichiarato quale partito ha ottenuto la maggioranza dei voti in Parlamento, il leader di quel partito può diventare il prossimo primo ministro. Il leader del partito vincitore si reca dal governatore che ha il controllo del parlamento e che lo dichiara Primo ministro. Il primo ministro designa i membri del gabinetto tra i membri del parlamento. In Gran Bretagna, dove non esiste a tutt’oggi una Costituzione scritta, il sistema Westminster viene da taluni definito come una dittatura del Primo ministro.
Il sistema di rappresentanza di Anguilla è unicamerale con l’House of Assembly composta da 11 seggi. Primo ministro è Osborn FLEMING del partito Anguilla United Front (AUF). Governatore è Alistair HARRISON in rappresentanza della regina Elisabetta. Il Primo Ministro Fleming e altri due membri del partito in carica Anguilla United Front (AUF) non si sono candidati e il loro partito sarà sfidato dall’Anguilla United Movement e dal Anguilla Progressive Party. Degli 11 membri dell’Assemblea 7 sono eletti in altrettanti collegi uninominali e restano in carica per 5 anni. I candidati ai 7 seggi sono 21 e saranno votati da poco più di 8 mila elettori. Questi i candidati:


District 1: Island Harbour

Terry T. Harrigan (Independent) Kennedy W. Hodge (Independent) Othlyn Vanterpool (AUF) Palmavon Webster (APP) Samuel E. Webster (AUM)

District 2: Sandy Hill Cora Richardson-Hodge (AUF) Jerome Roberts (APP)

District 3: Valley North Sutcliffe Hodge (Independent) Evans M. Rogers (AUF)

District 4: Valley South Victor Banks (AUF) Evan Gumbs (AUM)

District 5: Road North Edison Baird (AUM) Fabian Arrindel Lewis (APP) Delsic Rey (AUF)

District 6: Road South Brent Davis (APP) Hubert Hughes (AUM) Curtis A. Richardson (AUF)

District 7: West End Wilmoth O. Hodge (APP) Kenswick Richardson (AUF) Walcott Richardson (AUM)

In ogni seggio elettorale sarà presente un Presidente che sarà assistito da un segretario. I candidati possono nominare un loro rappresentante per seguire le operazioni di voto e lo possono fare essi stessi. Potranno votare solamente coloro che si sono iscritti alle liste elettorali entro il 6 novembre scorso nei rispettivi collegi (district) e i cui nomi sono stati inseriti nel registro degli elettori reso pubblico il 31 dicembre scorso. Sarà consentito votare solamente facendo una X sul nome del candidato prescelto utilizzando esclusivamente le matite che si trovano all’interno della cabina elettorale, ogni altro segno non sarà considerato e comporterà l’annullamento del voto. Durante l’apertura dei seggi non sono consentiti assembramenti di persone a meno di 100 yeards dal seggio e saranno controllate le code di persone affinchè nessuno tenti di avvicinarsi e cercare di convincere gli elettori di una determinata scelta politica. Lo scrutinio inizierà alle 20 e potrà essere seguito in diretta alla radio e alla televisione.

martedì 9 febbraio 2010

Tajikistan: il Paese dove non c'è campagna elettorale


In Tajikistan, si avvicina la data delle elezioni parlamentari fissate per il 28 febbraio e il clima si sta facendo sempre più acceso con la stampa che sostiene di essere accerchiata nel tentativo di essere messa sotto controllo dal governo.
La struttura della Repubblica asiatica, il cui presidente è Emomali RAHMON e Primo ministro Oqil OQILOV, è di tipo bicamerale con l’Assemblea Nazionale composta da 34 seggi e l’Assemblea dei Rappresentanti da 63 seggi. Il presidente viene eletto direttamente con un mandato di 7 anni e può essere rieletto una sola volta. I 34 membri dell’Assemblea Nazionale sono eletti con voto indiretto per un mandato di 5 anni; 25 di questi vengono scelti dai delegati locali, 8 su designazione del presidente mentre 1 seggio è riservato all’ex presidente. Tutti i membri sono designati dal Presidente o dai suoi rappresentanti. Dell’ Assemblea dei Rappresentanti 41 membri vengono eletti a maggioranza assoluta in collegi uninominali e 22 sono eletti in liste bloccate con rappresentanza proporzionale. I componenti delle due assemblee rimangono in carica 5 anni. Nel collegio uninominale il sistema elettorale è a due turni.
Il Partito Democratico del Popolo del Tajikistan (PDPT) a cui appartiene il Presidente Rahmom, si aspetta un’ampia vittoria nonostante, come ho detto, prevalga il sospetto che sia in atto un giro di vite sulla libertà di stampa. Nel Paese non esistono quotidiani e i settimanali indipendenti rischiano di vedersi tagliare i fondi o di dover pagare i danni così come è accaduto recentemente al settimanale Paykon dopo un servizio sulla corruzione. Altri tre settimanali indipendenti, sempre a seguito di articoli relativi la corruzione pubblica, sono stati condannati a pagare 1.2 milioni di dollari per danni morali e a sospendere le pubblicazioni sino alla data del processo. I partiti d’opposizione sono alla deriva e hanno pochissime possibilità di affrontare seriamente la sfida con il partito al governo (PDPT). Muhiddin Kabir, capo del partito d’opposizione della Rinascita Islamica ha dichiarato che i governo evita di affrontare i più importanti problemi sociali come la corruzione e l’inefficienza delle agenzie governative così come è dimostrato dall’aumento delle cause legali contro i giornali che si occupano di questi temi. Non solo. In Tajikistan per accedere ai documenti ufficiali i giornalisti sono costretti a pagare 10 cents per pagina e su questo argomento è in corso un ampio dibattito tra i rappresentanti della stampa e gli organi governativi che insistono sul fatto che la libertà di stampa non è intaccata.
Il clima elettorale non raggiunge però la popolazione che, nella stragrande maggioranza, si è rassegnata al fatto che niente può cambiare, nemmeno attraverso il voto che per anni è stato gestito con sistema sovietico. Privo di risorse naturali, situato in un angolo remoto dell’Asia Centrale, il Tajikistan è il paese più povero dell’ex Unione Sovietica e non ha nessun ruolo negli affari internazionali. Le elezioni che si sono svolte sino ad oggi non sono mai state definite, dagli organi internazionali di controllo, democratiche. Nonostante ciò l’Occidente guarda con interesse a questo paese che confina in parte con l’Afghanistan e che vorrebbe aprire una nuova rotta per le forze della Nato che combattono i Talebani. I numerosi civili e le truppe straniere uccise nello scorso anno in Afghanistan hanno rinnovato l’interesse verso questo paese che, tra l’altro, compete con le principali vie del traffico della droga tra l’Afghanistan e l’Europa. Gli alleati del presidente Rakhmon sono certi di conquistare il maggior numero dei seggi della Camera bassa. Nel paese non ci sono segni di campagna elettorale e solamente alcuni manifesti sono stati affissi nelle strade principali della capitale Dushanbe, una città dall’architettura sovietica che contrasta con le periferie dove le case sono baracche con i tetti di fango. Il partito d’opposizione Islamic Revival ha solamente due seggi mentre il partito del presidente e quello filocomunista e filogovernativo controlla i restanti. Come durante il regime sovietico la gente è convinta di non poter cambiare nulla e si meraviglia quando legge che, pur non avendo votato e non conoscendo persone che l’hanno fatto, legge sui giornali di un’affluenza alle urne del 90 per cento.
Il Governo ha segnalato, lo scorso anno, il ripetersi di numerosi scontri armati tra le organizzazioni criminali vicino alla frontiera afgana e ammesso che nel sud del paese aumentano le minacce estremistiche e ha condannato le violenze dei talebani. Rakhmon, che ha comandato dal 1992 al 1997, le forze filosovietiche nella devastante guerra civile contro un’alleanza di islamici e liberaldemocratici, è certamente preoccupato. Ha stretto i rapporti con l’Iran, con il quale i Tajiks condividono la lingua persiana, così come con la Cina e la Russia, tradizionale alleato che ospita milioni di lavoratori emigranti provenienti dal Tajik.
Nello scorso mese di Settembre i leaders dell’opposizione hanno tentato un colpo di mano per annullare la “tassa di registrazione” che deve essere pagata da tutti coloro che concorrono a una carica parlamentare. Il contributo è di 1,600 dollari, una cifra esorbitante per un paese dove la retribuzione media mensile è di 60 dollari. Lo scorso Novembre invece il governo ha bloccato un tentativo dell’opposizione di spostare le elezioni ad Aprile. Il Segretario della Commissione elettorale Centrale (CED) Muhibullo Dodojonov ha invitato le organizzazioni internazionali a contribuire a creare un clima sereno in prossimità delle elezioni in un paese con un’economia debole aggravata dalla crisi internazionale dove le elezioni rischiano di essere una riedizione di quelle del passato. Pare che questo appello non sia stato raccolto anche perché, si dice, non avrebbe senso investire risorse in un paese in cui il risultato elettorale è predeterminato. Sempre nell’ambiente diplomatico corre voce che, dato l’aggravarsi la situazione della sicurezza in Afghanistan, è preferibile nell’Asia centrale mantenere lo status quo piuttosto che perseguire la democrazia.

PER SAPERNE DI PIU'

lunedì 8 febbraio 2010

venerdì 5 febbraio 2010

Ucraina, folla in affitto per i comizi

Le comparse possono anche essere pagate per contestare gli avversari

Finti sostenitori in piazza mobilitati da una società privata in occasione di raduni politici




MILANO - Il rischio che al proprio comizio si presentino pochi sostenitori è una paura sempre presente, in fondo al cuore, anche nel più navigato dei candidati. I politici ucraini però l’hanno brillantemente superata. Per evitare di avere brutte sorprese possono infatti usufruire dei servizi di Easy Work, piccola società specializzata nell’affittare folle per rimpolpare assembramenti e raduni di piazza.

COME FUNZIONA - Creata da uno sviluppatore web di 21 anni, Vladimir Bokio, l’azienda attinge a un archivio di migliaia di studenti e pensionati di Kiev, che possono essere mobilitati nel giro di un giorno. Una volta indirizzati nel luogo desiderato, le comparse si comporteranno come fervidi sostenitori, esultando alle parole del candidato; ma possono essere ingaggiate anche per disturbare il comizio degli avversari. La paga - riferisce il Wall Street Journal – è di circa 4 dollari all’ora. Per gestire i contatti viene utilizzato un sito web, dove i membri affiliati possono vedere una lista di comizi in programma cofermando la propria adesione. Poche regole ma chiare per i partecipanti: se ci si registra per un dato raduno, bisogna andarci e restarci fino alla fine; evitare di presentarsi ubriachi o di litigare con altri; sorridere alle telecamere, applaudendo il candidato; e non parlare mai coi giornalisti.

ELEZIONI VICINE - «Lavoriamo con qualsiasi partito», ha dichiarato Boyko. «L’ideologia non ci interessa e agli studenti importa ancora meno. Sono stufi dei politici. Si muovono solo per soldi». Lo stesso Bokyo pare sia stato un sostenitore della Rivoluzione Arancione del 2004, salvo diventare sempre più disilluso e orientato al business. Ora, a pochi giorni dal ballottaggio per le nuove elezioni presidenziali - in cui si fronteggiano la premier Yulija Timoshenko e il leader dell’opposizione Viktor Yanukovich – i giorni dell’impegno senza interessi sono lontani, e lo studente di Kiev sembra deciso piuttosto a fare cassa.

Carola Frediani
05 febbraio 2010© RIPRODUZIONE RISERVATA