mercoledì 16 luglio 2008

La solitudine dei socialisti

di Piero Ostellino

Stalin non voleva «nemici a sinistra». Così, aveva cambiato l'invocazione di Karl Marx — «Proletari di tutto il mondo unitevi» — nell'imperativo «Comunisti di tutto il mondo uniti» (sotto la bandiera imperiale dell'Unione Sovietica). Era la dura logica del «socialismo in un solo Paese». Dissoltasi la «grande menzogna», i superstiti del comunismo italiano non sopportano «concorrenti a destra». È la sottile logica del «riformismo in un solo partito». La Terza Internazionale comunista era nata in una prospettiva totalitaria. Chi ne stava fuori era un «rinnegato» (Lenin su Kautsky) o «fascista» (il Cremlino sui socialdemocratici tedeschi). Il Partito democratico invece è nato nella prospettiva pluralista di un'alternanza al potere fra forze democratiche. Chi ne sta fuori non è un eretico della stessa famiglia socialista, anzi; se mai, è solo scomodo perché testimone del fallimento della sola, grande eresia, quella comunista, consumatasi con la scissione di Livorno del 1921. Palmiro Togliatti si era adeguato al principio «nessun nemico a sinistra» — al punto di avallare l'assassinio di Trotzky e firmare la condanna a morte, l'uno e l'altra decretati da Stalin, dei dirigenti del Pc polacco — e all'imperativo «Comunisti di tutto i mondo uniti», tanto da esserne il mefistofelico interprete nel proprio Paese fino all'ultimo giorno di vita, in una clinica sovietica.

Antonio Gramsci, che, invece, ne diffidava, sarebbe morto in una prigione fascista, ignorato dallo stesso Togliatti e dimenticato dal Pci di cui era stato uno dei fondatori. Il Pd — che del partito togliattiano non ha né la lucida visione strategica né la perfida intelligenza politica — incarna la logica del «riformismo in un solo partito » da par suo; non fa nulla per rinsaldare i rapporti con il concorrente socialista, cui ha preferito l'alleanza elettorale con il giustizialista Di Pietro, sperando, piuttosto, che, prima o poi, «con calma e serenità», tiri le cuoia. Da Tangentopoli all'arresto di Ottaviano Del Turco, le vicende che hanno visto intrecciarsi le fortune degli ex comunisti del Pci e le disavventure dei socialisti del Psi sono intessute di questo singolare parallelismo. Da qui il senso di estraneità emerso in questi giorni nei confronti di un rappresentante autorevole del mondo socialista che qualcuno nel Pd abruzzese ha lamentato addirittura sia stato catapultato da Fassino. Da qui la tiepida reazione del Pd all'offensiva giudiziaria nei confronti di Del Turco, testimoniata anche dall'intervista di Luciano Violante pubblicata oggi su questo giornale. Fra la dura monocrazia del Pci di Togliatti e l'ascetico moralismo di Berlinguer, entrambi ostili al «nemico di sinistra», ma in eguale misura antisocialisti, da una parte, e il morbido e ambiguo riformismo dei loro successori nel Pds, nei Ds e, ora, nel Pd, che si sono rassegnati ad avere «nemici a sinistra», ma sono rimasti antisocialisti, dall'altra. Una specie di sorda continuità antisocialista, nella dichiarata discontinuità riformista, che consente al postcomunismo di sottrarsi a una scelta culturale, politica e, perché no, elettorale, nella speranza che siano le vicende giudiziarie «di alcuni socialisti» a risolvere la competizione col socialismo a proprio favore dopo che a sconfiggere il comunismo è stata la storia.

lunedì 14 luglio 2008

VOYAGE A PARIS


Al Louvre due piani di alta moda di Valentino. Troppi piani, troppi strass, troppe paillettes, troppo buio, troppe luci....
Meglio il bookshop au premier etage e la sfilata di dames sur les Champes Elysee.

FAMA VOLANT


Succede, è normale, che ogni uscita di scena di un personaggio dalla propria vita privata o sociale produca un refolo di malinconia. Non parlo di parenti stretti, amori o animali domestici il cui allontanamento genera strazio puro. Mi riferisco ai personaggi pubblici, e quindi anche ai politici, con i quali abbiamo convissuto per una o più legislature ai vari livelli di governo e con i quali abbiamo virtualmente familiarizzato. Si tratta di tizi con i quali forse ce la siamo anche presa perché il marciapiede sottocasa è dissestato (sindaco), perché una discarica si è fatta lì piuttosto che là (presidente di provincia), perché il pagamento di un ticket è sempre complicato (presidente della Regione), perché tra la prima e l’ultima settimana del mese c’è sempre meno differenza (presidente del Consiglio). E’ anche possibile – per quanto improbabile -, che si sia aderito, per puro spirito di adattamento, a qualche azione del loro governo così come ci è stata riportata dai giornali, dalla radio e soprattutto dalla televisione.

Per farla breve, dopo anni di foto, interviste, notizie e proclami, chi è al governo della nostra città, della Provincia, della Regione e finanche del Paese entra, in qualche modo, nelle nostre vite e nelle nostre consuetudini. Magari non condividiamo niente di quello che dice o fa ma rimane comunque qualcuno a cui è stato delegato, con libere elezioni, il compito di decidere come farci vivere un po’ meglio e con il quale instauriamo, nostro malgrado e con la complicità dei media, un eccentrico rapporto di odio, di amore o indifferenza o di tutte queste cose messe assieme.

Giusto giusto sono passati cento giorni da quando sono usciti di scena, in un sol colpo (oh! the election day!), il presidente del Consiglio Romano Prodi e, per quanto ci riguarda, il presidente della Regione Riccardo Illy, il presidente della provincia di Udine Marzio Strassoldo e il sindaco di Udine Sergio Cecotti. Nessuno di questi signori era politicamente di primissimo pelo e sulla scena pubblica, in un modo o nell’altro, ci sguazzavano da decenni. Che l’arena politica fosse un Grand Hotel con gente che va e gente che viene e tutta senza uno scopo ("People come, people go. Nothing ever happens" sibilava la laconica Greta Garbo nell’omonimo film) lo sapevamo bene ma che anche nel nostro meno blasè territorio non lasciassero traccia del loro passaggio non era poi così scontato.


Lasciamo pure perdere l’eredità politica e affettiva del bofonchiante ex presidente del Consiglio tallonato dall’unica first lady in ciabatte della storia e approdiamo ai nostri lidi.

C’è qualcuno dispiaciuto per l’uscita di scena di Riccardo Illy? O, meglio ancora, lo ricorda con una sia pur vaga nostalgia? Eppure l’evergreen della moka, dissoltosi magicamente in corso di trasformazione da principe in ranocchio (Absit iniuria…), si era dato da fare come un matto per occupare televisioni e giornali che più embedded di così non si può. Dai più patinati magazine alle fanzine dei rokkettari non c’è stata testata giornalistica alla quale non abbia gelidamente trasferito il suo pensiero très chic su politica e caffè, innovazione e trattato di Lisbona dall’alto (!) di glamorous locations (memorabile la vista sulla camera la letto padronale e, nella pagina successiva, su una cucina con telefono vintage) del tutto coerenti con il concetto di leadership trasferitogli dall’emerito e sempre à la page Studio Ambrosetti. E le riunioni di giunta messe in scena nelle grotte, negli oratori e nelle sale rimesse a lustro dei più sperduti comuni della regione? E le sapienti prese di distanza dai partiti? E l’insistenza nel volersi mantenere politicamente indipendente? Insomma, il Dottore aveva utilizzato l’immagine della temporaneità (“sono prestato alla politica”) per garantirsi un’eternità che si è infranta contro un baffuto che da almeno trent’anni si nutre, molto plebeamente, di polenta, politica e salame. Dove sono finiti tutti quei simboli del beau vivre come la moto, la barca, gli sci al titanio, la piscina, l’auto che corre come una freccia, il pomo d’adamo al vento che avevano reso noi provinciali così orgogliosi di avere un governatore millesimato? L’oblio è calato così repentinamente che Renzo Tondo alias Berlusconi (elettoralmente parlando), pare essere presidente da sempre o almeno, per intenderci, da subito dopo il lìder massimo Biasutti. In mezzo, il nulla. Nemmeno lo spiritato Sergio Cecotti, approdato al Comune di Udine dopo aver transitato, da leghista, sul sommo scranno della Regione. Il suo decennio di governo appena conclusosi ha lasciato in città i segni di una normale faziosa e noiosa amministrazione mentre il cuore dei cittadini batte già all’unisono con quello del neo sindaco che marcia a suo agio tra le canne dei proseliti di Bob Marley sostenendo che quella è la festa (e come dargli torto?). E Marzio Strassoldo? C’è qualcuno che ricorda chiaramente l’affaire Grillo, i pasticci della Exe, i sondaggi egotici che lo davano per vincente in qualsiasi competizione politica locale o nazionale? Eppure si esprimeva in un friulano da koinè, riceveva gli ospiti con lo charme di un vero conte, tagliava nastri a più non posso e si concedeva con disinvoltura a qualsiasi mezzo di comunicazione disposto a ritrarlo, con chevalier d’ordinanza, nell’esercizio delle sue pubbliche funzioni. Dimenticato.

Improbabile che qualcuno un giorno possa dire “Ah, quando c’era lui…!”. Non lo dirà soprattutto, par di capire, il suo successore Pietro Fontanini che zitto zitto sta cercando di ricostruire la credibilità di un ente i cui compagni di partito vorrebbero definitivamente depennare.

I primi cento giorni di governo locale sono trascorsi così per i cittadini rimuovendo, riabilitando e denigrando la politica e i suoi esponenti, come sempre accade, in attesa di un’altra tornata elettorale in cui votare contro qualcun altro. Il solleone incombe, i saldi non tirano e siamo tutti stracarichi di roba inutile, di mutui e di disillusioni. Per fortuna che c’è Silvio. Ah! Mi telefonasse……


mercoledì 9 luglio 2008

PIAZZA NAVONA

Da un delizioso attico su Piazza Navona a Roma l'elegantissima signora Montanelli alias Donna Letizia, ha dispensato per anni saggi consigli di buona educazione, su quello che le signorine e le signore devono dire e non dire, su come ci si comporta in pubblico. Ieri, persino i suoi gerani sarebbero raggrinziti.

martedì 8 luglio 2008

Bon ton in piazza Navona


Da Repubblica on line

Roma, girotondini in piazza
Va in scena il "no Cav day"

Alle 18 a piazza Navona a Roma è iniziato il "no Cav day", la manifestazione promossa da Micromega, a cui hanno aderito l'Idv di Di Pietro, i girotondini e alcuni parlamentari del centrosinistra. Beppe Grillo in collegamento telefonico è tornato ad attaccare il capo dello Stato, dopo i suoi attacchi al capo dello Stato: "Quando a Chiaiano c'erano le cariche della polizia lui era a Capri che festeggiava con due inquisiti, Bassolino e la moglie di Mastella". Attacchi anche a Veltroni: "In tre mesi ha fatto cose memorabili"


Guzzanti: "Berlusconi si strafà di Viagra, il suo ultimo nomignolo è presidente vaso dilatato. I suoi collaboratori sono vassalli"

Il senatore Colombo è furibondo per gli insulti a Veltroni: "Ho sentito insulti rovesciati l'obiettivo qui era Berlusconi e non Veltroni è stato un errore gravissimo sia di Grillo ma anche di Travaglio. Se non ci fosse la questione rom me ne sarei già andato, salirò sul palco, farò un intervento brevissimo parlerò della questione e dirò le cose che non mi sono piaciute".

Guzzanti attacca il Papa: "Ratzinger fra trent'anni sarà all'inferno tormentato da diavoloni frocioni"

Sabina Guzzanti dal palco di Piazza Navona ha parlato delle intercettazioni facendo direttamente riferimento al ministro Carfagna. "Non si può fare ministro per le Pari oppurtunità una che ti ha succhiato l'uccello".

"Siamo più di centomila" lo hanno detto dal palco della manifestazione No Cav. day gli organizzatori.

"Ve lo immaginate Pertini che firma una legge che lo rende immune dalla legge? Io vorrei sapere chi è Napolitano, che quando a Chiaiano c'erano le cariche della polizia era a Capri che festeggiava con due inquisiti, Bassolino e la moglie di Mastella", ha detto Beppe Grillo in collegamento telefonico con Piazza Navona.

"Io non so chi sia Veltroni-Topo Gigio. E' il nuovo Mastella? Cos'è, un uomo, un avverbio?". Beppe Grillo, in collegamento telefonico con la manifestazione di piazza Navona, non ha risparmiato critiche a Walter Veltroni. "In tre mesi ha fatto cose memorabili: è andato a parlare di istituzioni dallo psiconano, ha fatto saltare il governo, perso Roma, disintegrato in partiti della sinistra. E' il più grande alleato della nano particella cosmica che esista in natura", ha spiegato il comico ligure.

Intervento intessuto di accuse e sfottò irriverenti contro Silvio Berlusconi ma il vero obiettivo di Marco Travaglio sono Quirinale e Pd, accomunati dall'accusa di accondiscendenza con il leader del Pdl. "Fino ad ora il Quirinale ha firmato tutto, compresa l'aggravante razziale. Speriamo che la smetta". Poi un'altra frase molto applaudita, rivolta al Pd, che dialoga con il premier che Travaglio descrive così: "E' come una mantide religiosa, fa una scopatina con un leader del centrosinistra e poi se lo mangia. Il bello è che ogni volta ne trova uno nuovo che gli va incontro sorridendo".

I lavori delle commissioni affari costituzionali e Giustizia della Camera, che stanno esaminando il lodo Alfano, proseguiranno questa sera fino alle ore 22, per poi ricominciare domani alle 9 e chiudere il lavoro sul testo entro le 12. Lo ha deciso l'Ufficio di presidenza delle commissioni che si è appena concluso. L'Udp della prima e della seconda commissione ha inoltre stabilito che i voti sugli emendamenti saranno un totale di 25, perché molte proposte di modifica verranno accorpate.

E' iniziato l'intervento telefonico di Beppe Grillo in collegamento con Piazza Navona.

Secondo quanto riferito dagli organizzatori della manifestazione dell'Italia dei Valori, a piazza Navona in questo momento sarebbero presenti tra le 40mile e le 50mila persone.

TRE MITI ETERNI

GIROTONDI E PD di Ernesto Galli Della Loggia

Neppure gli organizzatori si aspettano che alla manifestazione dei girotondi di domani a Roma partecipino più di alcune migliaia di persone. Ciò nonostante, come si è visto in questi giorni, una simile adunata di persone certo non oceanica, appoggiata solo da un partito forte di appena il 3% dei voti ma da nessuna organizzazione di massa, da nessun sindacato, è in grado di mettere in grave imbarazzo il Partito democratico, di creare forti tensioni sia alla sua base che tra i suoi esponenti di vertice. Com'è possibile?

È possibile perché l'iniziativa girotondina, pur avendo alle spalle ben poche forze, evoca però tre grandi miti che dominano da sempre l'immaginario e la pratica della sinistra italiana.

a) Il primo mito è quello delle «due Italie», delle quali, come è ovvio, la sinistra si sente sempre chiamata a impersonare (e come potrebbe essere altrimenti?) l'Italia dei Buoni. Dei «buoni italiani » in lotta perenne contro gli «italiani alle vongole », gli italiani cattivi i quali invece hanno, loro soltanto, il monopolio di tutti i vizi del Paese: calpestano le leggi, evadono le tasse, parcheggiano in seconda fila e non amano né il Csm né il protocollo di Kyoto. Sarebbero dotati addirittura di un altro Dna, come ha suggerito appena ieri Nanni Moretti. È una visione rassicurante (se vinci è perché ragionevolmente alla fine il bene non può che trionfare; se perdi è perché, altrettanto ragionevolmente, i furfanti, come si sa, trovano sempre il modo di avere la meglio) ma ha soprattutto il grande vantaggio di semplificare radicalmente ogni questione, e di alimentare così, anche per questa via, b) il secondo mito, che è quello dell'«unità». Unità che ha la sua principale raffigurazione nella fatidica «manifestazione unitaria »: come per l'appunto pretende, vuole a tutti costi, esige assolutamente di essere quella di domani, anche se, piuttosto paradossalmente, essa è indetta da una sparutissima minoranza. Ma tant'è: come potrebbe giustificarsi infatti la divisione dei buoni di fronte al male? Solo in un modo, semmai, e cioè solo con il più o meno celato passaggio di una parte dei buoni stessi nel campo nemico. Ed è precisamente questo il ricatto che fa capolino di continuo dietro il mito dell'Unità: se non stai con noi, già solo perciò vuol dire che almeno per una parte stai potenzialmente con «gli altri». Il mito dell'Unità diviene così la premessa necessaria del mito del Tradimento. Entrambi, insieme al mito della «Nazione dei buoni », tendono sempre, comunque, a porre la politica fuori dell'ambito suo proprio: a farne un'appendice della morale. Non a caso Vincenzo Cerami ha definito «bacchettoni di mestiere» gli organizzatori della manifestazione di domani. Parole ruvide che però servono bene a indicare il c) terzo mito che domina immaginario e pratica della sinistra: il mito del moralismo.

Il moralismo è il modo classico in cui la sinistra declina la tendenza all'antipolitica che da sempre, e oggi più che mai, alligna anche nelle sue file. Laddove la destra è abituata a declinare l'antipolitica nelle forme del disincanto qualunquistico spinto fino al cinismo, la sinistra, invece, l'incanala in quelle dell'eticismo condotto al limite dell'arroganza di tipo razzista. Ma pur se nelle forme del moralismo l'antipolitica non cessa per questo di adempiere la sua funzione abituale. Che consiste nel rendere superflua la fatica di pensare, di misurare, di distinguere; e nel considerare un pavido, un misero emulo del «sor Tentenna», chiunque a tale fatica non intenda rinunciare.

Ecco dunque qual è la vera forza dei girotondini. È la minaccia che immediatamente pesa su chi osa, a sinistra, dissentire da essi; la minaccia cioè di vedersi accusati di mettere in dubbio tre grandi capisaldi dell'ideologia diffusa della sinistra stessa: la convinzione di avere il copyright del bene, di dovere essere tutti uniti contro il male e, infine, che si è puri solo se si è duri. Il problema, insomma, non sono poche migliaia di «girotondini». Come quasi sempre accade in Italia, il problema sono i nodi che la storia ha intrecciato e che ora è maledettamente difficile sciogliere.
dal Corriere della Sera

venerdì 4 luglio 2008