Succede, è normale, che ogni uscita di scena di un personaggio dalla propria vita privata o sociale produca un refolo di malinconia. Non parlo di parenti stretti, amori o animali domestici il cui allontanamento genera strazio puro. Mi riferisco ai personaggi pubblici, e quindi anche ai politici, con i quali abbiamo convissuto per una o più legislature ai vari livelli di governo e con i quali abbiamo virtualmente familiarizzato. Si tratta di tizi con i quali forse ce la siamo anche presa perché il marciapiede sottocasa è dissestato (sindaco), perché una discarica si è fatta lì piuttosto che là (presidente di provincia), perché il pagamento di un ticket è sempre complicato (presidente della Regione), perché tra la prima e l’ultima settimana del mese c’è sempre meno differenza (presidente del Consiglio). E’ anche possibile – per quanto improbabile -, che si sia aderito, per puro spirito di adattamento, a qualche azione del loro governo così come ci è stata riportata dai giornali, dalla radio e soprattutto dalla televisione.
Per farla breve, dopo anni di foto, interviste, notizie e proclami, chi è al governo della nostra città, della Provincia, della Regione e finanche del Paese entra, in qualche modo, nelle nostre vite e nelle nostre consuetudini. Magari non condividiamo niente di quello che dice o fa ma rimane comunque qualcuno a cui è stato delegato, con libere elezioni, il compito di decidere come farci vivere un po’ meglio e con il quale instauriamo, nostro malgrado e con la complicità dei media, un eccentrico rapporto di odio, di amore o indifferenza o di tutte queste cose messe assieme.
Giusto giusto sono passati cento giorni da quando sono usciti di scena, in un sol colpo (oh! the election day!), il presidente del Consiglio Romano Prodi e, per quanto ci riguarda, il presidente della Regione Riccardo Illy, il presidente della provincia di Udine Marzio Strassoldo e il sindaco di Udine Sergio Cecotti. Nessuno di questi signori era politicamente di primissimo pelo e sulla scena pubblica, in un modo o nell’altro, ci sguazzavano da decenni. Che l’arena politica fosse un Grand Hotel con gente che va e gente che viene e tutta senza uno scopo ("People come, people go. Nothing ever happens" sibilava la laconica Greta Garbo nell’omonimo film) lo sapevamo bene ma che anche nel nostro meno blasè territorio non lasciassero traccia del loro passaggio non era poi così scontato.
Lasciamo pure perdere l’eredità politica e affettiva del bofonchiante ex presidente del Consiglio tallonato dall’unica first lady in ciabatte della storia e approdiamo ai nostri lidi.
C’è qualcuno dispiaciuto per l’uscita di scena di Riccardo Illy? O, meglio ancora, lo ricorda con una sia pur vaga nostalgia? Eppure l’evergreen della moka, dissoltosi magicamente in corso di trasformazione da principe in ranocchio (Absit iniuria…), si era dato da fare come un matto per occupare televisioni e giornali che più embedded di così non si può. Dai più patinati magazine alle fanzine dei rokkettari non c’è stata testata giornalistica alla quale non abbia gelidamente trasferito il suo pensiero très chic su politica e caffè, innovazione e trattato di Lisbona dall’alto (!) di glamorous locations (memorabile la vista sulla camera la letto padronale e, nella pagina successiva, su una cucina con telefono vintage) del tutto coerenti con il concetto di leadership trasferitogli dall’emerito e sempre à la page Studio Ambrosetti. E le riunioni di giunta messe in scena nelle grotte, negli oratori e nelle sale rimesse a lustro dei più sperduti comuni della regione? E le sapienti prese di distanza dai partiti? E l’insistenza nel volersi mantenere politicamente indipendente? Insomma, il Dottore aveva utilizzato l’immagine della temporaneità (“sono prestato alla politica”) per garantirsi un’eternità che si è infranta contro un baffuto che da almeno trent’anni si nutre, molto plebeamente, di polenta, politica e salame. Dove sono finiti tutti quei simboli del beau vivre come la moto, la barca, gli sci al titanio, la piscina, l’auto che corre come una freccia, il pomo d’adamo al vento che avevano reso noi provinciali così orgogliosi di avere un governatore millesimato? L’oblio è calato così repentinamente che Renzo Tondo alias Berlusconi (elettoralmente parlando), pare essere presidente da sempre o almeno, per intenderci, da subito dopo il lìder massimo Biasutti. In mezzo, il nulla. Nemmeno lo spiritato Sergio Cecotti, approdato al Comune di Udine dopo aver transitato, da leghista, sul sommo scranno della Regione. Il suo decennio di governo appena conclusosi ha lasciato in città i segni di una normale faziosa e noiosa amministrazione mentre il cuore dei cittadini batte già all’unisono con quello del neo sindaco che marcia a suo agio tra le canne dei proseliti di Bob Marley sostenendo che quella è la festa (e come dargli torto?). E Marzio Strassoldo? C’è qualcuno che ricorda chiaramente l’affaire Grillo, i pasticci della Exe, i sondaggi egotici che lo davano per vincente in qualsiasi competizione politica locale o nazionale? Eppure si esprimeva in un friulano da koinè, riceveva gli ospiti con lo charme di un vero conte, tagliava nastri a più non posso e si concedeva con disinvoltura a qualsiasi mezzo di comunicazione disposto a ritrarlo, con chevalier d’ordinanza, nell’esercizio delle sue pubbliche funzioni. Dimenticato.
Improbabile che qualcuno un giorno possa dire “Ah, quando c’era lui…!”. Non lo dirà soprattutto, par di capire, il suo successore Pietro Fontanini che zitto zitto sta cercando di ricostruire la credibilità di un ente i cui compagni di partito vorrebbero definitivamente depennare.
I primi cento giorni di governo locale sono trascorsi così per i cittadini rimuovendo, riabilitando e denigrando la politica e i suoi esponenti, come sempre accade, in attesa di un’altra tornata elettorale in cui votare contro qualcun altro. Il solleone incombe, i saldi non tirano e siamo tutti stracarichi di roba inutile, di mutui e di disillusioni. Per fortuna che c’è Silvio. Ah! Mi telefonasse……