giovedì 31 dicembre 2009

IL CILE VERSO IL NUOVO PRESIDENTE



Il prossimo 17 gennaio il candidato del centrodestra Sebastian Pinera potrebbe essere eletto presidente del Cile. Lo dicono i più recenti sondaggi in base ai quali il multimiliardario risulta in netto vantaggio (52,7%) rispetto al candidato del centrosinistra Edoardo Frei Ruiz (47,3%). Al primo turno elettorale dell’11 dicembre scorso, Pinera aveva avuto il 44,05 per cento dei voti seguito da Frei con il 29,60 per cento, dal giovane candidato indipendente Marco Enriquez Ominami con il 20,13 per cento e dal candidato comunista Jorge Arrate con il 6,2 per cento. Sia Pinera sia Frei sperano di riuscire ad intercettare i voti di Ominami, ma è soprattutto Frei che preme anche sugli elettori di Arrate per superare il gap che lo separa da Pinera supportato dalla Coalizione per il Cambiamento (CC) alla quale aderiscono la lista di Pinera per la Rinascita Nazionale (RN), l’Unione Democratica Indipendente (UDI) e il Cile Primo (CH1).

Nel caso in cui a vincere fosse Pinera, che ha condotto una campagna elettorale decisamente all' "americana", questa sarà la prima volta, dalla caduta della dittatura di Pinochet nel 1990, che la coalizione di centro sinistra, la Concertacion (CDP) che include il Partito Socialisto (PS), il Partito socialdemocratico per il Cile (PDC), il Partito democratico (PD) e il partito Radicale socialdemocratico, perde le elezioni.

Michelle Bachelet, eletta presidente nel 2006 e non eleggibile per un’ulteriore legislatura, aveva sconfitto allora proprio l’imprenditore/candidato Pinera. La debacle della Concertacion, si dice in Cile, è causata dalle sue contraddizioni piuttosto che dalla capacità di raccogliere voti della destra.

A Pinera viene chiesto insistentemente in questi giorni di isolare l’ala destra più radicale della sua coalizione e di prendere le distanze dal periodo della dittatura di Pinochet. Uno dei dati sui quali i partiti si stanno interrogando è la scarsa partecipazione al voto, registrata al primo turno, dei giovani (ha votato 1 giovane su 5) e su alcuni aspetti controversi della legge elettorale cilena come quello che stabilisce che non hanno diritto al voto i cileni che sono ritornati in patria da meno di 5 anni dopo essere stati all’estero.



Ecco PINERA...

...e FREI

lunedì 28 dicembre 2009

LA CROAZIA AL BALLOTTAGGIO

Il potente sindaco di Zagabria è stato espulso dal partito socialdemocratico quando ha annunciato di voler correre alla presidenza contro il candidato ufficiale del partito. Il Sindaco ha dalla sua parte una lunga esperienza amministrativa "sul campo" e una fitta rete di relazioni soprattutto nella sua città. Molto più "ruvido" dell'avversario, è certamente quello che rappresenta meglio le peculiarità degli abitanti del suo paese. Populista, alla mano, dovrà cercare di colmare il divario numerico con l'avversario che, paradossalmente, appartiene al suo stesso partito. Mai come in questo caso sarà la personalità dei candidati a prevalere e la credibilità e carisma che sapranno esprimere.



Il colto candidato ufficiale del centrosinistra, musicista, docente universitario e politico di lungo corso (è stato tra i fondatori del partito socialdemocratico nato sulle ceneri del vecchio partito comunista), pur avendo avuto un vantaggio di quasi 20 punti sull'avversario, dovrà vincere al ballottaggio soprattutto contro l'astensionismo.



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domenica 27 dicembre 2009

IVO IOSIPOVIC TRA MUSICA E POLITICA


Nato a Zagabria il 28 agosto 1957, Ivo Iosipovic è stato membro in parlamento del partito socialdemocratico croato. E’ docente universitario, membro del parlamento e compositore. Insegna Diritto Internazionale e procedura penale nella facoltà di giurisprudenza dell’Università di Zagabria. Ha composto oltre 50 brani musicali che sono stati eseguiti da prestigiose orchestre in Croazia e all’estero.
Ha rappresentato la Croazia davanti alla Corte internazionale di giustizia e il Tribunale penale internazionale per i crimini nell’ex Jugoslavia. Per il Consiglio d’Europa ha partecipato a progetti per la valutazione del sistema carcerario in alcuni paesi dell’Asia centrale. Dopo la scuola superiore ha proseguito gli studi musicali, in particolare in composizione, nell’Accademia musicale di Zagabria. Ha scritto composizioni per diversi strumenti musicali, orchestre da camera e orchestre sinfoniche. Per questa sua attività ha conseguito numerosi riconoscimenti internazionali tra cui l’European Broadcasting Award.
Dal 1980 è stato membro dell’Unione comunista croata e ha partecipato attivamente alla sua trasformazione democratica. E’ tra i firmatari dello statuto del Partito Social Democratico (SDP). Nel 1994 ha abbandonato il suo impegno politico per dedicarsi completamente all’insegnamento e alla musica. Si è riaffacciato nella politica nel 2003 su invito di Ivica Racan ed è diventato parlamentare indipendente del SDP nonchè vicepresidente dei club dei rappresentanti del SDP. Nel 2005 è entrato a far parte del Consiglio della città di Zagabria e nel 2007 è stato rieletto al parlamento dove ha fatto parte delle commissioni giustizia e affari costituzionali e della commissione sui conflitti d’interesse.
Nel giugno di quest’anno ha annunciato la sua candidatura a presidente per il SDP e il 12 luglio ha vinto le elezioni primarie contro Ljubo Jurcic.
La sua campagna elettorale si è basata sul concetto “Nuova Giustizia” intesa come necessità di affrontare in profondità le ingiustizie sociali, combattere la criminalità e la corruzione per rendere più sicura la vita dei cittadini croati.

CROAZIA: SARA' JOSIPOVIC IL PROSSIMO PRESIDENTE?

Mentre i croati stanno ancora votando per il primo turno delle elezioni del nuovo presidente della Repubblica (i seggi si chiuderanno alle 18)si fanno sempre più insistenti le voci - stando ai dati degli ultimissimi sondaggi - che danno per vincitore al primo turno il candidato del centrosinistra Ivo Josipovic, nel video qui sotto mentre vota nel suo seggio.




Questo video si riferisce invece al concerto di chiusura della campagna elettorale di Josipovic a Zagabria. I concerti di musica rock prima o dopo un comizio sono una tradizione in molti paesi dell'Est e, nel momento in cui si pianifica una campagna elettorale, non si può prescindere dall'ingaggiare un gruppo o dei gruppi rock che accompagnano il candidato nei suoi principali appuntamenti elettorali.

sabato 26 dicembre 2009

UZBEKISTAN: ELEZIONI POLITICHE E AMMINISTRATIVE


In Uzbekistan si terranno domani 27 dicembre le elezioni politiche per il rinnovo del Parlamento e quelle amministrative per l’elezione delle assemblee provinciali nelle regioni, nei distretti e nelle città. Il paese dell’Asia Centrale ha un ruolo chiave nel mantenimento dei rapporti tra Russia e Stati Uniti impegnati a contenere il potere dei Talebani nel confinante Afghanistan. L’Uzbekistan, ricco di acqua, gas naturale ed energia elettrica, è stato classificato dall’occidente come uno dei paesi più repressivi al mondo dei diritti umani da quando ha ottenuto l’indipendenza dall’Unione Sovietica nel 1991. L'economia del paese si basa essenzialmente sull'agricoltura e sull'estrazione delle risorse naturali. E' tra i maggiori produttori ed esportatori di cotone. Esporta anche oro, uranio e minerali strategici.
http://www.youtube.com/watch?v=RjZV0hRIf2A

Dall'indipendenza il governo ha seguito una politica di graduale transizione verso un mercato libero ma, ad oggi, la gran parte delle industrie è ancora in mano o controllate dallo Stato. In Uzbekistan non esistono partiti d’opposizione e nessun osservatore internazionale ha mai giudicato libere le elezioni che si sono svolte sino ad oggi. La gran parte degli oppositori sono in prigione o in esilio all’estero. Il voto di domani è visto con preoccupazione anche dai paesi occidentali che sperano di poter contare su una nuova via di accesso delle truppe americane che combattono i Talebani in Afghanistan. Il capo del governo, il 71enne Islam Karimov, ex boss del partito comunista che guida il paese da 20 anni con mano ferma, pare non avere successori e il voto di domani confermerà inevitabilmente la sua maggioranza al Parlamento. Per invitare i cittadini al voto, i gestori di telefonia mobile hanno stretto un accordo con il Governo, al fine di mandare a tutti gli elettori, circa 16 milioni, un Sms di sollecito.




517 candidati si contendono i 135 seggi del Parlamento: 123 candidati fanno parte dell’Adolat (Giustizia) Social Democratic Party, 125 del Milliy Tiklanish Democratic Party, 135 dell’UzLiDeP, Liberal Democratic Party e 134 del People’s Democratic Party.

La campagna elettorale era iniziata ufficialmente il 22 settembre scorso.

La Commissione Elettorale è l’organismo che presiede alla campagna elettorale e nessuno può interferire con le sue scelte. Nessuno dei partecipanti alla competizione elettorale può disporre di particolari vantaggi e le regole sono uguali per tutti. La legislazione elettorale è stata recentemente modificata allo scopo, si è detto, di liberalizzare ulteriormente il sistema elettorale e ampliare la competizione tra i partiti. Per aumentare la partecipazione dei cittadini, il numero dei seggi è stato portato da 120 a 150. E’ stato anche introdotto un nuovo principio, in termini di protezione ambientale, che impegna all’uso sostenibile di risorse naturali e a garantire la sicurezza, in termini ambientali, della popolazione. D’altro lato è stata abolita la possibilità, da parte di gruppi di elettori, di indicare dei candidati che possono ora essere nominati unicamente dai partiti. Nella logica della difesa e protezione dell’ambiente, 15 seggi saranno assegnati automaticamente ai deputati eletti del Movimento ecologista dell’Uzbekistan. In base all’articolo 22 della legge elettorale il 31,9 per cento dei 517 candidati sono donne.

Un’ampia parte dei candidati al parlamento sono espressione del mondo dell’industria, dei piccoli e medi imprenditori e degli agricoltori. La nuova legge elettorale ha anche introdotto la figura dei “rappresentanti di lista” che possono partecipare al conteggio dei voti nei seggi e alla verifica dell’autenticità delle firme. Oltre 250 rappresentanti di 36 paesi del mondo oltre alle più importanti organizzazioni mondiali monitoreranno le elezioni. L’elezione sarà dichiarata valida se avrà votato almeno un terzo degli aventi diritto.

La competizione più forte si ha tra i due principali partiti: il Partito popolare democratico (PDP, ex Partito Comunista) e il partito Liberaldemocratico (UzLiDeP) che si considerano rispettivamente di destra e di sinistra. I liberaldemocratici accusano gli avversari di fare false promesse come la creazione di nuovi posti di lavoro per i giovani che hanno lasciato la scuola nelle aree rurali e l’aumento della protezione sociale nonostante il 60 per cento del budget nazionale sia utilizzato per coprire le spese sociali.

I nazionaldemocratici, dal canto loro, ritengono impossibile che i liberaldemocratici possano sviluppare il settore privato nella sfera dell’assistenza sanitaria mentre loro puntano sulla qualità del servizio medico.

La data del voto non è stata preceduta da una campagna elettorale, almeno da quanto è dato sapere da questa nazione così isolata dove i rappresentanti della stampa internazionale non hanno accesso. Nella capitale Tashkent, un’ antica città ubicata sulla cosiddetta via della seta e ricostruita dai sovietici dopo un devastante terremoto, la vita procede regolarmente e la gente pare ignorare i manifesti elettorali affissi ai muri, dimostrando di essere più interessata alle celebrazioni per il nuovo anno piuttosto che alle elezioni. Domenica 27 dicembre i candidati di quattro partiti si contenderanno i 150 posti della Camera bassa in un clima in cui l’opposizione è fortemente controllata dai militari. Il movimento ecologico per l’Uzbekistan, i cui obiettivi sono solamente di natura ambientalistica, occuperà automaticamente 15 seggi. Tutti i partiti hanno ricevuto un forte supporto da Karimov. L’organizzazione europea della sicurezza e cooperazione ha deciso di non inviare osservatori in Uzbekistan in quanto nessuna delle indicazioni fornite nei passati turni elettorali è stata mai recepita e “i diritti fondamentali sono perennemente ignorati rendendo le elezioni una manifestazione in cui non è possibile esprimere alcuna forma di dissenso”. Anche Amnesty International ha denunciato la mancanza di libertà e la mancanza di diritti civili. I paesi occidentali hanno imposto sanzioni all’Uzbekistan dopo che il capo del governo Karimov ha rifiutato un’inchiesta internazionale sull’uccisione di 189 persone in una cittadina dell’est del Paese. Per tutta risposta l’Uzbekistan ha risposto alle critiche vietando alle forze armate americane l’uso di una base militare utilizzata per i raid in Afghanistan. La necessità di disporre di basi logistiche in Uzbekistan ha portato il comandante delle forze in campo, gen. Petraeus, a rivolgersi all’Unione Europea per chiedere la sospensione delle sanzioni. L’Uzbekistan ha reagito positivamente consentendo ai convogli Usa di trasportare merci non letali attraverso il suo territorio. Mentre si sono stabilizzati i rapporti con l’occidente, si sono acuiti quelli con l’Unione Sovietica che vorrebbe aumentare il suo peso militare nella regione dell’Asia centrale. La scorsa estate l’Uzbekistan ha rifiutato la proposta del Cremlino di aumentare la presenza di truppe nel sud del Kyrgyzstan, a ridosso dei suoi confini, così come si è rifiutato di partecipare alle manovre militari del Colletive Treaty Security Organisation, formato da stati dell’ex Unione sovietica. Tutto ciò fa ritenere che l’Uzbekistan intenda incrementare la cooperazione con le forze militari Usa per legittimare il suo regime e, nel contempo, frenare le ambizioni dei militari russi nel centro Asia.

L’esito delle elezioni e l’elenco degli eletti saranno resi noti non prima del 7 gennaio prossimo.





mercoledì 23 dicembre 2009

LA CROAZIA ELEGGE IL PRESIDENTE


Personalmente sono particolarmente legata alla Croazia dove ho lavorato, nel 1991, a fianco della candidata alla presidenza Savka Dabcevic-Kucar, una donna che ha segnato la storia del suo paese e che è stata a capo della cosiddetta "primavera croata". Con Savka ho attraversato un paese in guerra, abbiamo tenuto comizi tra un coprifuoco e l'altro, siamo atterrate in luoghi sotto scorta, ci siamo battute contro l'imbattibile Tujman dando una speranza di una democrazia reale che sarebbe effettivamente scoppiata anche in quel paese appena nato dopo lo scioglimento della Jugoslavia. Savka è morta lo scorso agosto dopo essere stata presidente onorario del partito che lei stessa aveva formato.


Quasi 4 milioni e mezzo di croati, compresi i 400 mila che vivono all’estero, andranno alle urne domenica prossima 27 dicembre per il primo turno delle elezioni presidenziali. La data non è stata scelta a caso ed è stata spiegata dal primo ministro Jadranska Kosor (Unione democratica, HDZ) come un’opportunità per i molti emigrati che, in occasione delle feste di natale e di fine anno, ritornano a casa. Se domenica nessun candidato otterrà la maggioranza dei voti il ballottaggio si terrà il prossimo 10 gennaio.

L’attuale presidente della Repubblica, Stjepan Mesic, eletto nel febbraio del 2000 e confermato nel 2005, non si è potuto candidare, in base alla legge elettorale, per un terzo mandato. Mesic era succeduto a Franjo Tudjman e il suo compito à stato quello riposizionare la Croazia sulla scena politica internazionale dopo il periodo di isolamento causato dalla gestione dispotica di Tudjman. Sotto la sua presidenza la Croazia è entrata a far parte della Nato ed è in procinto di entrare nell’Unione Europea.

Il presidente della repubblica Croata viene eletto per 5 anni con suffragio universale e con la maggioranza dei voti. Può essere rieletto un’unica volta. La riforma costituzionale del 2001 ha rafforzato il potere del Sabor (parlamento) sopprimendo la precedente Camera alta (Camera dei comitati) e riducendo significativamente il potere del presidente della repubblica che nomina il Primo Ministro e i membri del parlamento. Comandante delle Forze Armate, in tempo di guerra dispone di poteri eccezionali. Può sciogliere il Sabor, proporre un disegno di legge o una riforma costituzionale attraverso referendum. Ogni candidato che intende correre alla carica di presidente deve presentare almeno 10 mila firme. In questa tornata elettorale si erano presentati 21 candidati e solo 12 sono stati ammessi (nelle elezioni del 2005 i candidati alla carica di presidente erano 13). Questi i candidati presidenti:



- Andrija Hebrang, candidato del HDZ, ex vice presidente del governo e ministro alla salute e al welfare.


- Ivo Josipovic, il principale candidato dell’opposizione, è sostenuto dal Partito Social Democratico (SDP), docente di diritto all’Università di Zagabria e compositore.


- Milan Bandic, sindaco di Zagabria, è stato escluso dal SDP dopo aver dichiarato la sua intenzione di candidarsi. Ha il supporto del Peasants' Democratic Party (HDSS).


- Vesna Pusic, candidata del Partito liberalpopolare (HNS), capo della commissione parlamentare incaricata di negoziare gli accordi con l’Unione Europea.

- Dragan Primorac, ex ministro all’Istruzione.



- Nadan Vidosevic, presidente della Camera di Commercio, dissidente del HDZ che ha abbandonato dopo aver presentato la sua candidatura. E’ supportato dal Party of the Coastal Regions of Primorje e Gorski Kotar (PGS).



- Miroslav Tudjman, figlio dell’ex presidente Franjo Tudjman.



- Vesna Skare Ozbolt, ex ministro della Giustizia supportato dal Centro Democratico (DC).




- Damir Kajin, candidato del Partito Democratico Istriano (IDS).
- Boris Miksic, un croato emigrato negli Usa dove ha fondato la Cortec Cooperation, ex candidato nelle elezioni del 2005 quando ha avuto il 17,78 per cento dei voti.
- Josip Jurcevic, storico e insegnante.



- Slavo Vuksic, candidato del Partito Democratico della Slavonia, ex parlamentare della regione Nasice. Entrambi i due principali partiti hanno subìto al loro interno una frattura quando altri candidati si sono affiancati a quelli che loro stessi avevano indicato. Con lo slogan “Per una Croazia libera ed europea” Andrija Hebrang è il candidato espresso e sostenuto ufficialmente dall’HDZ.

Il candidato ufficiale dell’SDP è invece Ivo Josipovic che ha vinto le primarie che si sono tenute all’interno del partito e nel corso delle quali si è confrontato con l’ex ministro dell’Economia Ljubo Juric. Josipovic dovrà vedersela, tra gli altri, anche con Milan Bradic, sindaco di Zagabria dal 2000 (con una interruzione dal 2002 al 2005) che si proclama anch’esso socialdemocratico e che si è rifiutato di il mancato riconoscimento da parte del partito che lui stesso ha contribuito a costruire.

I sondaggi più recenti indicano come vincitore Ivo Josipovic che precede l’indipendente Nadan Vidosevic.

La campagna elettorale è partita ufficialmente il 4 novembre scorso con l’inizio della raccolta delle firme necessarie a presentare le candidature. Ogni candidato ha avuto 12 giorni di tempo per raccoglierle tra i cittadini con diritto di voto. Le firme sono state verificate e il 18 novembre la Commisssione elettorale nazionale ha annunciato i nomi dei 12 candidati presidenti ammessi alla competizione. Il giorno dopo è iniziata la campagna elettorale vera e propria che dura 37 giorni e che si concluderà 24 ore prima il giorno delle elezioni, in questo caso a mezzanotte del giorno di Natale. Se nessun candidato raggiungerà il 50 per cento più 1 dei voti, il 10 gennaio si terrà il ballottaggio tra i due candidati che hanno ottenuto il numero più alto di consensi.

I candidati sono stati espressi dai partiti o attraverso elezioni primarie, o eletti dai responsabili dei partiti. Tutti i partiti presenti in parlamento seguono un regolamento in base al quale possono sostenere solamente un candidato e, nel caso in cui uno dei loro membri annunci la sua candidatura viene automaticamente espulso dal partito. I partiti che non candidano nessuno dei loro membri normalmente offrono il loro supporto a uno dei candidati in lizza. Questi partiti possono entrare nel novero di quelli che concorrono alla presidenza, ma talvolta il loro supporto si limita ad un’ adesione pubblica (endorsement). Il partito di destra HDSSB sostiene il candidato indipendente Milan Bandic mentre il partito di centro PGS sostiene l’indipendente Nadan Vidosevic. I candidati indipendenti Vidosevic e Dragan Primolac sono stati estromessi dall’ HDZ nel momento in cui hanno annunciato la loro candidatura. Il 5 novembre Milan Bradic ha reso pubblica la sua candidatura ed è automaticamente uscito dal SDP perdendo la sua carica di presidente del partito e leader della città di Zagabria. Dopo l’elezione, la Costituzione croata prevede che il presidente non possa essere membro di alcun partito.

Nonostante la campagna elettorale sia iniziata ufficialmente il 19 novembre in realtà è partita all’inizio dell’estate 2009, subito dopo le elezioni amministrative del maggio scorso. La scelta dei candidati, anche a causa del meccanismo di cui ho parlato (un partito = un candidato), è avvenuta in un clima che ha portato a numerose lacerazioni interne, soprattutto nel partito socialdemocratico (SDP) alle prese con la candidatura del sindaco di Zagabria Milan Bandic che ha creato numerosi malumori e prese di posizione da parte di importanti esponenti della sinistra. Milan Brandic infatti, pur agendo come se fosse in campagna elettorale, si è sempre rifiutato di ammettere la sua candidatura che ha annunciato solamente il 5 novembre quando il suo partito era ormai dilaniato.

Anche il partito di maggioranza HDZ ha vissuto un vero e proprio dramma collegato ai nomi di chi candidare a presidente. Il nome più gettonato era quello del Primo Ministro Ivo Sanader che ha stupito tutti quando, non solo ha dichiarato di non voler correre, ma anche di volersi dimettere da primo ministro e abbandonare la politica.

Lo slogan elettorale usato da Josipovic è Giustizia per la Croazia e la sua campagna elettorale è iniziata con un comizio davanti al teatro nazionale di Zagabria. In quell’occasione ha attaccato il governo in carica e il primo ministro Jadrana Kosor per aver trascurato i problemi della gente comune e non affrontato il tema della corruzione. Andrija Hebrang si è posizionato su un modello più retorico e il suo slogan è “Per un’orgogliosa Croazia Europea”. Ha accusato Kosor e i suoi alleati, Primorac e Vidosevic di aver abbandonato i loro partiti per aver abbandonato i loro partiti, qualificandoli come disertori e traditori. Vidosevic ha usato la sua conoscenza dei temi economici per acquisire popolarità durante la recessione. Ha utilizzato i suoi successi nel campo degli affari negli anni ’90 e lo slancio conferito alla Camera di Commercio Croata (CEC). Tuttavia la stampa ha continuato ad attaccarlo proprio su questo tema e non trovando spiegazioni alla sua ricchezza accumulata in poco tempo. Ovviamente lui ha sempre risposto di aver lavorato duro e di aver avuto idee brillanti. Dragan Primolac ha accusato Vidosevic di nepotismo accusandolo di aver assunto in Camera di Commercio tre parenti, e di avere una relazione con la sua segretaria. Lo scambio di accuse ha toccato il suo culmine il 14 dicembre durante un dibattito televisivo che si è concluso con una richiesta formale di scuse da parte di entrambi. Non solo. Primolac ha annunciato che avrebbe denunciato Vidosevic a causa del grande stress subito, per causa sua, la lui e da sua moglie.

Milan Bandic ha rifiutato la gran parte dei dibattiti sostenendo di essere un uomo di lavoro e non di parole. La sua campagna elettorale si è incentrata sul fatto di essere una persona del popolo, fedele al suo paese, e non un intellettuale. Vesna Pusic ha molto enfatizzato il fatto di essere una donna che finalmente può accedere al palazzo presidenziale. E’ interessante notare che la Pusic è la candidata che ha maggiormente lavorato sulla sua immagine smettendo i panni di una docente e apparendo come la più disponibile anche rispetto alla sua vita personale. La sua campagna si è concentrata sulla sua visione liberale ed europea acquisita anche grazie alla sua esperienza in politica estera. La Radiotelevisione Croata, come televisione pubblica, ha stabilito di dare a tutti i candidati uno spazio uguale con un’intervista di mezz’ora in primetime durante la trasmissione Otverno. Il primo dibattito con tutti i candidati si è tenuto il 20 novembre con la partecipazione di 10 candidati e l’ultimo si terrà stasera sulla rete Nova TV.

giovedì 17 dicembre 2009

La via d’uscita dall’estremismo


L’intervento di Fabrizio Cicchitto alla Camera due giorni fa, dedicato all'identificazione, nomi e cognomi, di quelli che egli considera i «mandanti morali» dell'aggressione fisica al premier, è stato del tutto sbagliato e inopportuno. Non aiuta il clima politico. Soprattutto, non aiuta il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, a sciogliere i nodi che egli sa di dover sciogliere. Sarebbe anche nell'interesse del centrodestra, e del Paese, che questo avvenisse.

Possiamo mettere in questi termini il problema dell’opposizione. La sua componente estremista ha un capo riconosciuto, con un profilo netto, Antonio Di Pietro. Bersani, invece, deve ancora dimostrare di saper essere, al di là della carica politica, il capo riconosciuto, con un profilo altrettanto netto, della componente democratica dell'opposizione. Quando si dice che il Pd dovrebbe rompere l'alleanza con Di Pietro si dice una cosa giusta ma banale. Si perde di vista che «rompere con Di Pietro» sottintende una complessa operazione politica che, per essere attuata, ha bisogno di una leadership coi fiocchi. Si tratta di un'operazione che implica sia la resa dei conti con il «dipietrismo interno» al Partito democratico sia una ricalibrazione dei rapporti con le forze esterne (certi magistrati, certi giornali, eccetera), che sul dipietrismo interno al Pd hanno sempre fatto leva per condizionarne la politica.

Opporsi alla persona di Berlusconi o opporsi alle politiche del governo? La risposta rivela la concezione della lotta politica, nonché il giudizio sullo stato della nostra democrazia, di ciascun singolo oppositore. Da quando c’è Berlusconi le due anime hanno convissuto e, quasi sempre, quella antiberlusconiana pura ha prevalso, essendo stato fin qui l'antiberlusconismo il vero ancoraggio identitario della sinistra.

E’ evidente che Bersani, per la sua storia personale, ambirebbe a portare il Pd fuori dall'orbita del massimalismo antiberlusconiano, dare a quel partito ciò che esso non ha: un chiaro profilo riformista. E’ anche evidente che egli (legittimamente) si preoccupa di non perdere consensi. Poiché il massimalismo antiberlusconiano è ben presente nell'elettorato e fra i militanti del Pd un’operazione che separi nettamente i destini politici degli estremisti da quelli dei riformisti appare, sulla carta, assai rischiosa.

Ma qui entra in gioco la questione della leadership. Immaginiamo che Bersani batta il pugno sul tavolo e dica: «Di Pietro non è un alleato ma un avversario da isolare e i dipietristi interni al partito sappiano che non sarà più tollerato chi tiene il piede in due staffe. A loro volta, le forze esterne che pretendono di condizionarmi sappiano che la linea politica del Pd la detto solo io a nome della maggioranza congressuale che mi ha espresso. Se vogliono opporsi a me e logorarmi si accomodino ma sia chiaro che, così facendo, favoriranno il centrodestra ». Gli antiberlusconiani duri e puri (anche quelli del Pd) griderebbero al tradimento ma ciò potrebbe essere compensato dalla scoperta, da parte degli elettori di sinistra, del fatto che c'è ora in circolazione un leader riformista forte e vero, dal profilo netto, che potrebbe domani anche portarli alla vittoria.

La politica, si dice, è ormai troppo debole per non essere condizionata da forze esterne. Tramontata l’epoca dei partiti di massa, è solo la leadership che può ridare forza alla politica.

Angelo Panebianco
dal Corriere della Sera
17 dicembre 2009© RIPRODUZIONE RISERVATA

venerdì 11 dicembre 2009

IL CILE FORSE PASSA IN MANO AL CENTRODESTRA


Il conservatore multimilionario Sebastian Pinera potrebbe mettere fine, stando ai sondaggi, ai 20 anni di governo del centro sinistra nel Cile.


Pinera è sostenuto dall’Alleanza per il Cambiamento della quale fanno parte l’Unione Democratica Indipendente e il Partito per la Riforma Nazionale che negli ultimi anni della dittatura di Pinochet avevano portato una ventata di democrazia nel regime. Sebastian Pinera, 60 anni, che risulta in testa rispetto al suo diretto rivale Frei – rappresentante della fragile coalizione di centrosinistra -, è proprietario del 26 per cento della principale compagnia aerea cilena, di un’ importante squadra di calcio (Colo colo) e dispone del canale televisivo Chilevision.
Il suo programma elettorale pone al primo posto la lotta alla corruzione e la necessità di portare al governo uomini nuovi e viene definito dagli analisti politici come un centrista moderato. Gli ultimi sondaggi gli attribuiscono, al primo turno, il 44 per cento dei voti contro il 31 per cento di Frei.


Come si è detto, Meo è attestato sul 17/18 per cento dei voti e il candidato della sinistra Jorge Arrate sul 7 per cento.


Il sondaggio, che si è svolto dal 24 novembre al 5 dicembre, specifica che il margine d’errore è, in più o meno, del 3 per cento. Nonostante questi dati, la vittoria di Pinera al primo turno non è data per impossibile. Nel caso in cui si andasse al ballottaggio non sarà facile per la sinistra fare fronte comune contro Pinera che, a quel punto, vedrebbe solamente rinviata la sua vittoria. Sarebbe questa la prima volta che il Cile elegge alla carica di presidente un multimilionario che Forbes colloca al 701° posto tra gli uomini più ricchi del mondo. Nonostante abbia applicato ai suoi averi (500 milioni di dollari) il blind trust, Pinera controlla importanti investimenti all’estero. E’ un personaggio certamente atipico nel panorama del centrodestra cileno avendo sostenuto nel 1988 la fine della dittatura di Pinochet (cosa che ha più volte sottolineato durante la campagna elettorale). Ma, allo stesso tempo, è stato ampiamente sostenuto dai militari durante i suoi otto anni di mandato come senatore. Laureato in economia ad Harvard, sa bene che la sua ricchezza non dipende solo da lui. Suo padre era ambasciatore e aveva portato la sua famiglia in Europa e negli Stati Uniti.

La vittoria di Pinera segnerebbe la sconfitta dell’esordiente Marco Enriquez Ominami, un ex membro del partito Socialista dal quale si è allontanato lo scorso mese di giugno per correre alla carica di presidente, come indipendente, nel paese considerato il più stabile, economicamente, tra quelli dell’America Latina.



Marco Enriquez, regista cinematografico e parlamentare, ha condotto la sua campagna elettorale enfatizzando soprattutto la differenza d’età tra lui e i suoi avversari, tutti over 60, tra i quali anche quelli della sinistra che arriva così alle urne decisamente spaccata. Con una proiezione che gli attribuisce il 17 per cento dei voti Meo, così soprannominato, rischia di impedire alla sinistra di prendere parte al secondo turno di ballottaggio nuocendo pericolosamente al rivale del centrosinistra Eduardo Frei, candidato della Concertation, il movimento della presidente uscente Michelle Bachelet.
Frei, un politico di grande esperienza ed ex presidente del Cile, pensa ancora di doversi confrontare con il candidato del centro destra Pinera al ballottaggio del 17 gennaio prossimo, ma la presenza del giovane Meo potrebbe mandare all’aria i suoi programmi nonostante goda del vantaggio di essere il candidato della presidente uscente Bachelet. Il nome Enriquez Ominami ha un suo peso in Cile. Suo padre, Miguel Enriquez, è stato uno dei leader del movimento marxista MIR che si è battuto contro la dittatura militare di Augusto Pinochet prima che il regime cadesse e il dittatore giustiziato nel 1974. Marco, che allora aveva solamente un anno, si è trasferito con la madre in Francia ritornando in Cile nel 1986. Al suo cognome ha voluto aggiungere quello di Ominami in onore del suo patrigno, il senatore Carlos Ominami. Regista cinematografico di successo, Enriquez-Ominami è sposato con una popolare conduttrice televisiva, Karen Doggenweiler, e il suo obiettivo è quello di ottenere i voti dei giovani elettori. Meo descrive se stesso come un progressista liberale ben lontano dall’ideologia di suo padre tant’è che nella discussione per la riforma della legge elettorale e la stesura di una nuova costituzione si è distinto, da parlamentare, per le sue politiche liberali nel settore dell’economia.

mercoledì 9 dicembre 2009

MORALES SALVERA' LA BOLIVIA?

Come era facile aspettarsi, Fidel Castro e Hugo Chavez hanno brindato per festeggiare la riconferma di Evo Morales alla presidenza della Bolivia. Entrambi hanno salutato il voto come una vittoria dell’ideologia anti imperialista. Riferendosi agli Stati Uniti, sia il cubano Castro sia il venezuelano Chavez, hanno usato i termini “capitalista” e “impero” dimostrando come per loro gli Usa continuino ad essere un nemico belligerante. Morales, lo scorso anno, aveva invitato i rappresentanti degli Stati Uniti e dell’ US Drug Enforcement Administration a lasciare il Paese accusandoli di cospirare contro il suo Governo.
La vittoria di Morales, 50 anni, sarà convalidata ufficialmente domani 10 dicembre.


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TEMPI DURI PER IL ROMENO BASESCU


Con il 50,33 per cento dei voti Traian Basescu è stato rieletto presidente della Romania mentre lo sfidante Mirces Geoana si è fermato al 49,66 per cento. Più esattamente, Basescu ha ottenuto 5.275.808 voti e il comunista Geoana 5.205.760. Nei circa 70 mila voti di differenza pesano quelli dei 148 mila romeni residenti all’estero di cui più di tre quarti hanno votato per Basescu. Lo stretto margine di differenza spiega come nel paese appena entrato nella UE sia in atto una sorta di scisma politico che rende difficile l’attuazione delle riforme. I Socialdemocratici (Psd) sono al primo posto con meno di un punto di vantaggio sui Democratici Liberali (Pdl), ma hanno tre seggi in meno in Parlamento (166 contro 163). I sostenitori di Geoana hanno denunciato brogli e compravendita di voti mentre gli osservatori internazionali intendono rivalutare le irregolarità registrate durante il ballottaggio di cui almeno 194 denunciate alla polizia. Il voto di domenica scorsa è stato uno dei più importanti dopo la rimozione del dittatore Nicolae Ceausescu e la sua uccisione venti anni fa. La speranza del nuovo governo è di poter dialogare nuovamente con il Fondo Monetario Internazionale e ottenere i 20 milioni di euro congelati in attesa di una più chiara situazione politica in un Paese che è stato dichiarato il più povero e corrotto dell’Unione europea. Non sarà facile comunque per Basescu formare un nuovo governo con quegli stessi partiti con i quali nel corso dei suoi cinque anni di presidenza si è più volte scontrato proprio sul tema delle misure anti corruzione.

Geoana, dal canto suo, si è detto non intenzionato a collaborare con Basescu e con i suoi alleati del centrodestra, i Democratici Liberali, sostenendo che il partito socialdemocratico e quello Liberale, il terzo in ordine di grandezza, continueranno a lavorare assieme contro la coalizione di destra che si è formata prima delle elezioni.

La situazione politica ed economica della Romania, proprio a causa alle elezioni vinte di stretta misura da Basescu, non sarà facilmente risolvibile e c’è grande attesa per capire quali strumenti dovranno essere adottati, a livello internazionale, per restituire stabilità al paese balcanico.

Il nuovo Parlamento dovrà insediarsi il 13 dicembre mentre il presidente ha 20 giorni di tempo per dare l'incarico a formare il nuovo Governo


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LE ISOLE COMOROS VOTANO PER IL SECONDO TURNO IL 20 DICEMBRE


Abdérémane Ahmed, uno dei figli dell’ex presidente delle Isole Comore, Ahmed Abdallah assassinato nel 1989, è stato eletto al primo turno delle elezioni politiche di domenica scorsa.
Più di 363.697 elettori hanno votato per eleggere 24 parlamentari a cui si aggiungono altri 9 eletti dalle circoscrizioni delle tre isole che compongono l’Unione delle Comoros: Great Comoro, Anjouan e Moheli. I municipi sono 53: 23 nella Great Comoros, 19 a Anjouan e 11 a Moheli. Il secondo turno è previsto per il 20 dicembre.
I parlamentari saranno scelti tra più di 140 candidati. I candidati della coalizione del presidente Ahmed Abdallah Sambi hanno incentrato la loro campagna elettorale, durata due settimane, sul tema della stabilizzazione della difficile situazione economica mentre l’opposizione ha sostenuto la necessità di un radicale cambiamento.
Le operazioni di voto sono iniziate con due ore di ritardo che l’opposizione ha attribuito ad un clima di pesante intimidazione. Gli oppositori di Sambi accusano il leader federale di minare le libertà politiche incentivando la corruzione e cercando di estendere il periodo del proprio mandato. Una delle prime questioni che dovrà affrontare il nuovo parlamento sarà, infatti, la ratifica del risultato del referendum, svoltosi all’inizio dell’anno, che prevede appunto l’estensione del mandato del presidente e la concomitanza delle elezioni amministrative con quelle politiche. Il leader dell’opposizione Said Larifou è stato arrestato per un breve periodo dalla polizia, lo scorso mese, avendo definito il presidente Sambi “un infedele”. Anche un giornalista è stato arrestato questa settimana con l’accusa di aver diffuso notizie false.

sabato 5 dicembre 2009

BOLIVIA E ROMANIA AL VOTO

Bolivia: lo spot del presidente in carica di cui è data per certa la riconferma



Romania: Mircea Geoana del Partito Socialdemocratico (PSD), in base a sondaggi dell’ultima ora, risulta in testa con il 54 per cento rispetto al presidente in carica Traian Basescu le cui preferenze si attestano sul 46 per cento. Ecco l'ultimo dibattito televisivo tra Geoana e Basescu.

giovedì 3 dicembre 2009

LE ISOLE COMOROS DOMENICA VOTANO PER IL PARLAMENTO


Gli abitanti delle isole Comoros, situate nell'oceano Indiano a sud est del continente africano, andranno domenica 6 dicembre alle urne, al primo turno, per eleggere i propri rappresentanti. Le Comoros fanno parte della Lega Araba e hanno una popolazione di circa 800 mila abitanti. Il paese è composto da quattro isole di origine vulcanica e una di queste, la Mayotte, è sotto la giurisdizione della Francia a seguito di un referendum che si è svolto lo scorso mese di maggio.
Il presidente del Paese, che nel video qui sotto vediamo esibirsi in una danza tipica, è Ahmed Abdallah Mohamed Sambi, un islamico moderato, soprannominato "Ayatollah" a causa del suo vezzo di indossare turbanti e abilissimo oratore. Proprietario di una rete televisiva e di una stazione radiofonica oltre che di un'azienda agricola, ha vinto le elezioni presidenziali nel 2006 con il 58,02 per cento dei voti (su 13 avversari) ed è di fatto il presidente dell'Unione delle Comoros che, a suo dire, non sono ancora pronte a diventare un paese islamico (infatti non ha mai chiesto alle donne di indossare il velo). Il suo programma elettorale era stato quello di combattere la corruzione, creare posti di lavoro e costruire case migliori per i comoriani che vivono in povertà.
Il primo turno elettorale era in programma per il 29 novembre, ma è stato spostato di una settimana a causa dell'arresto di alcuni giudici costituzionali il 21 ottobre scorso e il ritardo con cui sono stati depositate le candidature. Alla base della diatriba in atto, la cancellazione di alcuni articoli della legge elettorale da parte del capo dello Stato e la condizione che i rappresentanti della Commissione elettorale prestino giuramento davanti alla Corte costituzionale al posto della corte d'appello. I principali partiti all'opposizione sono il centrista Convention pour le renouveau del Comores (Rcr) e il federalista Camp des Iles Autonomes.
Le spese per le elezioni sono state finanziate dai partners per lo sviluppo compresa la Francia, l'Unione Europea, l'Unione africana e la Lega araba.
Il parlamento delle isole Comoros è unicamerale (l'Assemblea Federale) ed è composto da 33 membri che rimangono in carica quattro anni. 18 parlamentari vengono eletti in collegi uninominali, a maggioranza e in due turni: un candidato è eletto se ottiene la maggioranza assoluta al primo turno o la maggioranza semplice al secondo. Gli altri 15 seggi vengono assegnati ai rappresentanti delle assemblee regionali.

LA BOLIVIA VERSO LA RICONFERMA DEL COMUNISTA MORALES


Mentre Porfirio Pepe Lobo, con il 56 per cento dei voti è stato eletto presidente dell’Honduras succedendo al deposto ex presidente Zelaya le cui posizioni politiche convergevano con quelle del venezuelano Chavez, in Bolivia sta per essere rieletto presidente un alleato del discusso presidente venezuelano.

Un anno fa la Bolivia sembrava sull’orlo di una guerra civile con profonde divisioni tra la destra e la sinistra, le aree rurali e quelle urbane, i sostenitori e gli oppositori del presidente Evo Morales. Alla vigilia delle elezioni presidenziali e politiche di domenica 6 dicembre ben poco rimane di quelle ostilità e tutto lascia infatti presagire che il presidente in carica, discendente di una tribù di indigeni e coltivatore di foglie di coca, si avvii ad essere rieletto al primo turno.


Gli ultimi sondaggi, affidati a tre diverse società di ricerca, collocano Morales al 52 per cento dei voti con uno scarto di bel 34 punti sul suo più stretto avversario (i candidati principali in corsa sono 5), il rappresentante della destra Manfred Reyes Villa. Se questi numeri avranno un riscontro nei seggi, Morales, 50 anni, sarà rieletto per i prossimi cinque anni. La campagna elettorale dell’opposizione si è incentrata soprattutto sulla necessità di impedire che il partito del presidente Morales (Morales Movement Towards Socialism: MAS), che ha la maggioranza al Parlamento, la ottenga anche al Senato. La commissione elettorale ha gettato un’ombra sulle elezioni rifiutandosi inizialmente di registrare più di 400 mila elettori adducendo difficoltà nel definire la loro effettiva identità. La commissione ha ceduto alle numerose proteste e alla lunghe code di elettori che si sono formate per chiedere di essere abilitati al voto.

Marales ha accusato il tribunale elettorale di cercare il conflitto e l’opposizione di aver “paura degli elettori”.

Il numero dei sostenitori di Morales è cresciuto ultimamente anche nella provincia di Santa Cruz, la più ricca del Paese. Grazie a importanti investimenti nell’agricoltura, la regione produce oggi infatti un quarto del prodotto interno. Morales ha attraversato la città di Santa Cruz a bordo di un trattore seguito da centinaia di sostenitori, evento questo che solo un anno fa non sarebbe stato possibile, per motivi di sicurezza, a causa dell’offensiva messa in atto dalla destra boliviana. I primo mandato del presidente Morales non è stato facile: la ricca minoranza boliviana – la gran parte della quale discendente da immigrati europei -, ha profondamente contestato la riforma sociale a favore delle 36 tribù indigene che per secoli erano state discriminate. Morales ha riscosso un grande successo anche rivedendo profondamente la costituzione che è stata ratificata, nella sua nuova veste, lo scorso mese di gennaio. Il suo partito ha raccolto ulteriori successi grazie alla nazionalizzazione delle industrie petrolifere e del gas naturale e la redistribuzione delle terre agli agricoltori.

L’opposizione, d’altro lato, non è riuscita a fare molto per contrastare l’attività di Morales e il conservatore Reyes Villa non ha potuto altro se non accusare le politiche del presidente come “una democrazia del terrore” e dichiarando di essere “politicamente perseguitato” dal governo. Davanti all’alta percentuale di sostenitori del presidente Reyes Villa ha affermato che gli elettori sono stati costretti a votarlo accusandolo di intrattenere relazioni troppo strette con il presidente venezuelano Chavez, sulle sue stesse posizioni politiche.

La comunità ebraica della Bolivia è stata la sola a protestare formalmente lo scorso mese per la visita del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, che ha ribadito la negazione dell’Olocausto e dichiarato che lo stato d’Israele deve sparire.

Risultati del sondaggio

Se domani ci fosse l’elezione del Presidente, per chi voterebbe?

Nov. 2009

Oct. 2009

Sept. 2009

Evo Morales

55%

52%

54%

Manfred Reyes Villa

18%

21%

20%

Samuel Doria Medina

10%

13%

11%

René Joaquino

2%

3%

3%

Alejo Véliz

--

--

1%

Other / Blank ballot

15%

11%

11%

Source: Ipsos, Apoyo, Opinión y Mercado / La Razón
Methodology
: Interviews with 2,980 Bolivian adults, conducted from Nov. 14 to Nov. 22, 2009. Margin of error is 2.45 per cent.


L'avversario di destra Manfred Reyes

martedì 1 dicembre 2009

LE CAMPAGNE ELETTORALI DI DICEMBRE

Da domani 2 dicembre analisi e curiosità delle campagne elettorali in corso in Bolivia, Cile, Guinea, Uzbekistan e Croazia.