domenica 31 maggio 2009

NOTIZIE UTILI

Tariffe postali agevolate
Movimenti e candidati hanno diritto a una tariffa postale agevolata per plichi di peso non superiore ai 70 grammi per l’invio di materiale elettorale. La tariffa di Euro 0,04 può essere utilizzata soltanto nei 30 giorni precedenti le elezioni.

Manifesti

I manifesti vanno affissi esclusivamente negli appositi spazi predisposti dai Comuni che si dividono in:
• spazi di propaganda diretta, assegnati ai candidati e alle liste;
• spazi di propaganda indiretta, assegnati, dopo richiesta al Sindaco, ai soggetti che non partecipano direttamente alla competizione.
Oltre all’affissione fuori degli appositi spazi, è punita con sanzioni amministrative anche l’affissione in spazi assegnati a concorrenti

Annunci sonori da un’auto in movimento
La propaganda sonora attraverso mezzi in movimento è limitata all’annuncio dell’ora e del luogo in cui si terranno gli incontri, i comizi, gli eventi di propaganda elettorale.
Altre limitazioni, per esempio di orario o luoghi, possono essere previste da regolamenti comunali.

Invio di materiale tramite posta
Il materiale elettorale può essere distribuito:
• in proprio con sostenitori e candidati, dividendo le aree geografiche della città;
• in abbinamento a giornali cellophanati con indirizzo;
• con altre pubblicità commerciali;
• mediante posta elettronica;
• mediante Poste Italiane, con o senza indirizzo, a prezzo ridotto (informazioni presso gli sportelli postali).

POLITICHESE SUL TELEFONINO!!!!!!

http://www.intermundia.it/iphone/politichese.html

ELISABETTA GARDINI: un esempio di come si parla in pubblico

venerdì 29 maggio 2009

Come incrementare l'affluenza al voto: un modello americano

http://www.poconorecord.com/apps/pbcs.dll/article?AID=/20090522/NEWS04/905220343

Counties fear state won't pick up election tab


County officials across California are worried that state leaders whose budget-balancing ballot measures were rejected in last week's special election will not reimburse local governments for the cost of the failed attempt, a bill that could reach $100 million.

The state usually pays the 58 counties for the costs of special elections, but not always. With California's dire budget situation growing bleaker by the day, local officials are not holding their breath.

"At this point, we anticipate it as a cost that we, once again, are going to have to absorb," said Susan Muranishi, administrator for Alameda County, which spent almost $3 million on the election.

A statewide association of county elections officials believes the final bill will probably be $68 million to $70 million, while the secretary of state said the cost could be $60 million to $100 million. County officials say they paid the costs out of their general fund, the main source of money for day-to-day operations.

San Francisco budgeted $3 million for the election, while San Mateo County officials anticipate that their final costs will be nearly $2 million. The bill in Contra Costa County is likely to be $3.2 million, officials there said.

"This is on the county's nickel, and hopefully there is reimbursement," said Steve Weir, clerk-recorder in Contra Costa County. Weir also is coordinating the effort among counties to submit election expenses to the state.

No state reimbursement for last Tuesday's election would compound local governments' looming fiscal problems, which include Gov. Arnold Schwarzenegger's plan to keep as much as $2 billion in property taxes from financially struggling local governments to help the state balance a growing budget gap exceeding $21 billion.

Administration officials said they would push for counties to be paid back. Reimbursement for election costs must be approved by the Legislature, which is considering drastic cuts to a host of programs and services.

State Senate President Pro Tem Darrell Steinberg, D-Sacramento, and Assembly Speaker Karen Bass, D-Baldwin Vista (Los Angeles County), said they will address the question of reimbursing counties for election costs, but not right away.

Steinberg said the payment will probably be part of a budget deal that the Legislature and Schwarzenegger are trying to reach for the coming fiscal year, which begins July 1.

California counties received $86 million for the February 2008 presidential primary under a bill the Legislature passed to authorize the election. There was no such requirement for last week's special election.

Local officials are bracing for the state to borrow money, delay payments for services and cut funding for some services altogether.

"We're at a point where we don't have a lot more ability to share the pain without significant changes to public services, which is a euphemism for stopping doing things," said Jean Hurst, lobbyist for the California State Association of Counties.

Hurst said counties are "exploring a lot of different options" on how they might push back against the state's efforts to borrow local money.

San Mateo County Board of Supervisors President Mark Church said leaders there are "bracing for the worst" and exploring how to push for major constitutional reform for the state.

San Francisco officials also are fed up.

"Instead of getting our fair share of funding for vital services like health care and public safety, we're going to have to make cuts - all because state government can't get its act together," said Nathan Ballard, spokesman for Mayor Gavin Newsom.

Chronicle staff writer Matthew Yi contributed to this report. E-mail Wyatt Buchanan at wbuchanan@sfchronicle.com.

http://sfgate.com/cgi-bin/article.cgi?f=/c/a/2009/05/26/BAG317P2G6.DTL

This article appeared on page B - 1 of the San Francisco Chronicle

martedì 26 maggio 2009

Propaganda elettorale



Per i due appuntamenti elettorali del 2009, le elezioni europee e le elezioni amministrative, la propaganda elettorale cesserà alle ore 24 di venerdì 5 giugno 2009.
Ai fini del computo dei termini dei procedimenti elettorali si considera giorno della votazione quello della domenica.

La struttura del discorso



Durante una campagna elettorale un candidato tiene centinaia di discorsi il cui contenuto varia in base al contesto cioè al luogo e al pubblico al quale sono indirizzati. Ogni candidato dovrebbe disporre di una parte fissa, una specie di un corpo centrale, normalmente presente in ogni discorso, che cambia poco da pubblico a pubblico. Questo materiale rappresenta la parte centrale del messaggio che il candidato indirizza agli elettori via via che si sposta sul territorio. In America questo aspetto centrale del discorso viene definito dai candidati “stock speeches” oppure modulo del discorso (module speeches). Si calcola che normalmente un candidato tenga circa 30 discorsi alla settimana. Talvolta si è portati a ritenere che per stock speeches si intende lo stesso discorso fatto, di volta in volta, con piccoli cambiamenti.

In realtà, i candidati non tengono sempre lo stesso identico discorso modificandolo di volta in volta in base al pubblico, all’occasione o alle reazioni dei loro avversari. Piuttosto lo adattano a questi fattori.

Uno speech module è una singola unità di un discorso. Normalmente i candidati dovrebbero disporre di un modulo per ciascuno dei temi che trattano durante la loro campagna elettorale. Ogni modulo è un’unità indipendente che può durare da due a sette minuti per ogni problema. La lunghezza di ognuno può variare semplicemente aggiungendo o togliendo esempi, statistiche, illustrazioni, aforismi, aneddoti o altro materiale di supporto.

Ogni modulo si apre con un tema che cattura l’attenzione, quindi il candidato passa rapidamente alla discussione del problema. Se ha del tempo a disposizione può rendere più pregnante il tema spiegando che cosa succederà se sarà eletto e se potrà applicare il programma che ha in mente.

Un tipico modulo si sviluppa comunque in quattro fasi: catturare l’attenzione, descrivere il problema, presentare la soluzione e infine, visualizzarla. Le prime tre sono imprescindibili per qualsiasi modulo. L’ultimo può non essere necessario in quanto potrebbe essere implicito nelle due fasi precedenti.

Molti candidati sviluppano i loro moduli chiave all’inizio della campagna elettorale aggiustandoli via via che i bisogni si definiscono. In aggiunta possono aggiungere dei moduli via via che si presentano nuovi problemi. Quindi, in base al pubblico, all’occasione, e ad ogni altro fattore rilevante, essi stabiliranno quale modulo utilizzare nella maggior parte dei discorsi tenendo conto che comunque ogni discorso viene costruito su misura per ogni specifico pubblico e occasione.

Uno dei principali vantaggi di sviluppare un discorso base utilizzando dei moduli è che il candidato può utilizzarlo in molteplici occasioni. Spesso il sogno di un candidato è di essere invitato a Porta a Porta o a Ballarò. Opportunità come queste devono essere attentamente valutate così come ogni altro invito a prendere parte a incontri o talk show dove gli ospiti possono anche avere a disposizione molto tempo per esprimere i loro concetti. Se i candidati hanno pronti i loro speech moduls per ogni possibile argomento da trattare possono essere sicuri che non avranno problemi. Il modulo, che può variare in lunghezza, si presta già di per se stesso a questo tipo di format. I candidati possono accettare tutti gli inviti con un minimo di preparazione e l’autostima necessaria per sapere che non saranno colti impreparati.

Nell’era della comunicazione il mezzo più potente, e cioè la televisione, non poteva non influenzare anche le modalità con qui un oratore tiene un discorso sia davanti a una cerchia limitata di persone sia davanti a una folla. Una delle abilità che ogni oratore dovrebbe sviluppare è quella di sintetizzare in una frase breve e memorabile il proprio punto di vista se non addirittura il proprio programma politico emulando così, in qualche misura, le formule a cui si ricorre nella stesura dei testi utilizzati nella pubblicità commerciale. “No Martini, no party”, “Always Coca Cola”, “Dove c’è Barilla c’è casa”, “I like New York” sono solamente alcuni esempi di head-lines costruite in modo da favorire una rapida memorizzazione del marchio.

Se si desidera che il proprio discorso venga ripreso dalla stampa non si può certamente pretendere che venga riportato nella sua totalità. Per facilitare il lavoro dei giornalisti è quindi opportuno distribuirlo con l’anticipo sufficiente per consentir loro di sintetizzarlo. Affinché non accada che siano riportati elementi secondari del discorso o che non ne venga colta la sua essenza è necessario inserire con abilità molteplici frasi ad effetto che un giornalista non avrà alcuna difficoltà ad individuare. Si tratta dei cosiddetti soundbites - intesi come elementi dialettici con grande capacità attrattiva e il cui significato inglese si richiama sia ai byte del computer sia a un morso inaspettato quanto incisivo inferto a qualcosa.

Per un leader sintetizzare in una frase un grande concetto significa molto spesso passare alla storia e soprattutto dare al discorso una connotazione “visiva”, al pari di un’immagine. Uno dei testi reputati fra i più visivi è quello redatto da Martin Luther King dalla cella nella quale era stato imprigionato in Alabama: “…quando devi guidare attraverso il paese e scopri, notte dopo notte, che devi adattarti a dormire in un angolo scomodo della tua automobile perché nessun albergo ti accetta; quando sei umiliato giorno dopo giorno dalle scritte che indicano “bianco” e “colored” ; quando il tuo nome proprio diventa “nigger” e il tuo secondo nome diventa “ragazzo” qualunque sia la tua età e il tuo cognome diventa “John” e tua moglie e tuo madre non sono mai state chiamate rispettosamente “signore”; quando capisci giorno dopo giorno e per centinaia di notti che la realtà è che tu sei un negro, che vivi continuamente alla giornata, mai sicuro di quello che ti succederà e sei tormentato dalla paura e dal rancore; quando vivi la sensazione di non essere nessuno – allora capisci perché è così difficile aspettare”. E’ sempre di Luther King il celebre “I have a Dream” mutuato e trasformato con minor successo dal candidato alla Casa Bianca Jesse Jackson in “I have a Scheme”. A Churchill si deve l’altrettanto celebre “Blood, Sweat and Tears” (sangue, sudore e lacrime) e a De Gaulle “Vive Quebec Libre”.

In questi esempi è adottata la teoria della “lista dei tre”. Un metodo da utilizzare quando si tiene un discorso e che si basa sul principio che l’uso di tre parole o la ripetizione dello stesso termine per tre volte in molte culture comunica un senso di completezza e unità producendo un effetto gradevole sia in chi lo pronuncia sia in chi l’ascolta. A dimostrazione viene portato l’esempio delle frasi “Uno, due, tre..via!” oppure “Al vostro posto, pronti, via!” che praticamente in tutte le culture del mondo vengono utilizzate per dare inizio a una gara. E’ per questo che un discorso dovrebbe iniziare sempre con tre parole fra loro connesse come ad esempio “Signore, Signori, Amici”. Un altro esempio dell’uso della “lista dei tre” applicato a un discorso politico è quello che si trova nell’intervento di Nelson Mandela nel 1990 in occasione della sua scarcerazione: “Amici, compagni e fratelli sudafricani. Vi saluto in nome della pace, democrazia e libertà per tutti”. Quello che può essere definito il soundbite , utilizzato dal premier inglese Tony Blair nella sua campagna elettorale nel 1997 fu “Education, Education, Education” e uno di quelli a cui ricorse il premier Silvio Berlusconi nella sua campagna del 2001 fu “Inglese, Internet, Impresa”.

La retorica come strumento politico



Parlare bene in pubblico è un’arte antica erroneamente sottovalutata da chi pensa che la televisione l’abbia soppiantata a favore di concetti compressi in frasi concise al punto da risultare degli slogan. Sintetizzare dei pensieri complessi in poche parole è certamente un obbligo per chi si esprime verbalmente davanti alle telecamere ma ciò non significa affatto rinunciare alle regole della retorica che qualcuno ritiene equivalga a un fraseggio barocco e arcaico. La retorica prevede sì lunghi duelli verbali fra i contendenti, ma anche e soprattutto frasi brevi e illuminanti: le stesse che oggi vengono richieste a chi deve affrontare i velocissimi tempi televisivi.

L’importanza dell’apprendimento della retorica e dell’eloquenza risale all’antica Grecia quando a tutti i cittadini maschi si chiedeva di esercitarsi nell’arte di parlare in pubblico per poter intervenire con cognizione di causa nelle corti di giustizia, nelle assemblee e nelle cerimonie pubbliche. Il presupposto che per essere bravi cittadini in grado di giudicare e di essere giudicati bisognava saper parlare in pubblico, è confermato dall’uso del termine retore e oratore per designare proprio i politici.

Nel 390 a.c. Isocrate, che Cicerone considerava il padre dell’eloquenza, fondò una scuola per insegnare ai cittadini a scrivere e a parlare di argomenti politici e Marco Tullio Cicerone stesso in più occasioni dichiarò che la retorica e la cultura umanistica (humanitatem) erano talmente interconnesse da impedire che potesse esistere l’una senza l’altra. E non casualmente il programma di studi predisposto da Quintiliano per l’apprendimento dell’arte oratoria comprendeva la filosofia, la logica, la storia e la religione e aveva l’obiettivo di formare “un uomo perbene esperto nell’arte di parlare”. A quel tempo l’uso della voce era un elemento fondamentale per la riuscita o meno di un discorso e pare che Demostene, la cui arte oratoria era indiscussa, allenasse le proprie corde vocali provando i suoi discorsi davanti al mare per sopraffare il rumore delle onde che si infrangevano sulle rocce.

L’importanza della retorica è confermata nei secoli successivi anche dai criteri di selezione degli studenti dell’università di Harvard che, quando su fondata nel 1643, chiedeva ai suoi studenti di parlare correttamente in latino, di saper declinare vocaboli e verbi in greco e di dimostrare di conoscere l’opera di Tullio Cicero o di altri classici latini. Le materie di studio erano la logica, la fisica, l’etica, la politica, il greco, l’etimologia, la sintassi, la poetica, lo stile e la composizione, l’ebraico, la grammatica e la retorica. Disposizioni ben precise dicevano poi che “…ogni studente deve declamare in pubblico almeno una volta al mese”. Per esercitare questa abilità gli studenti erano invitati ad analizzare i discorsi degli oratori del passato con l’obiettivo di implementare le loro conoscenze sia per quanto riguarda i contenuti sia per quanto riguarda le formule che rendono grande un discorso.

Ancora oggi nei paesi anglosassoni lo studio della retorica fa parte dell’insegnamento scolastico e l’argomentare in pubblico oltre ad essere materia di studio in colleges e università è anche oggetto di competizioni verbali che riscuotono grande successo di pubblico. Gli studenti vengono invitati a dibattere su uno specifico argomento e vengono poi giudicati sulla base della loro capacità ad usare la retorica e argomenti persuasivi piuttosto che dell’onestà del loro punto di vista. Non solo. Vengono anche incoraggiati a considerare l’insincerità come un elemento assolutamente accettabile se aiuta a rafforzare la loro carica persuasiva.

Il giovane futuro presidente degli Stati Uniti Abram Lincoln era talmente convinto dell’efficacia di queste materie che fu un accanito studioso di Cicerone e Demostene ma anche dei discorsi di Falstaff, di Amleto e di Enrico V. Anche Winston Churchill era un appassionato di retorica sulla quale si esercitava, tra l’altro, imparando a memoria centinaia di discorsi. Nel 1953, qualche giorno prima di morire, si narra che recitò al suo medico 86 versi per dimostrare che la sua memoria era intatta. Durante la sua campagna elettorale Churchill tenne oltre 140 discorsi arringando gli elettori nelle condizioni più bizzarre: dall’automobile, dal cavallo, dai davanzali delle finestre, in piedi sui tavoli, nelle miniere a mille metri sotto terra. Lo seguiva ovunque una compagnia di attori che rappresentava episodi della guerra boera alla quale egli partecipò in veste di corrispondente di guerra del Morning Post.

Cicerone e Quintiliano sostenevano che una formazione di base che comprendesse la retorica accresceva il potere di persuasione, sviluppava la capacità di ragionamento e perfezionava la propria lingua madre. Per i Greci e i Romani l’oratoria era quindi un’ arte che si coniugava alla capacità di memorizzazione, l’ars memoriae che, per Aristotele, rappresentava una dei capisaldi della retorica assieme all’argomentazione, allo stile e alla capacità di esprimersi.

Se Quintiliano teorizzò che un buon cittadino è un uomo perbene esperto nell’arte di parlare, la Cia nel 1980 mise in pratica questa affermazione predisponendo un manualetto intitolato Psycological Operations in Guerilla Warfare che fu distribuito dagli agenti americani ai guerriglieri Contras in Nicaragua. Nel testo si enunciavano “le figure retoriche che più frequentemente vengono usate nell’arte oratoria”. “Vi raccomandiamo” scriveva l’autore sotto lo pseudonimo Tayacan, “di ricorrerre con moderazione a questi accorgimenti stilistici perché i loro abuso fa perdere credibilità all’oratore”. Oltre alla cioccolata e alla sigarette gli Stati Uniti somministravano quindi ai guerriglieri figure retoriche come apostrofe, paralissi, litote e interrogazioni. Tayacan scriveva:

Apostrofe: consiste nel rivolgersi a qualcosa di sopranaturale o inanimato come se fosse un essere vivente. Per esempio: “Montagne del Nicaragua, fate crescere il senso della libertà!”.

Paralissi: coinvolge la pretesa di discrezione. Per esempio: “Se io non fossi obbligato a non rivelare i segreti militari, io vi direi tutto ciò che riguarda gli armamenti di cui disponiamo in modo che voi vi sentiate così fiduciosi da ritenere che la vittoria sia assicurata”.

Litote: è un modo per indicare qualcosa di importante pur minimizzando. Per esempio: “I nove comandanti non hanno distrutto molto, solamente un intero paese”.

Interrogazione: consiste nel porsi una domanda. Per esempio: “Se loro avessero assassinato i membri della mia famiglia, i miei amici, i miei fratelli, avrei ancora qualche scrupolo a imbracciare un fucile?”.

Pensare che queste regole che si richiamano alla retorica più genuina non abbiano a che fare con i tempi televisivi è quantomeno azzardato.

Comunali: come si vota

Si vota per il rinnovo del sindaco e dei consigli comunali di 4.281 Comuni. Al primo turno si vota sabato 6 giugno dalle ore 15 alle 22 e domenica 7 giugno dalle ore 7 alle 22.

VOTANTI - I votanti sono 18.419.204, di cui 9.500.906 donne e 8.918.298 uomini. Le sezioni elettorali sono 22.965. Per votare occorre esibire alla sezione elettorale in cui si è iscritti un documento di identità valido e la tessera elettorale. Chi l’ha smarrita può richiederla agli uffici del proprio Comune che saranno aperti durante tutto l’orario di votazione.

SCHEDA- Possono votare tutti i cittadini che nel giorno delle votazioni hanno compiuto 18 anni. La scheda è di colore azzurro nelle Regioni a statuto ordinario. Le modalità di voto sono diverse per i Comuni con più di 15 mila abitanti e quelli con meno di 15 mila abitanti.

COMUNI CON OLTRE 15 MILA ABITANTI in regioni a statuto ordinario
Votando una lista, il voto si intende valido anche per il candidato sindaco collegato, così come tracciando due segni: sulla lista e sul rettangolo con il nome del candidato sindaco. Se si vota solo il candidato sindaco senza un segno sulla lista che lo sostiene, il voto si intende attribuito solo al candidato sindaco e non alla lista. È ammesso il voto disgiunto: si può tracciare un segno sul rettangolo del candidato sindaco e su una lista diversa da quelle che lo sostengono. In questo modo il voto è attribuito al candidato (e non alle liste che lo sostengono) e alla lista prescelta (ma non al suo candidato). È possibile votare solo per un candidato al consiglio comunale, scrivendo il cognome a destra della lista collegata.

BALLOTTAGGIO Se uno dei candidati non ottiene il 50% più un voto dei voti validi, i due candidati più votati andranno al ballottaggio. Il ballottaggio è previsto domenica 21 giugno dalle 8 alle 22 e lunedì 22 giugno dalle 7 alle 15.

COMUNI CON MENO DI 15 MILA ABITANTI in regioni a statuto ordinario
Il voto si intende attribuito sia al candidato sindaco che alla lista a lui collegata se l’elettore traccia un segno sul nome del candidato sindaco, o sul simbolo della lista dei candidati consiglieri, o due segni: sul nome del candidato sindaco e sulla lista che lo sostiene. È possibile votare solo per un candidato al consiglio comunale, scrivendo il cognome a destra della lista collegata. In questo modo viene attribuito il voto al candidato consigliere, al candidato sindaco e alla lista a lui collegata.
Non è ammesso il voto disgiunto.
Non è previsto il ballottaggio.

L'ULTIMO SONDAGGIO

http://www.corriere.it/politica/speciali/2009/elezioni/notizie/sondaggio_mannheimer_pdl_pd_9700ee00-4603-11de-8c01-00144f02aabc.shtml

STORIA DELLA PROPAGANDA ELETTORALE


Qui a fianco una scritta elettorale su una casa di Pompei

All’inizio del Novecento in Italia, più modestamente rispetto a quanto avveniva negli Stati Uniti dove ogni evento elettorale si traduceva in una vera e propria kermesse che coinvolgeva migliaia di cittadini, le campagne elettorali si caratterizzavano soprattutto per il ricorso smodato alle affissioni al punto che a Milano, ad esempio, il Corriere della Sera nel gennaio del 1911 scrisse: “Nell’imminenza della lotta amministrativa furono emanate le solite disposizioni che consentono l’affissione di manifesti su tutti i muri e la vietano nelle tabelle municipali: sarebbe desiderabile che venissero poste delle limitazioni, almeno per quel che riguarda i monumenti e gli edifici degni di rispetto. Se mancano, tuttavia, regole speciali, crediamo si possa vigilare per una disciplinata affissione sì da risparmiare i luoghi che dalla disordinata tappezzeria di carta verrebbero sconciati. L’ammonimento ci viene suggerito anche da qualche lettore che ci scrive nel senso sopra espresso, allarmato, evidentemente, dal fatto che dell’occasione elettorale sogliono profittare coloro che fanno, con manifesti e disegni, delle reclames di cattivo gusto”.

Folcloristicamente, sempre a Milano, in occasione delle elezioni amministrative del 1897 molti cani randagi furono addobbati con cartelli con la scritta “Votate per i socialisti” mentre a Roma i sostenitori di un candidato di sinistra precorrevano i quartieri cantando una canzoncina, un vero e proprio jingle romanesco, i cui versi inneggiavano al loro candidato.

Nella stessa epoca, in Gran Bretagna, la figura preminente delle campagne elettorali era il canvasser, un collaboratore del candidato che, seguendo più o meno le regole di quello che oggi è il multilevel marketing, scandagliava il collegio elettorale andando di casa in casa a raccogliere le opinioni degli elettori, per convincerli a votare per il proprio rappresentato e per trasformarli a loro volta in canvasser. Non casualmente venivano chiamati “agenti” e il loro ruolo era quello di creare sul territorio una rete fittissima di sostenitori.

Imponente era, anche oltremanica, il ricorso a manifesti e cartelli murari che venivano affissi ovunque. In particolare, nei quartieri popolari venivano esposti alle finestre delle abitazioni private e non era insolito che alcune stanze venissero affittate dai candidati per bilanciare – attraverso l’esposizione dei propri striscioni -, una eccessiva presenza, in quella determinata via o piazza, del proprio avversario. Anche in Gran Bretagna, nelle aree rurali, il ricorso ad animali, soprattutto cani, mucche e cavalli addobbati con manifesti elettorali era piuttosto diffuso.

Non inferiore era la fantasia dei candidati francesi ai quali era però vietato di imbrattare i muri delle abitazioni con manifesti la cui affissione poteva avvenire solamente su appositi tavolati – esattamente come accade oggi praticamente in tutta Europa -, predisposti delle municipalità in occasione delle elezioni.

In Grecia, siamo sempre all’inizio del Novecento, i candidati affidavano alla loro fotografia il compito di convincere gli elettori. Si trattava di veri e propri manifesti con il volto del candidato e il suo nome, ma senza alcuno slogan. Le foto, nei formati più diversi, venivano appese ovunque: sui rami più alti degli alberi, sui monumenti, sui fili normalmente utilizzati per stendere la biancheria, alle porte e alle finestre. L’elemento distintivo delle campagne elettorali greche era la parata che le concludeva e che, in qualche modo, può essere comparata alle processioni religiose: una gigantesca fiaccolata in cui venivano portate in trionfo le foto dei candidati e che, nelle intenzioni degli organizzatori, aveva il compito di convincere gli elettori ancora incerti a votare per l’uno o l’altro.

MACHIAVELLI DIXIT

“A uno principe, adunque, non è necessario avere in fatto tutte le soprascritte qualità, ma è bene necessario, parere di averle.
Anzi, adirò a dire questo, che, avendole e osservandole sempre, sono dannose, e parendo di averle, sono utili; come parere pietoso, fedele, umano, intero, religioso, ed essere; ma stare in modo edificato con l’animo, che, bisognando non essere, tu possa e sappi murare el contrario”…….


“Debbe, adunque, avere uno principe gran cura che non li esca mai di bocca una cosa che non sia piene delle soprascritte cinque qualità, e paia, a vederlo e udirlo, tutto pietà, utto fede, tutta integrità, tutto umanità, tutto religione. E non è cosa più necessaria a parere di avere che questa ultima qualità. E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani (più alle apparenze che alle azioni); perché tocca a vedere a ognuno, a sentire a pochi.
Ognuno vede quello che tu pari, pochi sentono quello che tu sé; e quelli pochi non ardiscano opporsi alla opinione di molti, che abbino la maestà dello stato che gli difenda: e nelle azioni di tutti gli uomini, e massime de’ principi, dove non è iudizio a chi reclamare, si guarda al fine.
Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e mezzi saranno sempre iudicati onorevoli e da ciascuno laudati; perché il vulgo ne va sempre preso con quello che pare e con lo evento della cosa (con l’apparenza e col successo), e nel mondo non è se non vulgo; e li occhi non ci hanno luogo, quando li assai hanno dove appoggiarsi.
Alcuno principe de’ presenti tempi, quali non è bene nominare, non predica mai altro che pace e fede, e dell’una e dell’altra è inimicissimo; e l’una e l’altra, quando è l’avessi osservata, egli arebbe più volte tolto o la reputazione o lo stato”


Niccolò Machiavelli
(1469-1527)
Il Principe cap. XVIII: Il che modo i principi abbino a mantenere la fede

COME STARE DAVANTI A UNA TELECAMERA.

Questo è un ottimo esempio di come stare davanti a una telecamera. Elisabetta Gardini,parlamentare uscente, candidata alle europee nella Circoscrizione Nord Est per il PdL, ha un passato da attrice ma è evidente che si è appropriata della politica in maniera seria. Tutto da imparare. Il fatto che stia in piedi le conferisce autorevolezza. La sua grande forza? La voce. Perfettamente impostata. Cercare di assomigliarle è tutt'altro che impossibile. Come già detto e ripetuto alla base c'è autostima e autocontrollo.

lunedì 25 maggio 2009

Berlusconi alla CNN

CONSIGLIO N.1

Ricordo ai candidati che in questi giorni si stanno ammalando di "frenesia cartacea" ri-ordinando la stampa migliaia di santini, manifesti, pieghevoli, lettere agli elettori ed altro, che è meglio dirottare quei soldi sulle televisioni e soprattutto che il messaggio sono loro. Fisicamente intesi. La carta, ma l'ho già detto, è appunto solo carta.

domenica 24 maggio 2009

CHI E' IL CAPPONE?

Efficienza e democrazia non sono necessariamente sinonimi. Anzi di norma un regime autoritario ha governi più efficienti. Ma ha anche altri problemi, ovvero che le loro società, di norma, non lo sono e con il tempo non lo sono più nemmeno i governi.
Nei regimi liberi, di norma, il governo è efficiente se lo è anche la democrazia. Ma è difficile pensare a una democrazia efficiente senza rappresentanza politica della società civile. Difficilmente quindi lo sarà anche il governo. A meno di rinunciare alla libertà.
Ma in un paese libero è prioritaria l’efficienza delle sue istituzioni pubbliche, la semplicità e la coerenza delle leggi, l’imparzialità della giustizia, la buona amministrazione dei servizi, la facilità di accedere alle informazioni in campo economico, la certezza della proprietà dei propri beni e della sicurezza della propria persona, le più ampie opportunità di iniziativa per accrescere il proprio benessere e la propria formazione. L’insieme di tutto questo, per essere ben amministrato, ruota intorno alla questione della rappresentanza, compresa quella delle due istituzioni principali del nostro sistema democratico, il parlamento e il governo.
Sicuramente la prima responsabilità di un governo si misura dal funzionamento della amministrazione dello Stato di cui ne dovrebbe direttamente portare la responsabilità anche in sede civile per conto del più periferico ufficio pubblico.
Lo stesso criterio di responsabilità dovrebbe valere per i vertici di tutte quelle organizzazioni, imprese di servizi, gruppi economici, finanziari, banche tali per dimensioni che debbano essere considerate di interesse nazionale, seppur di diritto privato o misto, per l’importanza pubblica del loro ruolo.
Indicare nella riduzione dei seggi lo strumento per ridare snellezza alle Camere ed efficacia al governo è del tutto inutile se i deputati non sono eletti, ma nominati.
E’ una manovra diversiva.
Si intravede, infatti, dall’ eventualità di un ricorso alla legge di iniziativa popolare l’idea di un sondaggio sul presidenzialismo con poteri esecutivi. Una iniziativa che così condotta, in un solo colpo aprirebbe di fatto uno scontro politico con la Presidenza della Repubblica e di conseguenza con le Camere.
E’ impossibile riformare i poteri a rate senza danneggiare l’impianto della sovranità popolare.
Già diciassette anni fa accadde qualcosa di analogo con la sollecitazione della piazza contro il palazzo. Per nessuno finì come ognuno, in modo diverso, si aspettava finisse. E ora tutto potrebbe finire nel vuoto di una crisi politica. Come allora per ogni previsione e per il suo contrario può accadere esattamente l’opposto di quanto ci si attende.
La riforma dei poteri di solito la fanno i rappresentanti eletti nel corso di elezioni a cui si presentano come candidati e non capponi. Ma in tutto questo falso riformismo d’ assalto, questa è l’unica cosa che manca, essendo l’essenziale.
Il problema si sposta su quanti siano i capponi a cui la plebe possa fare la festa.
Critica Sociale del 24 maggio 2009

I PARTITI E I CANDIDATI ALLE EUROPEE



In tutte le circoscrizioni si presentano:

Inoltre:

Nord Ovest: oltre agli 11 che si presentano in tutta Italia, troviamo anche Vallee D'Aoste, Partito Comunista dei Lavoratori, Forza Nuova, e Comunità Alpine.
Qui si può vedere il manifesto elettorale.

Nord Est: oltre agli 11 che si presentano in tutta Italia, troviamo anche Partito Comunista dei Lavoratori, SVP e Forza Nuova. Qui si può scaricare l'elenco dei simboli.

Centro: oltre agli 11 che si presentano in tutta Italia, troviamo anche Partito Comunista dei Lavoratori e Forza Nuova. Qui si può vedere il manifesto elettorale.

Sud: oltre agli 11 che si presentano in tutta Italia, troviamo anche Forza Nuova. Qui si può vedere il manifesto elettorale.

Isole: sono presenti solo le 11 liste che si presentano in tutta Italia. Qui si può vedere il manifesto elettorale.

sabato 23 maggio 2009

GLI ULTIMI SONDAGGI : CHI SCENDE E CHI SALE

Il Corriere della Sera e La Repubblica, sul fil di lana (da domani sarà impossibile), hanno pubblicato gli ultimi sondaggi sulle intenzioni di voto per le elezioni europee.

Il Corriere mette a raffronto le valutazioni pubblicate dai principali istituti di sondaggio. La convergenza tra i dati è molto forte:
su otto istituti, sette valutano il Popolo della Libertà dal 40 al 43% delle intenzioni di voto e solo uno lo colloca al di sotto del 40%;
tre istituti valutano il Partito democratico tra il 25 e il 26%; tre fra il 26 e il 27% e solo due lo collocano al 29,5%;
quattro istituti collocano la Lega tra l’8,5 e il 10%, mentre tre la valutano tra il 10 e il 10,5%;
maggiori scarti per l’Idv: si va da un minimo del 6,4% a un massimo del 9,2%, ma la maggioranza dei sondaggisti attribuisce al partito di Di Pietro un risultato tra il 7 e il 7,5%;
oscillazioni considerevoli anche per quanto riguarda l’Udc, da un minimo del 4,8% a un massimo del 6,3%; tre istituti indicano il 5,5%;
la cifra di Rifondazione-Comunisti è il 3 con qualche decimale;
Sinistra e Libertà oscilla tra il 2,4% e il 3,5%;
ampio anche il margine di oscillazione per L’Autonomia, dall’1,8% al 3,5%;
ai Radicali viene data una stima tra l’1% e l’,1,3%.
Rispetto al voto delle elezioni dell’aprile 2008, l’incremento del Pdl oscilla quindi tra un minimo di 2,2 punti e un massimo di 5,6 punti percentuali.
Parallelamente, la caduta del Pd è stimata fra il 3,7 e 7,5%.
L’aumento della Lega è compreso tra lo 0,2% e il 2,2%.
La relativa maggiore ampiezza di oscillazione riguarda l’Idv, che dal 4,4% dell’aprile 2008 potrebbe salire da un minimo di 2 punti a un massimo di 4,8 punti.
L’Udc rimane sostanzialmente sulle posizioni conquistate alle politiche dello scorso anno. Difficile valutare il consenso per i partiti più piccoli, che rimangono tutti al di sotto della soglia di sbarramento del 4%.
Benché il numero di coloro che non hanno ancora indecisi sia ancora elevato, i punti di riferimento per valutare l’esito del voto sembrano chiari: se e di quanto il Pdl supererà il 40%; se e di quanto il Pd supererà il 25%; chi emergerà, come terzo partito, tra Lega e Idv, e se l’uno o l’altro o entrambi supereranno il 10% dei voti.

La Repubblica presenta un sondaggio Demos, che attribuisce al Pd una stima assai bassa, pari al 25,7%, e assegna all’Idv l’8,2%, per un complessivo 33,9%, con una perdita di 3,7 punti rispetto alle politiche del 2008. Tiene invece alte le valutazioni per Rifondazione-Comunisti (3,7%) e Sinistra e Libertà (3,1%). Al Pdl, il sondaggio Demos assegna il 38,8% e alla Lega il 10,1%.
L’istituto Demos ha anche indagato l’opinione degli italiani su alcuni temi particolari:
sui “respingimenti”, il 67,5% ha giudicato “giusta” la decisione del Governo;
sulla gestione della crisi economica, il giudizio sul Governo è positivo per il 53,3%;
sulla gestione del terremoto in Abruzzo, la valutazione positiva dell’opera del Governo raggiunge il 77,5%;
sulle “ronde”, il 53,7% degli italiani ritiene che garantiscono maggiore sicurezza;
sulla vicenda Lario-Berlusconi, il 76,7% degli italiani pensa che si tratti di un fatto privato che riguarda la vita personale di Silvio Berlusconi e solo il 20,4% pensa che abbia a che fare con il ruolo di Berlusconi come capo del Governo.

DA OGGI DIVIETO DI PUBBLICAZIONE DEI SONDAGGI!

L'ORATORE PERFETTO

venerdì 22 maggio 2009

COME SOPRAVVIVERE A UNO STUDIO TELEVISIVO


L’ansia da prestazione televisiva è una sindrome universale che si sconfigge unicamente con l’esperienza o con un buona attività di training. I sintomi che si manifestano all’ingresso di uno studio televisivo, o all’inizio delle riprese ,sono affanno, tachicardia, leggero capogiro, mani sudate e soprattutto il dubbio atroce di non sapere che cosa dire. L’enormità della propria inadeguatezza emerge quando, se siamo con altri ospiti, li sentiamo rispondere con le parole che avremmo utilizzato noi o, peggio ancora, con termini che ci sono estranei e che in quel momento ci paiono perfetti. La sensazione di annichilimento, che è la stessa che proviamo quando ci troviamo a dover parlare in pubblico, normalmente si attenua alle prime domande, ma se non riusciamo a trovare il bandolo della nostra emotività può seguirci sino alla fine della trasmissione azzerando la nostra autostima ed esponendoci al rischio di una performance di scarsa qualità. L’ansia, qualsiasi sia il motivo scatenante, può essere controllata e sconfitta. Quella che dilaga in occasione di un’apparizione televisiva, pur essendo temporanea si innesca sempre su una personalità emotivamente compromessa, facilmente vittima degli effetti dello stress, facilmente fuori controllo; caratteristiche psicologiche queste che riguardano oltre il 90 per cento della popolazione adulta e generalmente è definita “normale”. Tutto ciò per dire che chi non è ansioso in prossimità di una telecamera, soprattutto alle prime esperienze di questo tipo, rappresenta un’eccezione.

Il blocco della memoria, la matematica certezza di aver azzerato la propria capacità di esprimersi, è un’esperienza condivisa da qualsiasi inesperto che si trovi davanti a una folla reale o virtuale in procinto di emettere un giudizio. Partire dal presupposto che questo meccanismo ansioso è inevitabile e che può essere superato è un buon modo per mitigarne le conseguenze.

La campagna elettorale è, di per sé, un concentrato di tensioni e la gente lo sa bene. Impegnarsi ad apparire del tutto tranquilli rischia di produrre un effetto opposto a quello desiderato. La tensione deve quindi moderatamente trasparire perché è un segnale che si è impegnati in quello che si sta facendo. Se poi si è in grado di farne oggetto di ironia questo sarà il massimo e il risultato non potrà non essere che positivo.

La regola aurea per superare l’ansia è quella di esercitarsi ad affrontarla e a sconfiggerla. Ne rimane vittima solamente chi non sa o non vuole riconoscerla per non doversi mettere in discussione; ma questo è un altro discorso.

La televisione è un mostruoso amplificatore di tutto ciò che rimanda sul video e quindi anche degli stati emotivi. L’ansia, in televisione, viene percepita come una nevrosi e una perdita di controllo, la calma eccessiva come una estraniamento dal contesto. Controllare la situazione, sapere cioè dove si è e che cosa si sta facendo equivale a comunicare sicurezza e a generare fiducia.

Un candidato deve misurare le proprie forze, verificare se e fino a che punto il suo stato emotivo può rappresentare un ostacolo alla vittoria o, viceversa, come può essere valorizzato e trasformato in una risorsa. In ogni caso, a meno di non aver già acquisito una buona abitudine al mezzo televisivo, è necessario mettersi nella posizione di chi deve apprendere, e rapidamente, tutte le regole necessarie a trasformare le proprie performance televisive in un’occasione per aumentare la propria platea di elettori.

Mentre i leader si contendono le presenze nelle emittenti nazionali partecipando a talk show, conquistandosi spazi nei telegiornali e accettando di partecipare a ogni sorta di dibattiti anche in contenitori di puro intrattenimento, sul cosiddetto territorio i candidati non possono non prendere atto che la televisione, anche su scala locale, ha uno straordinario potere di penetrazione nell’opinione pubblica. Che i contenitori siano di livello qualitativo ben diverso rispetto a quelli delle reti nazionali, per un semplice fatto di risorse economiche, è fuor di dubbio ma è altrettanto vero che facendo zapping o dedicando parte del proprio tempo alle emittenti locali – soprattutto nella fascia oraria delle news notturne -, gli elettori vedono quasi sempre la televisione mentre molto spesso non incontrano mai personalmente un candidato.

Per quanto poco sofisticata possano essere la scenografia e la tecnologia di uno studio televisivo di una piccola emittente commerciale (raramente le telecamere sono più di due e mobili), è necessario rispettare alcune regole che sono le stesse che valgono in tutti gli studi televisivi del mondo.

Se un candidato non ha alcuna dimestichezza con il video, se cioè non è mai stato ripreso da una telecamera e quindi non immagina nemmeno quale possa essere il risultato di una sua comparsa televisiva, è meglio che faccia un po’ di training sfruttando la disponibilità di qualche amico dotato di videocamera oppure riprendendosi da solo. Oggi si trovano in commercio videocamere digitali compatte con le quali ci si può rivedere comodamente nel monitor del proprio computer o nello schermo della propria televisione. Chiedete quindi a un amico di riprendevi con una videocamera mentre un’altra persona vi pone delle domande. Le domande devono essere prevalentemente attinenti alla vostra campagna elettorale mentre un paio riguarderanno argomenti generici. Obiettivo di queste ultime – sulle quali vale la pena esercitarsi a lungo -, è di mettere alla prova la vostra capacità di rispondere brevemente e di ritornare rapidamente a quello che è il tema della vostra campagna elettorale. Fatevi “intervistare” per non più 15 minuti cercando di focalizzarvi su quelli che sono i punti chiave del vostro programma elettorale. Rivendendo il filmato, se non avete precedenti esperienze televisive, resterete stupiti da come risultate sia in video sia in audio. Cercate di essere obiettivi nell’autovalutazione e fatevi aiutare da qualche collaboratore o amico che possa giudicarvi con la dovuta oggettività.

Usate il fermo immagine per controllare gesti o espressioni sbagliate, ascolate le risposte che avete fornito e cercate di sintetizzarle in frasi sempre più brevi. Ripetete la registrazione e rivedetevi tante volte quanto basta per arrivare a quello che può essere considerato il livello più alto della vostra prestazione. Cambiate location, rispondete alle domande stando seduti – come quasi sempre accede nelle situazioni reali -, e stando in piedi. Cambiate abito sino a quando non siete totalmente soddisfatti della vostra immagine. Le candidate sistemino la piega dei capelli, controllino qual è il colore che meglio si intona al loro volto, si esercitino a stare sedute con le gambe accavallate e con le gambe unite. Scelgano la posizione, l’abito, il trucco, nei quali si trovano più a loro agio e si riconoscono rispetto all’immagine che vogliono comunicare. Siate umili e fatevi sempre aiutare da qualcuno in grado di giudicarvi senza pregiudizi.

Le regole da seguire davanti a una telecamera sono queste:

. state seduti ben dritti sulla sedia o sulla poltroncina che avete a disposizione;

. rispondete alla domande rivolgendovi al vostro interlocutore solamente se si trova almeno quattro passi davanti a voi. Se è alle vostre spalle, come accade in alcuni talk show, rispondete guardando alla telecamera che in quel momento vi inquadra e che identificherete dalla luce rossa accesa;

. tenete le mani in vista all’altezza del torace. Non gesticolate troppo ma utilizzatele per sottolineare ciò che dite;

. potete tenere anche le gambe accavallate ma senza farle oscillare dalle ginocchia in giù;

. fate movimenti lenti con la testa. Non scuotetela. Non fate gesti bruschi (un repentino cambio di posizione o un movimento improvviso sono normalmente indice di disagio);

. indossate abiti confortevoli e convenzionali come quelli che indossereste in un colloquio di lavoro. Agli uomini non è consentito portare alcun gioiello al di fuori dell’orologio e della fede nunziale. Fatte sparire, prima che accendano le telecamere un eventuale fermacravatta. Le donne possono permettersi – oltre all’orologio e alla fede - al massimo un altro gioiello da scegliersi tra un girocollo, un anello, un bracciale, gli orecchini. Questi ultimi, se scelti con cura, possono davvero modificare in meglio la percezione del volto (le piccole perle bianche possono fare miracoli!). Il bracciale non deve essere portato sullo stesso polso dell’orologio per evitare il tintinnio.

Da evitare stoffe a quadretti troppo piccoli o fantasie. Le cravatte scure sono televisivamente accettabili mentre quelle rosse sono rischiose. La camicia grigio chiaro è la più adatta ad essere indossata davanti a una telecamera di quella tradizionale azzurra a tinta unita. Le donne evitino calze nere, a rete o operate. Meglio quelle color naturale indossate con scarpe esili tipo decoltè in tono con l’abito. La scollatura che rende meglio è quella a V, non profonda. Qualcosa di bianco o di rosa tenue vicino al viso valorizza qualsiasi carnagione. Per le candidate, un tailleur in tinta unita è la miglior soluzione ma anche un abito con le maniche – lunghe o corte – può andare bene. Da lasciare nell’armadio gli abiti senza maniche ( a meno che le spalle non siano perfette come quelle di Michelle Obama!), le gonne troppo corte o troppo lunghe, le stole di pashmina, i foulands, gli abiti neri, i maglioni in generale ma soprattutto quelli a collo alto, i calzoni bianchi, i tacchi a spillo. Il nero invecchia sia gli uomini sia le donne.

Gli uomini devono sapere che uno spezzato tende a renderli più bassi mentre un abito scuro intero slancia. Nel loro guardaroba non dovrebbero mancare, per le apparizioni televisive, un abito blu scuro, un abito grigio scuro nella tonalità che più si intona alla carnagione, una giacca blu da indossare con i calzoni grigi. Gli occhiali devono essere avere le lenti sottili e una montatura leggera. Per nessuna ragione si possono indossare occhiali con le lenti scure. Chi veste sempre casual è meglio che si attenga al suo stile consueto, ma non rinunci alla giacca anche se di taglio sportivo purchè non si tratti di un giubbotto (c’è stata una trasmissione televisiva alla quale erano stati invitati i rappresentanti del partito dei Verdi che avevano fatto sfoggio collettivo di camice scozzesi, giubbotti, calzoni e giacche di velluto: l’effetto visivo era quello di un gruppo di reduci da una partita di caccia!). Da riservare a una partita sul campo da tennis o durante una maratona i famigerati calzini bianchi. Per tutti grande attenzione va riservata ai capelli. Anche il più esemplare dei portamenti può essere compromesso da una capigliatura disordinata o, peggio ancora, non perfettamente pulita. Stessa attenzione va riservata alle mani: unghie corte e ben curate sono un imperativo per uomini e donne. Queste ultime possono consentirsi anche una lunghezza media ma rigorosamente senza uno smalto che vada oltre la gradazione del rosa tenue. Se è inopportuno rifiutare un passaggio nella sala trucco prima di accedere allo studio di una televisione nazionale è altrettanto poco sensato non farsi qualche ritocco al maquillage. Un po’ di cipria per attenuare la pelle lucida non è per un uomo segno di omosessualità ma unicamente di ordine. Le signore lascino nel beautycase rossetti di colore troppo intenso, i gloss, gli ombretti troppo chiari o troppo scuri e soprattutto perlati. Un fondotinta opaco dello stesso colore della carnagione aiuta a togliere le imperfezioni, la cipria a rendere la carnagione più compatta. Concentrarsi possibilmente sugli occhi curando le sopracciglie, usando un correttore morbido per le occhiaie, facendo uso di un ombretto color albicocca e un mascara che non appesantisca (meglio marrone che nero). Niente matite o kajal. Il rossetto deve essere chiaro e le labbra ben definite con una matita dello stesso colore. L’effetto migliore è dato, prima di ogni altra cosa, dalla pelle chiara e ben curata sia del viso sia delle mani. Le luci e i primi piani, se non si è delle starlette o delle veline, richiedono un trucco naturale, quasi invisibile. Gli occhiali, abbinati alle luci dello studio, aggiungono 5 chili e 5 anni. Compensate questo effetto scegliendo gli abiti con cura e un makeup leggerissimo. Se non potete fare a meno della famigerata lacca fate in modo che non tocchi la pelle del viso dove provocherebbe un drammatico effetto cellophane. Il calore delle lampade aumenta la traspirazione quindi è meglio evitare di bere, soprattutto tè o caffè, un’ora prima di andare in onda. Non dimenticare mai che ci si trova in uno studio televisivo a parlare di politica e non in un salotto o in un bar. L’obiettivo non è sedurre qualcuno ma conquistare voti e fiducia.

. Sorridere. Essere di buon umore. Rilassarsi. Essere convincenti e credere profondamente in ciò che si dice.

CON IL DIBATTITO NIXON-KENNEDY LA TELEVISIONE DIVENTA PARTE INTEGRANTE DELLA POLITICA

CHE COS'E' IL VOTO


Il termine deriva dal latino votum inteso come attività pubblica svolta per intercedere a favore di una causa o di una persona. Nel XV° secolo il vocabolo ha iniziato ad essere collegato alla nozione di deliberazione utilizzata per designare l’espressione di un punto di vista rispetto a un tema oggetto di dibattito. E’ verso la fine del ‘600 che il termine voto viene collegato al concetto di elezione intesa come una scelta fatta a favore di una cosa o di una persona, optando per l’una rispetto a un'altra. Nel IXX° secolo il voto inizia ad avere una connotazione materiale e ad essere inteso come suffragio. Il più delle volte per votare si intende la consegna di una scheda, da parte di un elettore, nelle mani di un presidente di seggio come accade in Francia, in Germania e in Spagna, sia il suo deposito direttamente in un’urna come avviene in Inghilterra, in Italia e nel Lussemburgo. Ma ci sono anche altre modalità di voto. In Grecia, per esempio, l’urna di ogni candidato è divisa in due parti: una nera per il no e una bianca per il nelle quali gli elettori inseriscono l’avambraccio per depositare una sfera di piombo. In Danimarca per l’elezione della Camera dei Deputati si vota scrivendo il nome del candidato su un registro controllato da un pubblico ufficiale. In Portogallo le operazioni di voto si svolgono nelle chiese e gli elettori inseriscono le schede nell’urna dopo essersi inginocchiati e aver detto una preghiera. Il denominatore comune di tutte le elezioni di massa, ovunque essere si svolgano, è la volontà di razionalizzazione le modalità di designazione degli eletti e che sono comprese sotto la definizione di sistemi elettorali.

La possibilità di votare, e quindi di partecipare direttamente a un processo politico, ha trasformato i cittadini in soggetti attivi, protagonisti di una vera e propria liturgia politica che, se l’osserviamo da un punto di vista strettamente materiale, è composta, praticamente ovunque, da un’urna, una scheda e una cabina. Eppure qualcosa sta cambiando. Lo dimostra, ad esempio, l’elezione di due senatori dell’Oregon, negli Stati Uniti, che, nel 1996 per la prima volta si è svolta completamente per corrispondenza e più recentemente via internet. Gli elettori hanno così scelto i loro rappresentanti federali in pratica senza spostarsi. Questa nuova modalità di voto ha comportato un aumento nel numero dei votanti di oltre 20 punti percentuali rispetto alle analoghe elezioni di due anni prima.

L’adozione della scheda elettorale risale alla seconda metà del 19° secolo ed è stata accompagnata dalla scelta di una location che si ritrova praticamente ovunque: tavoli sistemati a ferro di cavallo, in un angolo una tenda o una cabina, un’urna sorvegliata dai cosiddetti scrutinatori.

La scheda elettorale, così come oggi la conosciamo, deriva dall’ Australian Ballot, la scheda adottata per garantire la segretezza del voto nel 1857 nel Sud dell’Australia e ripresa poi in tutto il mondo: nel 1872 in Gran Bretagna, nel 1877 in Belgio, nel 1884 in Norvegia, nel 1890 negli Stati Uniti, nel 1903 in Germania e nel 1913 in Francia.

Se guardiamo al funzionamento delle assemblee comunali e degli ordini religiosi del passato scopriamo almeno tre modalità diverse per esprimere il proprio voto: 1. il voto unanime che si ha per acclamazione nei comuni dei paesi mediterranei (con la tradizionale formula fiat o placet pronunciata a gran voce nelle piazze) o per una specie di ispirazione (spiriti sancti) nelle abbazie e nei monasteri così come si può dedurre da un atto promulgato nel 1059 dal Papa Nicola II che imponeva che le elezioni avvenissero all’unanimità (concordi electione) in modo che l’eletto non fosse considerato solamente un apostolico ma un vero e proprio apostolo. In questo caso le elezioni erano comparabili a una vera e propria consacrazione che obbligava le minoranze a non intervenire a rischio dell’esilio. Una modalità meno brutale era quella del voto raggiunto attraverso un compromesso. Qui gli elettori potevano eventualmente rinunciare al loro diritto di voto che veniva trasferito a un “compromissore” incaricato di individuare e trattare un punto d’accordo. 2. L’approvazione con giudizi contrastanti. Quando non si riusciva a raggiungere l’unanimità si ricorreva a molte tecniche per solennizzare l’accordo raggiunto. E’ il caso dei comuni in cui si stabilivano delle maggioranze relative ad esempio dei 2/3 oppure di 4/5 o di 11/16 e via dicendo. Allo stesso modo si praticava la regola del sanor pars in base alla quale i voti avevano maggior peso in base ai meriti degli elettori consentendo all’ autorità di trionfare sempre sulla maggioranza (major pars). Se questo metodo può essere discutibile lo stesso vale per le modalità di voto all’interno del Senato romano dove vigeva il cosiddetto voto per discessionem che non prevedeva né il voto nominale e né il computo dei voti. Si esprimeva infatti attraverso un gesto che, negli ordini religiosi consisteva nell’abbassare il cappuccio dell’abito talare e, nei comuni, nell’alzarsi o nel sedersi. 3. Il consenso con riconoscimento del disaccordo. Qui ci sono due elementi che si incrociano: la regola maggioritaria (l’antica pluralità dei voti) e il voto segreto. Nella storia della chiesa è con il Concilio di Trento che questi due elementi vengono uniti imponendo agli elettori di firmare le loro schede adducendo il motivo che era necessario controllare che questi non votassero per se stessi, pratica questa vietata dal diritto canonico. Prima di allora il voto avveniva non attraverso una scheda ma attraverso la scelta di un segno, delle palline, delle monete, delle medaglie. Una forma ulteriore di voto era quello orale: un religioso raccoglieva le intenzioni di ognuno attraverso un discreto mormorio che passava dalle bocche alle orecchie (da qui il modo di dire avere voce in capitolo).

giovedì 21 maggio 2009

COME SI FA UNA CAMPAGNA ELETTORALE

COME ERAVAMO UN ANNO FA





DILEMMA POST ELETTORALE: DOVE SONO FINITI I VESTITI DELLA PALIN?

http://voices.washingtonpost.com/sleuth/2009/05/_the_federal_election_commissi.html?wprss=sleuth

DOVE STO IO (Mah!)

SCOPRIAMO DA CHE PARTE STIAMO

http://www.politicalcompass.org

NIENTE COMUNICAZIONE NELLE AMMINISTRAZIONI IN CUI SI VOTA

Le pubbliche amministrazioni, nel periodo che intercorre tra la data di convocazione dei comizi elettorali e la chiusura delle operazioni di voto, non possono svolgere attività di comunicazione istituzionale (articolo 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28, più comunemente conosciuta come "legge sulla par condicio"). Fanno eccezione al divieto le attività di comunicazione “effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni”. L’obiettivo è di evitare che l’attività di comunicazione istituzionale delle pubbliche amministrazioni si intrecci con l’attività di propaganda elettorale e che gli eletti uscenti possano utilizzare una posizione di vantaggio istituzionale, derivante dal loro ruolo di amministratori in carica, rispetto agli sfidanti.

Come hanno votato gli italiani alle europee del 2004

Elettori 48.705.645 Voti validi 32.410.575
Votanti 35.598.379 Schede non valide (incl. bianche)3.187.804
Votanti 73,09 % Schede bianche 1.585.624

Partititi o liste Percentuali %

UNITI NELL'ULIVO 10.077.793 31,09
FORZA ITALIA 6.779.207 20,92
ALLEANZA NAZIONALE 3.730.144 11,51
RIF.COM. 1.964.347 6,06
UDC 1.910.286 5,89
LEGA NORD 1.612.062 4,97
FED.DEI VERDI 797.319 2,46
COMUNISTI ITALIANI 784.930 2,42
LISTA EMMA BONINO 728.873 2,25
DIPIETRO OCCHETTO 691.551 2,13
SOCIALISTI UNITI 658.964 2,03
A.P. UDEUR 418.157 1,29
ALTERNATIVA SOCIALE 399.073 1,23
PART.PENS. 372.304 1,15
FIAMMA TRICOLORE 235.055 0,73
PRI I LIBERAL SGARBI 232.386 0,72
P.SEGNI SCOGNAMIGLIO 171.781 0,53
LISTA CONSUMATORI 159.829 0,49
ALL.LOMB.AUT. 159.098 0,49
AB.SCORP.VERDI VERDI 157.493 0,49
SVP 145.740 0,45
PAESE NUOVO 77.704 0,24
NO EURO 70.180 0,22
MOV.IDEA SOC. RAUTI 46.759 0,14
UV 29.540 0,09

CHE COSA DICONO GLI ULTIMI SONDAGGI





http://www.corriere.it/politica/09_maggio_21/sondaggio_europee_dd4d008c-45c3-11de-8c01-00144f02aabc.shtml


http://www.demos.it/a00296.php

mercoledì 20 maggio 2009

DAL BUCO DELLA SERRACCHIATURA

http://www.casaserracchiani.com

LO SPOT ISTITUZIONALE DELL'ITALIA

I CANDIDATI PRESIDENZIALI IRANIANI





Saranno tre gli avversari del presidente uscente Mahmud Ahmadinejad, alle elezioni presidenziali in Iran del 12 giugno. Il Consiglio dei guardiani ha ammesso alle presidenziali l 'ex primo ministro Mir Hossein Mousavi, l'ex speaker del Parlamento, Mehdi Karroubi e l'ex capo dei Guardiani della rivoluzione, Mohsen Rezai. Gli aspiranti candidati erano 170.