venerdì 26 febbraio 2010
Tajikistan: si rinnova il Parlamento ma non cambia nulla
Domenica 28 febbraio in Tajikistan si vota per il rinnovo del Parlamento (Camera Bassa) e ci sono poche possibilità che venga intaccato il potere del partito al governo, il People’s Democratic Party of Tajikistan (PDPT). Il Paese, uno dei più poveri dell’Asia centrale e che confina per 1.300 chilometri con l’Afghanistan, spera che qualcosa possa accadere per far ripartire l’economia minata, tra l’altro, dalla minaccia dei militanti di al-Qaida. Le elezioni vedono contrapposti i comunisti e il solo partito islamico legale dell’ex sovietica Asia centrale, al potere monolitico del partito al governo. Per gli osservatori è quasi certo che dalle elezioni uscirà rafforzato il presidente in carica Emomali Rakhmon, che guida il paese dal 1992 e che è stato riconfermato per altri 7 anni nel 2006.
Il Presidente è stato più volte accusato di violazioni dei diritti civili, censura della stampa e soppressione dell’opposizione. A oltre dieci anni dalla devastante guerra civile, l’economia del paese non si è ancora ripresa e i maggiori partiti hanno concentrato la loro campagna sui temi della stabilità politica e della rinascita economica. Gli altri temi riguardano l’indipendenza energetica, la fine dell’isolamento geografico, la disponibilità di cibo e, soprattutto (così come accade nella grandissima maggioranza dei paesi ex sovietici), la lotta alla corruzione.
L’economia del Tajikistan sta vivendo, oltre ai contraccolpi della crisi mondiale, quelli derivanti dal crollo della domanda delle principali merci che esporta, l’alluminio e il cotone. In Tajikistan è in vigore un sistema bicamerale che comprende un’Assemblea Suprema (Camera Alta) composta da 34 seggi e l’Assemblea Nazionale (Camera Bassa), che comprende l’Assemblea dei rappresentanti, composta da 63 seggi. I 34 membri della Camera alta vengono eletti con voto indiretto e rimangono in carica 5 anni. Di questi 25 sono selezionati dai deputati locali, 8 nominati dal presidente e uno rimane a disposizione dell’ex presidente. Tutti i membri vengono nominati dal Presidente o da pubblici ufficiali in sua vece. L’Assemblea dei rappresentanti è invece composta da 41 membri eletti a maggioranza assoluta in collegi uninominali e 22 membri eletti in liste chiuse a rappresentanza proporzionale. Nei collegi uninominali il sistema elettorale è a due turni. Il secondo turno elettorale è previsto anche nei collegi dove ha votato meno del 50 per cento degli elettori registrati. I candidati che concorrono con il sistema proporzionale fanno riferimento a un collegio nazionale e la soglia di sbarramento è al 5 per cento.
Il Partito Democratico del Popolo (People’s Democratic Party), che dispone di 52 dei 63 seggi del parlamento, sta promettendo il sostegno alle piccole e medie imprese e l’autonomia energetica proprio mentre è in via completamento il progetto di una centrale di 1.000 MW che dovrà sopperire al fabbisogno interno ed esportare energia in Pakistan e in Afghanistan.
Il partito islamico (Islamic Revival Party) che ha due seggi al parlamento e che è sorto negli anni precedenti al collasso dell’Unione Sovietica, sostiene che arriverà a 10 seggi se non ci saranno dei brogli, cosa di cui il suo leader Muhiddin Kabiri si dice certo.
Il Partito Comunista (Communist Party) l’unica altra forza politica rappresentata in Parlamento con 4 deputati, ha posto in vetta al suo programma elettorale il miglioramento del sistema scolastico e l’aumento di quanti hanno accesso alla sanità pubblica.
Il problema di tutti i partiti è quello di superare l’indifferenza della gente nei confronti di queste elezioni che hanno avuto un irrilevante copertura mediatica.
Sono 221 i candidati in rappresentanza degli 8 partiti registrati e riconosciuti e che si contendono i 63 seggi dell’assemblea dei rappresentanti ( Majlisi Namoyangadon). 22 seggi saranno assegnati sulla base della percentuale dei voti che otterranno i partiti. Il PDPT, il partito del Presidente Imomali Rahmon, si è avvantaggio sugli altri utilizzando a suo favore le testate giornalistiche controllate dallo stato. Le testate indipendenti, d’altro canto, sono state messe a tacere attraverso continue denunce penali. E’ evidente quindi a tutti che il parlamento continuerà a restare in mano a un solo partito e che la presenza di altri partiti sarà vanificata attraverso ingegnerie legislative. Considerate anche le irregolarità che gli osservatori hanno registrato nelle elezioni del 2005, è piuttosto difficile pensare quindi che un vero cambiamento possa avvenire attraverso un processo elettorale. Una ricerca divulgata lo scorso mese dall’International for Elections System (IFES) mostra che la gran parte dei tajikistani non sanno nemmeno quali siano le differenze tra le piattaforme dei diversi partiti mentre, è noto, le diverse posizioni sono essenziali in un contesto in cui un terzo dei seggi è assegnato sulla base dei risultati elettorali piuttosto che dalle campagne individuali. Il sondaggio ha anche evidenziato che il 70 per cento degli elettori non conosce i programmi di alcun partito. Tra quelli che hanno dichiarato di conoscerli il 65 per cento ha fatto riferimento al PDPT, il 16 per cento all’ IRPT e il 10 per cento al Partito Comunista.