domenica 29 marzo 2009

BERLUSCONI E LE OMBRE DEL PASSATO



Anche un ascolto o una lettura superficiali del discorso di Silvio Berlusconi al Congresso di fondazione del Popolo della libertà consentono di coglierne immediatamente il cuore ideologico: è l'anticomunismo. Tutto il resto appare solo accennato, sbrigato in poche parole e comunque affatto generico. All'anticomunismo, invece, è stata riservata la parte centrale, e anche retoricamente ed emotivamente quella più insistita, di un discorso tutto tenuto—come è forse giusto per un'occasione fondativa, e in obbedienza d'altronde a una tradizione molto italiana — su un registro sostanzialmente storico, rivolto al passato. Le parole di Berlusconi collocano il Pdl in questa prospettiva: e dunque politicamente esso nasce contro la sinistra, lì è la sua principale ragion d'essere. E la sinistra è il «comunismo », tra i due termini egli stabilisce di fatto una sostanziale equivalenza. La tradizione socialista- riformista, men che meno quella laico-democratica, non esistono; così come non esiste alcun rapporto tra esse e l'esperienza politica dei cattolici (se ho letto bene neppure citata): Craxi, non a caso, è solo un amico personale del presidente del Consiglio che in pratica ha il solo merito di averlo anticipato nello sdoganamento della destra.

Affermando questa centralità dell'anticomunismo, Berlusconi compie la stessa operazione che la prima Repubblica compì con l'antifascismo. Di fronte allo scarso rilievo fondante della Carta costituzionale, al suo ancora più scarso valore ideal- simbolico (una costante storica delle nostre Carte: dallo Statuto albertino alla Carta del lavoro fascista), al vuoto che essa così lascia, egli usa l'anticomunismo allo stesso modo in cui la prima Repubblica e i suoi gruppi dirigenti usarono per quarant'anni l'antifascismo: come reale ideologia fondativa dell'ordine politico e motivo di autoidentificazione legittimante. E perciò, insieme, come motivo di esclusione nei confronti di tutto quanto non può essere ricondotto a essa. Non solo: ma come la prima Repubblica e suoi uomini si sono sempre compiaciuti di riferirsi alla Costituzione qualificandola sì come democratica, ma ancora più spesso attribuendole la qualifica politico- ideologica di «antifascista », allo stesso modo, ma rovesciando l'interpretazione, Berlusconi non nasconde di considerare anche la Costituzione «comunista». «A ideologia, ideologia e mezza» sembra essere ancora oggi il suo motto: anche perché non ignora che il cuore del Paese, alla fin fine, batte molto di più dalla parte dell'anticomunismo che dell'antifascismo.

Ma tutto ciò pone Berlusconi in contraddizione con quello che pure —l'ha detto lui stesso ed è da credergli—costituirebbe un suo effettivo desiderio: essere l'uomo della pacificazione nazionale; soprattutto, rappresentare un vero elemento di novità e di rottura rispetto alla vicenda italiana. Infatti l'antagonismo, la contrapposizione frontale, insiti nel proclama anticomunista mal si conciliano, anzi, diciamolo pure, rendono impossibile ogni proposta di pacificazione. All'opposto, perpetuando antichi baratri divisivi, inasprendo antichi scontri, esse collocano irrimediabilmente il presidente del Consiglio e il Popolo della Libertà nel solco del vecchio, nella storia dell'Italia del Novecento, della sua guerra civile apertasi nel 1915 e che avrebbe dovuto finire (ma ahimè non è finita) nel 1991. Dunque, pur cercando di imprimere sulla fondazione del Popolo della Libertà il significato di un nuovo inizio, pur cercando di indicare questo nuovo inizio nel consolidamento definitivo del bipolarismo e nel declino epocale della sinistra, il discorso di Berlusconi testimonia di come nella sostanza più profonda il suo tentativo urti frontalmente contro la base ideologica vera che egli ha voluto dare alla fondazione suddetta, l'anticomunismo. E di come contro questo scoglio minacci di naufragare.

Il punto è che il presidente del Consiglio appare tutto immerso, biograficamente e culturalmente, nella prima Repubblica. Lì stanno con ogni evidenza i suoi riferimenti ideali, a cominciare dall'antifascismo e dall'anticomunismo. Ma come possono essere l'uno e l'altro compatibili con la rottura, con il nuovo? Lo ha capito Gianfranco Fini, che nel suo discorso al Congresso non ha fatto spazio neppure una volta, se non sbaglio, alla parola comunismo, mentre non casualmente si è impegnato a disegnare le linee programmatiche che il Pdl dovrebbe fare sue da domani; che, invece di intrattenersi sul passato, ha preferito guardare all'avvenire.

ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA PER IL CORRIERE DELLA SERA DEL 28.3.2009