lunedì 15 giugno 2009
Referendum, un italiano su due li ignora
Il 47% non sa che si vota. E per i ballottaggi il dato sale al 75% tra gli interessati
Com'è stato più volte sottolineato, le elezioni europee hanno visto un protagonista principale: l'astensionismo. Ben un terzo degli italiani non si è recato a votare, colpendo sia il centrodestra, sia il centrosinistra. Il primo ha perduto, rispetto all'anno scorso, 2.770.000 voti (considerando nell'insieme Pdl e Lega) e il secondo 2.400.000 voti (considerando nell'insieme tutte le componenti). Come ha notato giustamente Ricolfi sulla Stampa, è improprio chiamare quello delle astensioni un «partito», data la grande disomogeneità dei caratteri e delle motivazioni dei suoi componenti. Ma è certo al tempo stesso che il non tener conto nelle analisi — e nelle decisioni e nei comportamenti politici — di questa enorme massa di «no» al voto costituisce un grave errore.
Il clima di diffuso disinteresse (ma spesso di disaffezione, se non di disgusto) caratterizza anche oggi l'atteggiamento degli italiani di fronte alla scadenza elettorale di domenica prossima. Solo il 53% dichiara di sapere che ci sarà un referendum. In altre parole, un italiano su due non conosce nemmeno l'esistenza di questa consultazione. Come sempre, si dichiarano più informati i possessori di titoli di studio più elevati, i residenti nei grandi comuni e gli elettori del centrosinistra. Ovviamente, non tutti i «conoscitori» della scadenza referendaria andranno a votare. Circa un quinto di essi infatti dichiara già oggi l'intenzione di astenersi. Ancora più grave, dal punto di vista della conoscenza, è la situazione dei ballottaggi. Un sondaggio condotto nelle province e nei comuni ove queste consultazioni sono previste mostra come oggi solo grosso modo un quarto dei cittadini potenzialmente coinvolti sappia della scadenza e intenda andare a votare. La percentuale è un po' più alta (43%) nei comuni ove è in corso la competizione per il sindaco, data la maggior «vicinanza» di quest'ultimo ai cittadini, ed è ancora meno elevata (30%) là dove si dovrà votare solo per il presidente della Provincia. Ciò che suggerisce come quest'ultima susciti il disinteresse della gran parte della popolazione (tranne, ovviamente, dei politici interessati).
Come sempre accade, la disinformazione accresce l'indecisione sulle scelte da prendere e, ancora una volta, spinge in qualche misura all'astensionismo. Solo circa metà dell'elettorato interessato ai ballottaggi dichiara di avere già scelto per chi votare. Un altro 20% si professa indeciso, mentre i restanti sono perplessi sul recarsi alle urne o meno. È possibile che, con l'inevitabile accendersi della campagna elettorale nella prossima settimana, le percentuali di informazione e coinvolgimento nelle consultazioni referendaria e amministrativa si elevino e più persone vengano «mobilitate» per il voto. Resta il fatto che un così basso grado di consapevolezza attuale rappresenta un ennesimo indicatore dell'accentuarsi del distacco dei cittadini dalla politica. Un fenomeno al quale i leader — di centrodestra come di centrosinistra — sembrano dare — a giudicare anche dai commenti di queste ultime elezioni, tutti concentrati sul sottolineare la «propria» vittoria — assai poca importanza.
Renato Manheimer
15 giugno 2009
Com'è stato più volte sottolineato, le elezioni europee hanno visto un protagonista principale: l'astensionismo. Ben un terzo degli italiani non si è recato a votare, colpendo sia il centrodestra, sia il centrosinistra. Il primo ha perduto, rispetto all'anno scorso, 2.770.000 voti (considerando nell'insieme Pdl e Lega) e il secondo 2.400.000 voti (considerando nell'insieme tutte le componenti). Come ha notato giustamente Ricolfi sulla Stampa, è improprio chiamare quello delle astensioni un «partito», data la grande disomogeneità dei caratteri e delle motivazioni dei suoi componenti. Ma è certo al tempo stesso che il non tener conto nelle analisi — e nelle decisioni e nei comportamenti politici — di questa enorme massa di «no» al voto costituisce un grave errore.
Il clima di diffuso disinteresse (ma spesso di disaffezione, se non di disgusto) caratterizza anche oggi l'atteggiamento degli italiani di fronte alla scadenza elettorale di domenica prossima. Solo il 53% dichiara di sapere che ci sarà un referendum. In altre parole, un italiano su due non conosce nemmeno l'esistenza di questa consultazione. Come sempre, si dichiarano più informati i possessori di titoli di studio più elevati, i residenti nei grandi comuni e gli elettori del centrosinistra. Ovviamente, non tutti i «conoscitori» della scadenza referendaria andranno a votare. Circa un quinto di essi infatti dichiara già oggi l'intenzione di astenersi. Ancora più grave, dal punto di vista della conoscenza, è la situazione dei ballottaggi. Un sondaggio condotto nelle province e nei comuni ove queste consultazioni sono previste mostra come oggi solo grosso modo un quarto dei cittadini potenzialmente coinvolti sappia della scadenza e intenda andare a votare. La percentuale è un po' più alta (43%) nei comuni ove è in corso la competizione per il sindaco, data la maggior «vicinanza» di quest'ultimo ai cittadini, ed è ancora meno elevata (30%) là dove si dovrà votare solo per il presidente della Provincia. Ciò che suggerisce come quest'ultima susciti il disinteresse della gran parte della popolazione (tranne, ovviamente, dei politici interessati).
Come sempre accade, la disinformazione accresce l'indecisione sulle scelte da prendere e, ancora una volta, spinge in qualche misura all'astensionismo. Solo circa metà dell'elettorato interessato ai ballottaggi dichiara di avere già scelto per chi votare. Un altro 20% si professa indeciso, mentre i restanti sono perplessi sul recarsi alle urne o meno. È possibile che, con l'inevitabile accendersi della campagna elettorale nella prossima settimana, le percentuali di informazione e coinvolgimento nelle consultazioni referendaria e amministrativa si elevino e più persone vengano «mobilitate» per il voto. Resta il fatto che un così basso grado di consapevolezza attuale rappresenta un ennesimo indicatore dell'accentuarsi del distacco dei cittadini dalla politica. Un fenomeno al quale i leader — di centrodestra come di centrosinistra — sembrano dare — a giudicare anche dai commenti di queste ultime elezioni, tutti concentrati sul sottolineare la «propria» vittoria — assai poca importanza.
Renato Manheimer
15 giugno 2009