lunedì 1 giugno 2009

L'IMPORTANZA DEL BOSS POLITICO

Per quanto l’apparato e i boss di turno possano apparire delle reliquie del passato, ancora oggi non è possibile prescindere dalla loro protezione per entrare e restare in politica. Sbagliare referente può tradursi per un politico di breve o lungo corso in una vera e propria debacle che talvolta può anche trasformarsi nella sua definitiva esclusione dalla vita politica.

La campagna elettorale permanente all’italiana alla quale nessun eletto può rinunciare se vuole mantenere la sua carica o procedere nella carriera politica, è quindi quella che ha come target i vertici del suo stesso partito.

Il politico italiano può, in teoria, ignorare nel corso il suo mandato gli elettori, ma non può permettersi di non sostenere la persona, il gruppo o la corrente vincente alla quale deve collegarsi e far riferimento se vuole che la sua carriera prosegua.

E’ qui che il politico esprime tutta la sua abilità che è essenzialmente di mediazione fra i diversi interessi politici, e talvolta anche economici, delle molteplici “anime” del suo stesso partito senza comunque dimenticare che più è vicino ai vertici nazionali in quel momento vincenti è più saranno alte le sue chances di mantenere e migliorare la sua posizione.

Il cosiddetto indipendente o cane sciolto ha oggi possibilità irrisorie di carriera politica a meno che non possieda delle doti da leader che gli consentano di aggregare altri soggetti e di far emergere il proprio talento che comunque dovrà confluire nel gruppo del referente in quel momento più autorevole. La carriera dell’indipendente è quindi una carriera a tempo, scandita dalla necessità del gruppo al potere, all’interno del partito, di ricompattarsi sui nominativi che hanno dimostrato, innanzi tutto, fedeltà.

Queste dinamiche non differiscono sostanzialmente da quelle dei partiti della cosiddetta Prima Repubblica. Il vero elemento di novità nella politica italiana del Duemila è l’accentuarsi della sua personalizzazione che impone al politico locale di cercare un rapporto, più o meno diretto, con il leader nazionale di riferimento. Dalla sua benevolenza, o da quella dei componenti del suo più stretto enturage infatti, molto spesso dipenderà il suo futuro politico.

Il vantaggio che può trarre un politico in carica da una costante presenza sui media del suo collegio elettorale è quella di essere valutato, al momento della scelta delle candidature, come un personaggio visibile e, in quanto tale, con maggiori possibilità di attrarre voti. Elemento questo che comunque, da solo, non è sufficiente per farsi ricandidare.

Da queste considerazioni è facile dedurre che il vero potere all’interno dei partiti, anche su base locale, è appannaggio di chi materialmente seleziona i candidati o ne segnala i nominativi al decisore finale. Questa prerogativa, che normalmente coincide con la carica di coordinatore o segretario locale del partito (a quello nazionale è delegato il compito di selezionare i candidati deputati e senatori e di ratificare le nominations di livello inferiore) appartiene di solito a un eletto la cui abilità non consiste tanto nel raccogliere voti – se valesse questo criterio i coordinatori dovrebbero essere coloro che hanno ottenuto il numero maggiore di preferenze -, quanto nella capacità di aggregare attorno alla sua persona un buon numero di sostenitori fra gli iscritti al partito sul territorio di cui ha competenza.

Questo spiega, in parte, la riemersione di molti politici di lungo corso che avevano militato in partiti a.T. (ante Tangentopoli) e il cui valore è dato dalla conoscenza delle modalità a cui ricorrere per aggregare consenso fra gli iscritti e, non dimentichiamolo anche se i partiti fingono di considerarla un’eresia, raccogliere tessere.

Sono proprio questi ultimi - grazie alla loro esperienza che in politica è un valore -, che possono far valere il loro legame con il territorio e che, potendo contare su quanti aderivano al loro partito originario (soprattutto Psi, Dc e Pci) e che li hanno seguiti in quelli della seconda repubblica, hanno maggiori possibilità di essere referenti di un gruppo che a sua volta influirà su altri iscritti per garantirne l’elezione nel corso dei diversi congressi. Eventi, questi ultimi, durante i quali normalmente vengono ratificate decisioni e cariche stabilite in precedenza e frutto di accordi fra le diverse anime del partito più riconducibili ai nuovi concetti di maggioranza e minoranza che alle correnti di antica memoria che presupponevano un personaggio di riferimento (sub leader) talvolta in conflitto e talvolta organico alla segreteria del partito. Le anime o componenti non si connotano più in base a variabili ideologiche, come accadeva appunto nelle correnti (ancora presenti a livello nazionale nei partiti storicamente più ideologizzati), ma al carisma – innato o assegnato per via politica -, di personaggi ai quali viene riconosciuto lo status di referente. Si tratta in questo caso di leader locali la cui vittoria dell’uno sull’altro dipende dalla rispettiva capacità a coagulare consensi e le cui contrapposizioni emergono nella spartizione delle cariche.

Un’ulteriore campagna silenziosa quanto invisibile, e anch’essa tutta giocata sulle relazioni interne, è quella che l’eletto deve svolgere nei confronti dei referenti degli altri partiti della coalizione. Si tratta in questo caso di tessere relazioni con i decisori, o con le persone loro più vicine ed influenti, al fine di garantirsi la loro disponibilità, o quanto meno la loro neutralità, nel momento in cui saranno riconsiderate le candidature. Le quote di spartizione dei seggi all’interno delle coalizioni vengono normalmente decise a livello nazionale tenendo conto delle percentuali di voto ottenute dai diversi partiti in quel particolare territorio, ma non è insolito che ci siano delle aree nelle quali dei partiti, all’interno delle stessa coalizione, rivendichino spazi maggiori motivando la richiesta con la necessità di mantenere alta la loro visibilità (è il caso in cui il partito dispone di un leader molto popolare in quel collegio) oppure, come accade più frequentemente, per compensare la cessione di posti a favore degli altri partiti in fase di assegnazione delle cariche di nomina politica. E’ il caso in cui a un determinato partito sia assegnata ad esempio la presidenza di un significativo organismo regionale e chi vi ha rinunciato ponga come condizione una candidatura eccellente nella successiva tornata elettorale.

La capacità di organizzare tutti gli elementi che contribuiscono alla definizione delle candidature e che quindi consentono di prevedere, con buona approssimazione, i risultati finali in termini di suddivisione geopolitica del territorio, è prerogativa dei leader locali riconosciuti come tali da tutte le componenti, oltre che del loro partito di riferimento, anche da quelle dei partiti che compongono la coalizione.

Nel caso in cui un collegio esprima più leader di partiti diversi della stessa coalizione, la conflittualità fra questi può creare serie difficoltà alla tenuta della stessa con ricadute sulla scelta finale della candidature che, per sedare le tensioni, finiscono per privilegiare profili politici scadenti o comunque incapaci di mettere in ombra il leader preesistente.

E’ questo uno dei motivi per i quali talvolta la qualità di alcuni candidati eccellenti, come quelli alla carica di Sindaco o di Presidente della provincia, non è politicamente elevata dal punto di vista degli elettori ma è molto buona per i suoi sponsor politici che lo classificano come un soggetto gestibile. Si tratta di un attributo, che per altro può essere confermato solo nel tempo, essenziale per mantenere inalterata l’immagine del leader locale e conseguentemente anche il potere di cui dispone e che aumenta via via che riesce a sistemare le sue pedine nei diversi organismi territoriali.

Nel momento in cui un eletto non fosse più controllabile, a farne le spese sarebbe proprio il leader responsabile di quella candidatura e che inizierebbe a registrare una serie di sconfitte che potrebbero innescare l’emersione di disagi e di insoddisfazioni proprio in coloro che riteneva essere suoi uomini. E’ in funzione di questi meccanismi che l’attività di un leader locale consiste prevalentemente nel tessere rapporti e mitigare le tensioni nel gruppo e fra i gruppi che tendono a formarsi nel confronto politico, per garantirsi un terreno favorevole nel momento in cui dovrà compiere delle scelte strategiche la più importante delle quali è certamente, come si è visto, l’assegnazione delle candidature.

Per quanta abilità in acrobatismi diplomatici possa dimostrare chi deve dire l’ultima parola nella stesura della lista dei candidati, è inevitabile che si crei un drappello di esclusi insoddisfatti che non esitano ad aprire le ostilità verso chi ritengono responsabile della loro non certo facile condizione di sconfitti a priori.

I tradimenti più dolorosi sono quelli inflitti a politici in carica oppure a quelli da tempo, spesso addirittura dalla precedente tornata elettorale, in lista d’attesa. E’ certo che la visibilità personale sul territorio gioca un ruolo importante per l’inserimento nelle liste elettorali ma è altrettanto vero che l’elemento decisivo è rappresentato dalla dedizione al leader e al suo gruppo. In assenza di questa virtù è inevitabile la collocazione nel girone degli ingovernabili, categoria fra le più temute da chi vuole mantenere il controllo politico del collegio elettorale.

Non è perciò infrequente il caso di potenziali ottimi amministratori la cui carriera sia stata precocemente stroncata a causa delle loro intemperanza politica. Evento che in Italia si è rinnovato a tutte le latitudini dopo il 1994 quando, immaginata superata la famigerata Prima Repubblica con il suo carico di partitocrazia, a scendere in campo fu – distribuita in tutti i partiti -, una schiera di rappresentanti della cosiddetta società civile.

Di questi in circolazione, all’inizio del secondo millennio, sono rimasti ben pochi ed esattamente coloro che si sono dimostrati più organici ai partiti o che, soprattutto nelle aree urbane più importanti, hanno raggiunto una visibilità da consentire loro una discreta autonomia. Gli altri, e non erano pochi, si sono autoesclusi o sono stati respinti dal sistema politico perché non omologabili a se stesso. Vincenti, sia pur tardivi, si sono dimostrati nel tempo i più pazienti, quanti cioè, politicamente attempati, hanno colto l’opportunità di defilarsi nel momento di maggior turbolenza e attendere, in una posizione apparentemente passiva, un riallineamento del sistema con la comparsa di movimenti politici via via sempre più strutturati sino ad assumere le fattezze di quei partiti dai quali avevano preso strategicamente una prudente distanza.