martedì 9 giugno 2009

Il Day after di Berlusconi


Una giornata intera a cercar di capire cos’è successo.
Il «day after» di Berlusconi è lo sforzo di incollare insieme fatti e ricordi, come dopo una sbronza colossale. Al risveglio, invece dell’alito pesante, il solito torcicollo che non gli passa mai, perché dovrebbe portare per almeno due settimane un collarino rigido, ma «di metterlo non se ne parla, Silvio è peggio dei bambini capricciosi».
In compenso il morale, raccontano intorno a lui, non è così sotto i tacchi.
Definirlo allegro sarebbe eccessivo, però dopo altri smacchi elettorali era molto più depresso: nel ‘96, oppure nel 2006 quando perse con Prodi per 24 mila voti...
Allora il Cavaliere meditava addirittura un ritiro, passò mesi senza dare quasi notizia di sé.
Ora si limita a chiedere spiegazioni in giro, e senza toni particolarmente adirati. «Riflessivo», è il primo aggettivo che viene in mente a chi lo frequenta. «Umile» il secondo. Il terzo (quasi da non credere) è: «Autocritico».

Già, perché il premier riconosce l’errore da matita bleu, quell’incauto proclama che lo inchioda («I sondaggi ci danno tra il 43 e il 45 per cento, certo supereremo il 40» aveva detto a una settimana dal voto).
Mille volte meglio se stava zitto.
L’asticella collocata troppo in alto fa di Berlusconi un reo confesso che al massimo può implorare clemenza, «sì, sono stato un ingenuo, mi hanno indotto a sbagliare e io ci sono cascato» è il suo lamento. Racconta Bonaiuti che il Capo ha ragionato a lungo con i responsabili di Euromedia, in tanti anni da loro mai previsioni elettorali sbagliate, invece stavolta una «forbice» che ipotizzava come risultato peggiore il 38 per cento (dalle urne è scaturito un misero 35,2). La spiegazione si chiama Sicilia.
Un astensionismo incredibile, sottolinea il portavoce, «che ci ha sottratto almeno 800 mila voti».
Cioè quasi 3 punti percentuali sfumati per la crisi della giunta Lombardo, figlia di guerre fratricide su cui adesso i discoli di «FareFuturo» (in un corsivo approvato da Fini) esortano il premier a metterci mano, perché i «triumviri» fanno solo pasticci.
Nessuno, tranne l’inascoltato Testoni, aveva dato l’allarme sulla marea astensionista. Dov’erano tutti i soloni?

Dalle prime telefonate all’alba, fino alla cena con Bossi, Berlusconi avrà raccolto perlomeno trenta pareri diversi.
Altrettanti ne ha regalati. Secondo certuni, è freddo col suo partito che poco si è speso, e ancor meno ha speso in propaganda: va bene la sobrietà ma qui si esagera.
Un tempo veniva pianificato tutto scientificamente, adesso si procede alla carlona.
«Per certi aspetti la sventola è salutare», ammettono sottovoce i gerarchi, «ci costringe a tornare all’antico». Ma prendersela con Bondi-La Russa-Verdini sarebbe come bombardare la Crocerossa.
C’è stato il Noemigate, e Silvio ha le idee chiare: «La campagna elettorale me l’ha fatta mia moglie...» con il divorzio, le minorenni e tutto quanto è seguito. Su Veronica, a 24 ore dal voto, l’ex-marito dà giudizi poco sereni.
La incolpa delle «calunnie che avrebbero stroncato chiunque», e pure del record di preferenze mancato, ultima delusione.

Nel viluppo di «pubblico» e «privato» che lo contraddistingue, il premier indica una terza causa del fiasco: Kakà.
Le offerte di acquisto del calciatore sono piovute sul Milan a ridosso del voto, «davvero non potevo farci nulla».
Eppure qualche tifoso ha pensato che, se cede l’asso rossonero, «allora Berlusconi potrebbe vendere pure sua sorella», come si legge su certi blog. Terribile.
Il calcio ispira lo sfogo contro certi candidati fannulloni: «Non servono dei Pato, ma dei Gattuso».

E’ notte quando la pratica- Europee viene archiviata. «Il Presidente è sereno», assicura l’ufficio stampa. Però tutti i dubbi restano in piedi, nessuno degli interrogativi strategici pare risolto.
Impossibile prevedere che Silvio sarà.
Se dopo la scoppola patita tornerà coi piedi per terra, oppure inseguirà smanie grandiose di rivincita. Darà retta ai vecchi fidati consiglieri, o si farà ispirare dalla Brambilla, musa bellicosa tornata in auge come ai tempi del «predellino»?
Racconta un fedele della prima ora: «Da un po’ di tempo colloquiare con lui è diventato impossibile. Gli parliamo qualche minuto, poi incomincia a guardarci tutti quanti noi cinquanta e sessantenni con un occhio strano. Come se gli attaccassimo la vecchiaia. Finisce che ci caccia, e tutti i discorsi rimangono a metà».

Ugo Magri