lunedì 15 giugno 2009

Fini la fa da leader?


Ecco, è da un po’ di tempo che volevo spiegare una cosa, convinto come sono di averla capita, e questo modo ineccepibile scelto da Gianfranco Fini per annullare un ritardo protocollare di Gheddafi, soffiando nella sua tenda un discorso in cui è respinto il suo antiamericanismo terroristico ed è difesa l’onorabilità della nazione italiana, me ne dà l’occasione.

Molti nel giro di Berlusconi pensano che Fini si ritaglia uno spazio politico e istituzionale sideralmente distante dall’elettorato del centro destra e dalle sue pulsioni profonde, e che dunque la sua sfida in termini politici sia nulla.
Piétiner sur place: tutto un movimento apparente, ma per restare fermi.
Può anche darsi che alla fine non resti gran che di tutto questo attivismo politico, culturale e civile sul fronte di una serena rispettabilità borghese, di un solidarismo civico e costituzionale, di un laicismo che si integra bene con le scale di valori progressiste e le idee correnti nella società secolarizzata. Ma non ne sarei proprio sicuro.
Il vade retro a Gheddafi, accolto o subito da tutti i vertici istituzionali e dal popolo come una eccellente contro-performance capace di riequilibrare il capriccio del rais, l’unica che si sia vista sulla scena romana di commedia grottesca vissuta la settimana scorsa, dimostra l’assunto principale del nostro vecchio ragionamento.
Fini non avrà mai lo charme demotico di Berlusconi e non potrà mai sfidarlo direttamente, ma gli basta la sua tecnica professionale, unita allo spirito di conversione solitaria che lo ha con ogni evidenza visitato, per essere credibile come candidato alla successione.

A un momento dato, che magari non è così ravvicinato come Fini potrebbe sperare, la stella del presidente della Camera brillerà in una costellazione in cui a pochi astri sarà dato di emettere luce in proprio.
Fini potrà dire: sono stato un leader democratico, ho praticato la democrazia del dibattito interno con i suoi costi, mi sono emancipato da un delfinato dinastico senza gloria e senza smalto, dunque garantisco tutti per il futuro.
Potrà aggiungere: le accuse di tradimento sono solo servite a sottolineare il mio comportamento indipendente ma leale, fedele nell’amicizia politica ma non servile.
E potrà concludere: io da presidente della Camera ho fatto quel che dovevo, integrare la nostra squinternata alleanza di eccentrici in un sistema di establishment chiuso a tutti noi per oltre mezzo secolo, e il mio accreditamento è ora la porta stretta che evangelicamente ci può guadagnare la salvezza.
Un Berlusconi non si replicherà mai, ma un Fini con un profilo diverso e alternativo può parlare un linguaggio non minoritario al popolo che si dice delle libertà.

Le ouverture e gli spaesamenti sono d’altra parte la chiave di volta dell’architettura politica europea, non solo in tempi recenti.
Blair si definì, e sembrava un progetto assurdo, come l’erede della Thatcher. Un uomo di sinistra, che conquistò la maggioranza del Labour strappandola a un’accozzaglia di trotzko-marxisti e di soldatini sindacali, coltivò l’immagine e la sostanza del socialismo europeo più liberale e pro mercato che sia mai esistito.
Sarkozy, a parti rovesciate, è passato dalla gestione esclusivista franco-francese del Ministero dell’Interno, quando pretendeva di raschiare via la feccia multietnica dalle periferie insurrezioniste, al gabinetto delle speranze socialiste, progressiste, multiculturali.
Perché non dovrebbe riuscire, a un leader di destra europea post fascista, con un lungo lavoro sistematico di ricostruzione culturale e civile, il compito di dare un assetto stabile e credibile a un partito e a un’alleanza costruite negli anni con il genio capriccioso di un grande outsider come il Cav.?

Giuliano Ferrara