lunedì 11 febbraio 2008

HILLARY&THE FASHION


Sono assolutamente d’accordo con Anna Wintour – l’americana direttrice di Vogue che con un colpo di frangetta potrebbe stecchire anche il fantasma di mlle G. Bonheur Chanel, sceso in terra a controllare l’umore del suo teutonico successore -, quando dice che la Clinton farebbe bene ad abbandonare i suoi tailleur pantalone e sposare una sana femminilità. Questa cosa la Wintour l’ha scritta in un articoletto vedo non ti vedo che arriva dritto dritto ai cosiddetti non comuni mortali. E siccome io mi occupo di comunicazione politica e l’abito in un politico è un elemento vitale della sua comunicazione… politica, ça va sans dire, ho molto apprezzato che l’insigne maestra abbia messo il becco sul guardaroba di Hillary che forse, dimissionata la sua campaign manager, ben farebbe ad assumere un assistant fashion. La potenziale presidente ha esordito alle primarie dello Iowa (do you remember my trip?) con un tailleur pantalone azzurro esagerato da mettere in crisi anche i più vetusti chroma key televisivi. La editor in chief, che poco più di un anno fa l’aveva piazzata davanti all’obiettivo della Leibovitz per poi omaggiarla con una strepitosa copertina, deve essersi sentita proprio beffata se ha dovuto usare il suo magazine per richiamare all’ordine la candidata che pare aver dimenticato l’esistenza, tanto per citare qualcuno che amo, di un Oscar de la Renta e via via di tutti quegli stilisti americani che qualche carta per competere con quelli italiani e francesi pur ce l’hanno.

Ora, capisco che la signora Hillary è una democratica e che i democratici non devono tirarsela troppo, ma, data l’occasione piuttosto rara di avere una donna sotto i riflettori del mondo, forse quella donna non farebbe male a fare l’ambasciatrice di quel che nel settore del fashion produce il suo paese.

Altrimenti l’immagine che arriva alle signore dell’Egitto o della Norvegia o della Lestonia e di tutti i paesi del globo, è che tutte le americane sono davvero delle grezzone e con un fondoschiena oversize.

Personalmente ritengo che una candidata elegante, libera dall’assillo di sembrare un uomo per guadagnarsi il consenso politico, possa fornire un ottimo esempio di come la politica sia un termine di genere femminile. E lady Hillary ben farebbe, comunque e ovunque vada, a offrire un modello di femminilità coniugata alla competenza, alla tenacia e a tutte quelle virtù più o meno indispensabili per far seriamente politica.

Qualcuno può sostenere forse che un cappello di Vera Wang toglie invece di aggiungere voti? E che un golfino di Marc Jacobs indispettisce la popolazione del Nevada?

Temo proprio che le donne siano, in fondo in fondo, delle conservatrici. Ahimè.