sabato 4 aprile 2009

BERLUSCONI "CI E' O CI FA"?


Silvio Berlusconi chiama a gran voce Obama alle spalle dell’inorridita/divertita Regina d'Inghilterra e lascia basita la Merkel sul red carpet di Strasburgo perchè non saprebbe fare altrimenti.
Silvio Berlusconi non ha consiglieri e strateghi che gli possono dire che cosa fare e che cosa omettere, non ha spin doctor che gli programmano la giornata calibrando parole e gesti (al primo tentativo di pilotarlo e/o indirizzarlo sarebbero letteralmente cacciati, da lui personalmente, a calci nel sedere).
McLuhan non me ne voglia, ma Berlusconi non usa messaggi - più o meno trasversali - perchè lui è il messaggio.
Dal 1994 l'Italia si è dotata di una (comunicazione) politica nuova che coincide con il leader che l'ha introdotta. E’ stato lui, con un tempismo irripetibile, a mettere a nudo la vacuità di quella partitocrazia che proprio a causa delle sue liturgie è stata messa alla porta dall'elettorato esasperato dall’assistere a rituali celebrati in quell’odioso linguaggio che era il politichese.
La sinistra, allora come oggi, inorridisce di fronte a questa caduta di valori verbali ma prima o poi –almeno sino a quando Berlusconi rimane sulla scena politica –, dovrà non solo farsene una ragione, ma abbandonarli anch’essa a favore di una comunicazione friendly che non è certamente quella di Veltroni sullo sfondo di Spello (non era quella la rappresentazione adeguata e soprattutto reale del Paese) e non è nemmeno quella di Franceschini tra le bandiere rosse e minoritarie della Cgil.
Berlusconi, volente o nolente, ha dettato le regole del gioco e a quelle è necessario adattarsi almeno sino a quando non apparirà – ma non se ne vede traccia –, un nuovo leader antagonista capace di contrastarlo non sul suo stesso terreno (la reiterazione dell’obamiano Yes I Can è stato un grossolano tentativo di mutuare i plebei messaggi forzisti) ma in grado di mettere sul tavolo una nuova (comunicazione) politica di segni e messaggi.
Il premier Berlusconi è un gaffeur di natura che a ogni vistosa caduta di stile (involontaria) accalappia ulteriormente il cuore del suo elettorato. Il nome di Obama pronunciato a voce alta – omettendo persino il titolo di President - nel museo delle cere di Buckingam Palace è suonato come un’offesa mortale alle nobili orecchie della Her Majesty e dell’intellighenzia mondiale. Il rattoppo della diplomazia ha salvato il salvabile, ma il messaggio che è arrivato all’opinione pubblica è quello di un piccolo leader italiano che di essere a Corte non gliene importa niente e per il quale Obama non è Il Presidente ma un presidente par suo.
Questo è un messaggio di straordinaria presa emotiva che supera di gran lunga l’orticaria dei fan (me compresa) dell’etiquette di Palazzo e dei cerimoniali del tè.
Tutti sappiamo che un Veltroni /o Franceschini (invertendo i fattori il prodotto non cambia) avrebbero attraversato il cielo della Manica ripassando le regole del cerimoniale e provando l’inchino da fare alla Queen prima e al President poi e tutti avremmo detto: “ma che bravo il nostro premier”. E la liturgia sarebbe stata rispettata. Ma oggi, come nel 1994, Berlusconi rompe le regole e, alla cena con “i grandi”, ai birignao con Sarkozy preferisce i gossip della fascinosa Naomi Campell senza dar segno di provare il benché minimo imbarazzo.
Berlusconi ha rotto il mito della reverenzialità nei confronti degli Intoccabili, dà pacche sulle spalle, se gli viene fa le corna durante la foto di rito, telefona mentre una Signora tenta di dargli il benvenuto.
Berlusconi è l’italiano che c’è in noi. E’ quello che se sfrattassero la Majesty parteciperebbe all’asta (magari con Briatore) per comprarne la reggia, che non vive senza telefonino (qualcuno chiederà i tabulati per scoprire se davvero era al telefono con Erdogan o piuttosto se non stava raccomandando una sua starlette? Evento, questo, che aumenterebbe ulteriormente la sua notorietà e non stupirebbe nessuno), che fa tardi, che con Obama si comporta come se fossero compagni di college e di canna.
In breve, Berlusconi è quello che gli italiani vorrebbero essere.
Non i suoi avversari politici, si intende, ma quella gran massa (maggioranza) che rabbrividisce all’idea un ritorno di quel politichese lecchino, quel codice da pizzino, che ha imperato in Italia finchè lui, il Maleducato, non è arrivato con il suo codazzo di amichette e consigli per gli acquisti.
Immagino che il fedelissimo Valentino Valentini, lo sveglissimo consigliere che lo tallona per dargli consigli su quanto ha ragione, si sia guardato bene dal rimbrottarlo limitandosi a “gestire” l’informazione (io avevo detto che lui aveva detto che non avevo detto quel che aveva detto, più o meno) e al prendere atto che comunque il suo datore di lavoro cade sempre in piedi e che, scivolone dopo scivolone – comunque sia -, scrosciano gli applausi (voti).