martedì 29 aprile 2008
lunedì 28 aprile 2008
RED
Le uniche rosse che vincono sono ormai le Ferrari ovunque e la Brambilla da Lecco in giù, Brambilla intesa come Michela Vittoria, detta anche la Rita Hayworth della Padania (la Hayworth ci perdoni, se può, no, non può). Aggrappati a Kimi il finlandese, noi morbosi amanti del rosso. C’era una volta il rosso. Per gli antichi era il colore nobile. Il piacione medievale e il dandy rinascimentale sceglievano il rosso cardinalizio per sedurre le dame a corte. «Sulla volta celeste, rosso come la marsigliese, sussurrava, crepando, il tramonto», scriveva Majakovskij. Rosso era il colore della passione e dell'eccitazione. Scaldava i cuori e ottenebrava i tori. Oggi dici rosso e pensi al mutuo o a Bertinotti. E cioè alla depressione. Morto un Peppone non se ne fa un altro, parola di Don Camillo. Rosso di questi tempi è il colore del tuo conto in banca e della tua presenza in Parlamento, numeri oscillanti tra lo zero e sotto lo zero. Il rosso sparisce e sfinisce un po' ovunque. Abolito in politica, nelle piazze e in Parlamento, cancellato dalle bandiere e dai manifesti. Decaduto anche nel gusto della gente. Secondo recenti sondaggi, il rosso «tira» ancora solo a casa di Dario Argento e in Spagna, dove lo amano per via del sangue e delle arene e lo chiamano colorado, il colore per definizione. In tutto il resto d'Europa e non solo in quella moderata, alla precisa domanda: qual è il tuo colore preferito, la risposta è nella stragrande maggioranza l'azzurro. Il colore di Berlusconi. Il rosso è molto indietro nella classifica. La rimozione del rosso è totale. Il rosso è oggi scorretto in politica, cafone nella moda. Non solo nelle cabine elettorali, il rosso è associato all'ansia e al fallimento. Nei test cognitivi dici rosso e associ divieto, stop, errore e orrore. Il rosso piace solo ai bambini, che detestano il grigio e hanno paura del nero, ai vampiri e ai viziosi pornomani. Ma, anche qui, le cose non vanno. Le favole di Andersen non sono più di moda e l'industria a luci rosse perde colpi, è un business calante. C'è rosso e rosso anche nelle cose che vanno a motore. Sì, è vero, le Ferrari stravincono in Spagna, ma le altre, le Ducati, prendono botte ovunque e da chiunque, soprattutto dalle giapponesi. In questo caso il rosso è mortificato dal giallo. A essere rigorosi, le prime avvisaglie del declino del rosso risalgono in Italia a due anni orsono, alla sparizione dall'etere che conta di Aldo Biscardi, il rosso al carotene più telegenico della storia. Un dramma per lui, un trauma per gli italiani (il primo certo, il secondo da verificare). Emarginato, Biscardi, per colpa della relazione pericolosa con il suo amico Luciano Moggi, anche lui incline al rosso tinto, più mogano che rosso. Dalla sparizione di Biscardi a quella, l'anno dopo, di Luna Rossa. Stracciata nell'ultima Coppa America in finale dai neozelandesi, arriva la pietra tombale lo scorso agosto. È Patrizio Bertelli in persona a ufficializzarne la morte con la storica frase: «Si è chiuso un ciclo». Perde il rosso e perdono i suoi derivati. Perdono i Rossi e i Capirossi. Valentino arranca, Loris stecca. Si estinguono i pettirossi. Resistono Vasco Rossi e il vino rosso, due miti che, spesso, si confondono. Vogliamo parlare di Milva, la pantera rossa, la pupilla di Strehler, la musa di Brecht, braccata dalla Finanza e indagata per un conto in Lichtenstein, che non ha nemmeno l'attenuante di essere in rosso? Senza contare il processo in corso di revisione storica su Federico Barbarossa. E, tanto per restare in casa nostra, qualcuno ha notizie di Luca Barbarossa, che non siano i suoi gol nella nazionale cantanti? Insomma, esclusa la Brambilla che è rossa, ma soprattutto azzurra, restano la Ferrari e le tute rosse di Maranello. Quanto resta della classe operaia che va in paradiso. E pazienza se, dentro le rosse, galleggiano un finlandese diafano, per giunta biondo, e un brasiliano corvino, declinante al nero. Kimi Raikkonen e Felipe Massa sono l'ultimo avamposto di soccorso rosso, la versione su asfalto della Croce rossa, l'orgoglio estremo di tutti coloro che si ostinano ad amare il rosso. Restano loro due, le gote rosse di Jean Todt e lo sguardo di Luca di Montezemolo che, a guardarlo bene, emana qualcosa di rosso.
sabato 26 aprile 2008
mercoledì 23 aprile 2008
Ma và là....
Il Times di Londra ha stilato la top ten degli insulti politici più celebri (niente di nuovo, qui davanti ho un libretto della Pinguin dall'eloquente titolo Honorable insults). L'unico attacco non britannico presente nella top ten è quello lanciato da Romano Prodi nei confronti di Berlusconi durante la campagna elettorale del 2006. Il professore durante il secondo faccia a faccia televisivo con il Cavaliere, spazientito per la carrellata di numeri enunciati dall'allora leader del «Polo delle libertà» parafrasando una battuta del premio Nobel Bernard Shaw, commentò: «Berlusconi si attacca alle cifre come gli ubriachi si attaccano ai lampioni». Nella short list non poteva mancare Winston Churchill che spesso freddava i suoi avversari con battute al vetriolo. Tra le sue più celebri invettive il Times ne sceglie due: la prima è quella indirizzata nei confronti di Clement Attlee che lo spodestò dalla carica di primo ministro all'indomani della vittoria nella Seconda Guerra Mondiale. Il leader laburista fu definito dal premier britannico «Una pecora in abiti da pecora» (parafrasando il proverbio «un lupo in abiti da pecora»). La seconda offesa di Churchill ebbe come vittima Sir Stafford Cripps, esponente laburista. Per criticare la sua strategia politica Churchill commentò: «There but for the grace of God goes God»«There but for the grace of God go I» «Se Dio non mi aiuta vado finire così anch'io») che potrebbe essere tradotto più o meno con «Se Dio non si aiuta va a finire male pure Lui». Nella sua carriera lo statista fu investito anche da diversi attacchi. Il Times sceglie quello rivolto nei suoi confronti da Frederick Edwin Smith che disse di Churchill: «Winston ha speso i migliori anni della sua vita a preparare discorsi improvvisati». Secondo il Times l'età dell'oro dell'invettiva fu il periodo vittoriano quando i due politici inglesi, Benjamin Disraeli e William Gladstone si affrontarono per decenni nella Camera dei Comuni anche a colpi d'insulti. Tra questi il Times ricorda l'invettiva di Disraeli che così una volta criticò l'avversario di una vita: «Non ha un solo difetto che si possa redimere». Ma il politico conservatore non era l'unico a non amare Gladstone. Gli storici raccontano che non andasse a genio nemmeno alla regina Vittoria che stanca dei suoi modi rozzi di Gladstone, troppo lontani dall’etichetta di corte, disse di lui: «Il signor Gladstone si rivolge a me come se parlasse al pubblico».
A LONG WAY....
Sen. Hillary Clinton pulled out a victory in Pennsylvania Tuesday, once again preventing Sen. Barack Obama from knocking her out of the race, at least for now. The question now is the size of Clinton's victory. Most strategists say her margin of victory has to get into the double digits to really change the tone of this race.
Clinton is the projected winner of Tuesday's crucial Democratic primary in Pennsylvania, with 53 percent of the vote to Obama's 47 percent with just 18 percent of precincts reporting. But even with the win, which University of Virginia political science professor Larry Sabato says provides Clinton some temporary bragging rights, "the odds are against her in any event," he concludes.
Clinton has an uphill fight to get just one win out of the next two states on the Democratic primary docket. Polls show a mixed bag in Indiana where Clinton stands the best chance on May 6. The numbers range from a 5 point lead for Obama in the latest LA Times/Bloomberg to a 16 point advantage for Clinton in a recent Survey USA poll.
In North Carolina, polls suggest an Obama landslide. A recent Insider Advantage poll gives Obama a 15 point lead, while the latest numbers from Public Policy Polling give the Illinois senator a staggering 25 point edge. That poll also shows Obama leading among women and within striking distance of Clinton's 5 point lead among white voters.
"North Carolina is a lost cause," Sabato says. "Obama will win big because of the large African-American percentage. Indiana is very close, and it borders Illinois, [which] should help Obama. But [Sen.] Evan Bayh is for Clinton, and he's the equivalent of [Ohio Gov. Ted] Strickland or [Pennsylvania Gov. Ed] Rendell."
In both upcoming contests, the economy is issue one according to polls and the campaigns are already up with TV ads in both states. Still, Indiana is friendlier territory for Clinton given the state's higher percentage of working-class white voters, a source of strength for Clinton in states like Ohio and Pennsylvania.
"She can probably pull out a victory in Indiana," says analyst Rhodes Cook. "And then even if she loses North Carolina, she still has Kentucky and West Virginia where could conceivably win by 20 points each."
While the numbers game is all but a lost cause for Clinton between Obama's lead in the pledged delegate count and in the overall number of states won, Cook says Clinton still has an outside shot at catching Obama in the popular vote-something that may keep her in the race until the bitter end.
While Clinton still won among white men in Pennsylvania, exit polls showed a much smaller margin than she garnered in Ohio. Clinton won some 53 percent of the white male vote to Obama's 46 percent. In Ohio, Clinton bested Obama by a full 19 points with that constituency.
"In terms of Pennsylvania being a major game-changing type of result," says Cook, "it would have to be an overall win of 10 points or more."
For its part the Clinton campaign is focusing on Obama's massive spending and ad blitz in the state, which failed to translate into a win despite shattering political advertising records.
"It's still a loss [for Obama]," says Democratic strategist Steve McMahon, "and the argument Clinton is making about him can become a concern for some people."
One scenario for Obama to close out the race before June is for superdelegates to finally close in large numbers for the Illinois senator. Even if that does happen, Larry Sabato says he doesn't see Clinton quitting.
"Keep in mind that [Clinton] is nearly guaranteed to win West Virginia, Kentucky and Puerto Rico, as long as she stays in," says Sabato. "Why exactly would she withdraw knowing she has three more victories coming?"(and twenty years ago I was in Pennsylvania for the election with my friend Larry...)
martedì 22 aprile 2008
MARKETING&LANDSCAPE
Se DabliuVì avesse letto i numerosi (troppi) post che gli ho dedicato in questi mesi! Non è che io ce l'abbia con il past Major di tutti noi italiani e non è che mi sia mai scandalizzata per le cenette sulle terrazze giuste o l'ossessione a fare le liste con logiche proporzionalistiche (un attore, una cuoca, un costruttore, un professionista, una studentessa... ma che noia! Persino il suo maestro Craxi in questo era più fantasioso!). Devo dire che anche i pat pat dati e ricevuti con LucdiMont o PMiel mi hanno sempre lasciata abbastanza fredda. E' che Spello, no. Quello non doveva. Il landscape umbro con cipressi e Dimore come in uno spot della Barilla o un trailer dei Vanzina in trasferta ...Troppo glam! Persino io, adoratrice del Pintoricchio e dei suoi cloni (Del Piero...) mi sono leggermente risentita! Temo che davanti al camino abbia una raccolta impilata di AD, il must dei voyeristi che non arrivano alla seconda settimana....
sabato 19 aprile 2008
UN OBAMA IN USA PUO' DETERMINARE UN VELTRONI IN ITALIA?
Le météorologiste américain Edward Lorenz est mort des suites d'un cancer, mercredi 16 avril, à Cambridge. Au début des années 1960, alors qu'il s'interrogeait sur la difficulté de prédire avec précision l'évolution de la météo, il a abouti à la théorie dite "du chaos", qui a révolutionné la science bien au-delà de son champ de recherche.
Depuis les travaux de Newton, on pensait pouvoir prédire avec précision l'évolution d'un système donné en connaissant ses conditions initiales et les forces qui s'y appliquent. Edward Lorenz a prouvé que de toutes petites variations entre deux situations initiales pouvaient engendrer, au bout d'un certain temps, des situations finales très éloignées. Au XIXe siècle, le mathématicien français Henri Poincaré l'avait pressenti, mais avait été incapable de le démontrer, faute de calculateurs capables de réaliser des millions, voire des milliards d'opérations.
En 1972, Lorenz publie un article scientifique au titre saugrenu : "Prévisibilité, le battement d'aile d'un papillon au Mexique peut-il provoquer une tornade au Texas ?" Cette publication est restée célèbre sous le nom d'"effet papillon". Ces découvertes ont eu des implications dans la plupart des domaines scientifiques. Dans le sien, Lorenz est arrivé à la conclusion qu'il ne serait jamais possible de prédire avec précision la météo à plus de deux ou trois semaines.
Certains scientifiques ont vu dans les travaux de Lorenz, la troisième révolution scientifique du XXe siècle après celles de la relativité et de la mécanique quantique. Dans un communiqué du MIT annonçant la mort de Lorenz, Kerry Emanuel, professeur de sciences atmosphériques à la célèbre université de Boston, a estimé qu' il "avait planté le dernier clou dans le cercueil de la science cartésienne en prouvant que les systèmes déterministes avaient des limites de prévisibilité".venerdì 18 aprile 2008
BLOCKED LIST
ETIQUETTE
God only knows quanto trovi sconveniente parlare di quel che succede dalle mie parti ma poi succede che mi dicano che invece devo farlo, che qui da noi se lo aspettano e bla bla bla bla bla. Tanto vale quindi togliersi subito il problema e raccontare di come sia inquietante che il past president della Regione, l'omino del caffè, quello tutto ossicini, Porsche, moto e vela e non oso immaginare cos'altro ancora, si sia dissolto in puro stile zen. Premetto che a me il tizietto piace molto, anzi, moltissimo perchè è un alternativo. Non che sia uno da centro sociale o robe del genere o che faccia il punk. E' che c'è qualcosa in lui di vagamente inquietante che lo colloca nella categoria dei diversi nella quale notoriamente sguazzo. A me pare talvolta che la sua, almeno quella che noi mortali vediamo, sia una second life e lui sia l'avatar che si è dato alla politica. E così mentre l'avatar senza cravatta se la vede con i mostri delle maggioranze e delle opposizioni, quello in carne ed ossa veleggia ai Caraibi o fà il fuori pista ad Aspen. Va da sè che un avatar è esonerato dai sentimenti e, come tale, se perde un ruolo se ne và con un clic. Non si spiega altrimenti il perchè dall'altro giorno, dopo il responso delle urne (real life, che horror!), sia sparito commiatandosi da tutti quelli che in questi anni hanno condiviso con lui gioie e dolori (come non detto, l'avatar non soffre e non sa dell'esistenza della real life che, ahilui, comunque c'è), con una mail non esattamente espansiva e un sms.
Se ho ben capito - e ho capito - dall'ufficio di presidenza è via via a tutti quelli che hanno passato cinque anni della loro vita vera dalle sue parti per sua volontà, desiderio e sfizio o semplice lavoro, l'ometto - smilzo come un chicco - ha affidato (non essendo umano si è trattata di pura coerenza) alla più miserevole delle tecnologie il suo ringraziamento e saluto.
Ha attraversato quindi la vita degli umani come una nuvola di Poison di Dior (che odio) spruzzata nell'aere e destinata a volatilizzarsi in pochi secondi salvo depositarsi - ahi ahi che dolore!- nelle fonti di calore (cuore, fegato e frattaglie varie) di pochi privilegiati (quelli dotati di cuore ecc. ecc.).
Si dice, si legge, che stiano allestendogli una stanza nell'azienda di famiglia. Credo che le pareti siano bianche. Tutto il resto non serve. Molto zen.
giovedì 17 aprile 2008
POLLSTER ALLA BRACE
Da questo etereo ed eterogeneo spazio vorrei lanciare un appello affinchè siano definitivamente messi al bando da questo paese tutti i soggetti di età adulta la cui fonte di guadagno è rappresentata dalla raccolta, elaborazione e divulgazione di dati atti a turbare l'opinione pubblica. In particolare chiedo che siano confinati in elementi cuniculari ad andamento progressivo con risposta chiusa, a partire dal 1.259 giorno antecedente una qualsivoglia consultazione elettorale, tutti quegli elementi che in forma singola o associata seminano il panico tra elettori e candidati attraverso la somministrazione dissennata di numeri in forma percentuale riferiti a comportamenti di là da venire.
Nel caso in cui ci siano candidati o partiti che, privati dei suddetti numeri, manifestino evidenti sintomi psicopolitici, chiedo che ai medesimi siano offerte - per alleviare le sofferenze - pozioni di acqua calda alternata, se se ne registrasse l'esigenza, ad acqua tiepida.
Coloro che verranno trovati, nel periodo indicato, a spacciare clandestinamente percentuali o numeri, saranno immediatamente confinati in appositi centri di accoglienza definitiva dotati di pallottolieri taroccati. A fini rieducativi saranno proiettati i cicli completi delle fiabe dei fratelli Grimm (per riaffermare il significato storico del momento elettorale a Udine sarà riproposta in particolare una versione aggiornata della fiaba Honsell e Gretel) e, nel caso in cui la loro età biologica lo consenta, il film The Illusionist.
Chi scrive è disposta a vendere altre brillanti, efficaci e spiritose soluzioni.
mercoledì 16 aprile 2008
POST MODERNE
martedì 15 aprile 2008
COSE DI CASA
FROM MY AMERICAN BEST FRIEND
STATEMENT
La sconfitta del Pd è da ricondurre anche agli errori di comunicazione sia del partito sia del suo leader Walter Veltroni. La forte personalizzazione (simile a quella dello sfidante di Silvio Berlusconi) non è stata coerente rispetto alle aspettative dell’elettorato di sinistra abituato a misurarsi con “il gruppo” o “il movimento” piuttosto che con un singolo individuo. Il concetto di leadership, nella sinistra, è infatti allargata al movimento piuttosto che al singolo leader.
Più coerente e vincente sarebbe stata quindi una “squadra” che avrebbe dovuto muoversi in sintonia con il candidato premier.
E’ stata coraggiosa, dal punto di vista della comunicazione ma non vincente, la scelta di trasformare radicalmente il simbolo del partito azzerando ogni riferimento al passato in cui la sinistra è ancora profondamente radicata. Ciò a prodotto negli elettori storici crisi di identità e in quelli da acquisire il timore di un “salto nel buio”. In politica la fedeltà alla simbologia espressa da un segno (grafico o modello di comportamento) paga sempre.
Il linguaggio utilizzato dal candidato premier Veltroni è stato troppo soft e moderato in un momento storico con punte di disagio particolarmente elevate.
Il continuo richiamo al candidato americano Obama è stato azzardato in quanto è un modello troppo distante dalla nostra cultura (meglio sarebbe stato riferirsi, ad esempio, a Zapatero) senza tener conto che la comunicazione di quest’ultimo è finalizzata alla nomination e non alla conquista della presidenza degli Stati Uniti (dopo le nominations i candidati americani cambiano completamente la loro strategia di comunicazione).
La berlusconizzazione della campagna elettorale di Veltroni (pullman, comizi, gadget ecc.) ha intaccato la percezione della sua leadership che è risultata debole in quanto poco autorevole.
Lo stesso discorso iniziale di Spello è risultato romantico piuttosto che politico e l’autorevolezza è stata stemperata dalla prevalenza della coreografia.
La comunicazione non verbale (abbigliamento) ha trasmesso l’immagine di un tardo - yuppi piuttosto che di un innovatore.
Sono mancate delle parole “chiave” in grado di mettere a fuoco gli obiettivi che si intendevano raggiungere (come le tre “i” del Berlusconi prima maniera).
Un importante errore politico e di comunicazione è stato il non aver presentato con buon anticipo la propria squadra di governo o, quantomeno, i suoi nomi di punta. La corsa di Veltroni è stata quindi un assolo mentre la sinistra più o meno moderata si riconosce ancora (e per questo anche si diversifica dal centrodestra) nella “massa” intesa come gruppo più o meno allargato ma pur sempre gruppo.
Walter Veltroni non si è staccato dalla sua romanità (caratterialità, stile comunicativo, localizzazione geografica, stile da sindaco) inducendo l’elettorato a una scelta tra un modello “milanese” (efficienza) e uno “meridionale” (burocrazia). Meglio avrebbe fatto a dar vita a una manciata di lofts sparsi sul territorio da frequentare assiduamente (al posto del grand tour in Italia) e radicati tra la gente delle diverse regioni in cui sarebbero stati dislocati.
lunedì 14 aprile 2008
domenica 13 aprile 2008
E DAY
La campagna elettorale che abbiamo alle spalle ha prodotto manciate di promesse senz’essere capace di esprimere una visione dell’Italia. Come se entrambi i principali contendenti immaginassero un breve e piccolo governo, destinato, nel migliore dei casi, a produrre alcune essenziali riforme, forse addirittura soltanto una nuova legge elettorale; e, nel peggiore, a vivacchiare per tanta o poca legislatura.
Tutti i partecipanti alle elezioni, Berlusconi e Veltroni in primo luogo, sono appesantiti dal passato. Berlusconi non può menar troppo vanto - anche se talvolta, nella foga del comiziante, ripete i soliti autoelogi - di un governo che lasciò i conti pubblici in cattive condizioni e che riuscì a realizzare, secondo le valutazioni più attendibili, solo il 50/60 per cento del suo programma. Veltroni porta sulle spalle il gravoso fardello del bilancio del ministero Prodi (che nel giudizio dell’opinione pubblica è forse ancora più pesante della realtà) e fa del suo meglio per non apparirne ingobbito.
Quanto al futuro, i candidati premier, immersi loro malgrado nell’economia-mondo, hanno presto dovuto accantonare le polemiche domestiche su veri o immaginari tesoretti: la realtà italiana, ormai da sei anni a crescita zero (dati Ocse di pochi giorni fa), non consente a nessuno di cavarsi d’impaccio accusando la cattiva gestione dell’avversario. Se dalla nascita dell’euro in poi lo sviluppo italiano è sempre stato inferiore alla media europea è difficile prendersela con la congiuntura internazionale e non con i governi di centro-destra e centro-sinistra che si sono succeduti.
L’indebolimento del Paese, che chiama in causa l’intera classe dirigente al di là della rappresentanza politica, pone i futuri eletti di fronte a un’emergenza drammatica: è urgente stimolare la crescita e sostenere il potere d’acquisto dei ceti medi e poveri, riducendo le tasse e aumentando stipendi e salari. Ma è chiaro che il beneficio di provvedimenti fiscali redistributivi dura poco se non si accompagna a riforme che rilancino la produttività d’insieme del sistema.
Di fronte a un Paese depresso nessuno è stato capace di una proposta-choc. Tutto ciò aiuta a capire la deludente somiglianza dei programmi. Ma anche una significativa differenza di toni, più pessimista quello del Cavaliere (che spesso ha parlato della necessità di provvedimenti impopolari), più sbrigliato nel promettere Veltroni: differenza sarcasticamente spiegata da Tremonti con una diversa consapevolezza, quella della vittoria da parte del Pdl e quella della sconfitta da parte del Pd.
Le promesse a pioggia - meno Ici, pensioni più alte, case a prezzi accessibili ecc.- non bastano a fare la differenza: la sfiducia seminata a piene mani dal tifone dell’antipolitica non si è limitata a colpire più duramente la formazione al governo e a sradicare esponenti di partito di lungo corso, ma ha percorso l’intera campagna ricoprendo parole e persone con lo sgradevole polverone del «già visto». Una campagna che non ci ha risparmiato le vecchie gag del Cavaliere, ma che non ha realizzato pienamente neppure il tentativo di innovazione veltroniano. E non è un caso che gli indecisi arrivino, secondo le valutazioni più pessimiste, a un terzo del totale e che si tema una valanga di astensioni.
Quanto peserà la sfiducia? Quanto funzionerà, come antidoto, ciò che rimane del vecchio cemento identitario nei diversi partiti? Il risultato di queste elezioni sarà determinante per il futuro di un sistema minato, negli anni passati, proprio dall’inettitudine dimostrata sul principale banco di prova della politica, quello della governabilità. Non è un caso che, dopo l’esperienza Prodi, una parola d’ordine abbia percorso gli schieramenti, divenendo di volta in volta elemento di coesione o ripulsa: quella del «voto utile», assegnato all’uno o all’altro dei due schieramenti, Pdl e Pd, che soli sembrano avere la forza di dare vita a una maggioranza di governo.
Ma dire «utile» non basta a chiarire la destinazione di marcia: sono molti a ritenere - esponenti dell’establishment, commentatori illustri e da ultimo l’ambasciatore americano Spogli - che un momento difficile come l’attuale richieda la condivisione delle responsabilità da parte dei due maggiori partiti. La campagna elettorale che abbiamo alle spalle sembra dimostrare che tra Pdl e Pd manchi l’omogeneità necessaria - anche a causa del peso, che potrebbe essere decisivo, della Lega - per intervenire sui grovigli di nodi che immobilizzano il Paese e per fronteggiare le conseguenti reazioni. Ciò che oggi si può dire è fin troppo ovvio: chi vince, governi. In caso di parità, come si ipotizza con insistenza per il Senato, è opportuno che Pdl e Pd si sforzino di realizzare un’intesa strettamente finalizzata ad approvare una decente legge elettorale.
Quanto a chi scegliere, è il caso di introdurre un elemento di serenità: non siamo di fronte a elezioni epocali. Si confrontano partiti, non visioni del mondo. In gioco è la velocità del processo di modernizzazione del Paese. Da una parte c’è un’alleanza corporativa, di protezionisti e liberisti presunti, dall’altra gli eredi di una coalizione che non è stata affatto brillante nel suo tentativo di governare una società dinamica ma che propongono un’ipotesi, almeno sulla carta, innovativa. Lo stato di crisi della società italiana non consente di essere conservatori.
Giulio ANSELMI
venerdì 11 aprile 2008
ET AB HIC ET AB HOC
Sono laureato in scienze internazionali e diplomatiche, da dieci anni sono impiegato presso una grande azienda di telecomunicazioni e ho fatto tutta l'università lavorando.
Da un anno circa ho deciso di entrare in politica, per passione, per ambizione personale e per provare a migliorare la situazione.
Non sono interessato a fare il consigliere di circoscrizione, punto al consiglio regionale; lo spunto è stato la scoperta che nel 2005 un trentenne sconosciuto candidatosi nella lista consumatori è riuscito a farsi eleggere con solo 250 preferenze mentre la lista ha preso abbastanza voti per avere un consigliere regionale (le firme per la presentazione della lista erano tutte false lui è stato inquisito ma è rimasto al suo posto ed ha cambiato partito passando ai pensionati, direi tipico esemplare di politico italiano!). Probabilmente per lui è stato come vincere la lotteria, in ogni caso credo che l'exploit sia ripetibile con un fortissimo impegno da parte mia, ho comunque verificato i numeri e onestamente credo che con un buon marketing politico la cosa sia fattibile. Ho solo tre "piccoli" problemi:
1) i soldi da spendere sono pochi ( per la regione potrei spendere 5000, massimo 10.000 euro)
2) manca il partito
3) ho conosciuto molti politici ma nessuno che voglia insegnarmi il mestiere, in un anno che giro i vari partiti non sono riuscito a trovare una guida e questa forse è la cosa che mi pesa di più.
Nei partiti grossi (PD, PDL, ma anche UDC, PSI) non ci sono possibilità, ti dicono si parte dalla circoscrizione, è l'iter da seguire; peccato che i giovani figli di politici entrino direttamente in consiglio comunale a 20 anni.
Ho osservato molto e non ho parlato con nessuno delle mie intenzioni, ho frequentato abbastanza spesso un partito locale "i moderati". Sarebbe stato il partito perfetto: di centro, piccolo ma non troppo; ma sono perplesso: mi hanno fatto partecipare a delle riunioni per fare un libro bianco ma fondamentalmente non ho visto neanche l'ombra di vera politica, di stanza dei bottoni e ho idea che non gliene importi niente di farmela vedere. Adesso vedo come si evolve la situazione, poi valuterò udc, consumatori e pensionati.
Che ne pensa? Credo di avere grande bisogno di una consulenza. Mi scuso per la lunghezza della mail.
Italian elections for dummies
Didn't the Italians just have an election?
Two years ago.
So why are they voting again?
Last time, they elected a centre-left government headed by the former EU commission president Romano Prodi. But he had only a tenuous majority in parliament, and eventually lost a vote of confidence on January 24.
Is he standing again?
No. His place as leader of the centre left has been taken by the former mayor of Rome Walter Veltroni. Last year, he became leader of a new movement that unites the two biggest parties in Prodi's alliance, made up largely of ex-communists and the more progressive sort of Christian Democrat.
What are his chances?
Not good. Under Italian law, polls cannot be published in the final two weeks of campaigning , but the last ones we know of all gave Silvio Berlusconi a substantial lead.
Why?
Part of the answer is that Veltroni and his new Democratic party are running alone, without the support of the Marxists and Greens, who formed part of Prodi's alliance. (The idea was to present the electorate with a moderate option.) However, Berlusconi is also standing with a shrunken alliance. He lost the support of the more conservative Christian Democrats soon after Prodi lost power. The other part of the explanation is that many floating voters are fed up with the centre left.
Why?
One reason was impatience with the endless bickering within Prodi's broad alliance (another reason why Veltroni decided to go it alone). Then there was the government's disastrous failure to anticipate a string of crises, the latest and most dramatically visible being the Naples rubbish emergency. Another explanation for the unpopularity of outgoing government is that not only cracked down on tax evasion, but also increased tax rates. It helped get the public accounts back in order, but didn't exactly make Prodi popular.
So is Berlusconi promising to cut taxes instead?
You bet.
What about Veltroni?
Same thing. He's promising that, starting next year, he'll cut the rate of income tax by one per cent a year.
But doesn't Italy have huge that it's meant to be paying off?
Yes, indeed. The state owes more than its inhabitants produce in a year. Both contenders say they will cut the cost of the public administration (though, since they also have ambitious spending plans, that is unlikely to save much overall). In addition, though, they plan huge programmes of public asset sales which they claim will fund the tax cuts and leave something over with which to reduce Italy's debts.
Is there any difference at all between Berlusconi and Veltroni?
Their programmes are almost identical. Veltroni's Democrats put more emphasis on welfare spending. Berlusconi's Freedom Folk stress the need for investment in infrastructure. But the similarity of their programmes has made for a lacklustre campaign and helps explain why Veltroni has scarcely eroded Berlusconi's lead.
It sounds as if Berlusconi is home and dry ...
Not necessarily. Italy has a bizarre electoral system (which Berlusconi himself introduced). It gives the party with most votes a bonus of seats in the lower house to guarantee it an overall majority. But, in the upper house, the Senate, similar bonuses are doled out region by region. This makes for slim majorities like the one that doomed Prodi. It is even possible that Berlusconi could have a majority in the chamber of deputies while the centre left controlled the upper house.
What then?
He would probably try to form a "grand alliance" to make the country governable.
Is that why he has conducted such an uncharacteristically uncontroversial campaign?
Almost certainly.
giovedì 10 aprile 2008
No election, No party
Women in love
Dopo aver annunciato che non prenderà parte, domani sera, al programma aperto a tutti i candidati premier da cui hanno già defezionato Berlusconi e Veltroni, per non mescolarsi con i piccoli partiti come Grilli Parlanti e il Bene Comune, Daniela Santanchè, la rivelazione politico-mediatica di questa campagna elettorale, ha preso di petto - sia detto senza ingiuria - il Cavaliere, con toni inusitati. Reagendo a una delle innumerevoli affermazioni del leader del Pdl («Non rispondo alla Santanchè perché la destra-Billionaire tenta di portar via voti a noi»), la candidata-premier del neonato partito di Storace ha avuto toni molto espliciti: «Berlusconi dica ciò che vuole, tanto non gliela dò!». Ora, a parte l'evidente contenuto personale di quest'attacco, a parte la scarsa pertinenza con i temi in discussione e con i problemi crescenti che nell'ultimo mese si sono affastellati sul già tormentato scenario del nostro Paese, a parte la lesione del buon gusto, che, anche se ormai gli elettori sono abituati a tutto, ha pur sempre un limite, l'escalation della Santanchè si segnala per due ragioni. Prima ragione: è coerente con una serie di exploit delle scorse settimane dedicati alle donne che, per approdare in Parlamento con il Cavaliere, avrebbero dovuto, o sarebbero già passate, secondo la Santanchè, per la «posizione orizzontale». Richiesta ripetutamente di chiarire, la candidata della Destra ha risposto che non aveva nulla da precisare, le candidate del Pdl essendo consapevoli di quel che lei rivelava, e il loro leader essendosene talvolta perfino vantato in pubblico. A parte qualche generica indignazione, d'altra parte, in quel caso non seguirono reazioni significative. Seconda ragione: Santanchè minaccia di concludere la sua corsa con nuove rivelazioni. E a questo punto bisognerà stare tutt'orecchi. Mancano ormai quarantott'ore: vai a vedere che la campagna più addormentata della storia non si concluda con un gran finale all'americana, e Flavio Briatore, il patron del Billionaire che sa la verità, tutta la verità, non si decida a parlare? MARCELLO SORGI |
mercoledì 9 aprile 2008
Monnezza
La campagna elettorale universalmente giudicata più noiosa degli ultimi anni, si concluderà venerdì senza grandi annunci a sorpresa. Dopo il faccia a faccia Berlusconi-Prodi, che fu il clou di quella del 2006, non ci saranno neppure i mortaretti finali.
Quello di Veltroni doveva essere la presentazione, se non della lista dei ministri, di alcuni nomi di spicco contattati per le responsabilità più importanti (Economia, Esteri, Industria). Ma già da alcuni giorni i membri dello staff del candidato premier del Pd negano che questa fosse la mossa segreta, ad evitare che si possa pensare che i grandi nomi, contattati, abbiano elegantemente allontanato l'amaro calice. Eppure, se anche Veltroni fosse stato in grado di presentare al suo fianco due o tre novità importanti, l'effetto-richiamo sul largo parco degli indecisi sarebbe stato indubbiamente positivo. Nella squadra, invece, come possibili (e prevedibili) nuovi membri di un eventuale governo veltroniano, restano l'imprenditore Calearo, il ministro Bianchi, passato dalla sinistra radicale a quella riformista, l'oncologo Veronesi (che era già stato alla Sanità con Amato) e chissà, se non fosse per le sue imprudenti dichiarazioni sulle prostitute per i soldati e sui gay, il generale Del Vecchio.
Più delicata la scelta di Berlusconi . In una delle sue precedenti apparizioni nel salotto di Vespa ha lasciato intendere che stava rimuginando sulla possibilità di presentare un nuovo contratto con gli italiani. Poi però il Cavaliere non ne ha più parlato, segno che vuol rifletterci fino all'ultimo. Il contratto del 2001 infatti, pur essendo stato sezionato e analizzato da studiosi serissimi (Berlusconi cita sempre l'Università di Siena), e pur essendo considerato realizzato in buona parte, viene sempre attaccato per le parti rimaste inadempiute. Quella che fu indubbiamente una trovata geniale sette anni fa, oggi potrebbe sembrare la replica noiosa di uno che non sa inventarsi niente di meglio.
lunedì 7 aprile 2008
US presidential race & Dynasty (The state of the art)
Readers of a certain age might remember the hit American television show Dynasty. It was originally conceived of as a rival to Dallas, with all those Texan oilmen types, but fast established itself as the most lavish and ludicrous of soap operas. The plot operated around Blake (John Forsythe), his wife Krystle (Linda Evans) and his former bride Alexis (Joan Collins) and others who constituted the rival Carrington and Colby families.
It had Americans under its spell in the mid 1980s, but the combination of ever more insane storylines and endless pay disputes among its performers undermined it. Eventually the plug was pulled in 1989 with a cliffhanger tale in which the stars were imperilled but viewers never found out what happened to them.
Dynasty was set in Denver, Colorado. By appropriate coincidence, the Democratic national convention will occur in the same city in late August. It is already evident that the contest between Barack Obama and Hillary Clinton will match anything created by fiction. Yet as the next few weeks will demonstrate, their competition will soon make Dynasty look like gritty social realism. This is a battle destined to become both extremely close and exceptionally combustible. It is hard to believe that Democrats will benefit from it.
The situation today is as follows. It takes 2,025 delegates to secure a majority and with it victory. About 80 per cent of these Democratic stalwarts will be chosen by voters through primaries and caucuses (“pledged delegates”), the remaining 20 per cent are party leaders of various sorts (“super delegates”). As of now, Mr Obama has won 1,414 pledged delegates to Mrs Clinton’s 1,246, which looks like an imposing lead.
In the states that chose their representatives by primaries (open ballots, much like local or general elections here), though, they are almost even. Mr Obama has a clear lead because of his success in caucuses (formal meetings in which the turnout is far lower than primaries and dominated by the most dedicated activists), which are arguably less legitimate indications of general support. Furthermore, two big states – Florida and Michigan – held primaries (in which Mrs Clinton did best) but have been barred from participating in the convention because they held them earlier than they had been instructed.
If this all sounds murky, it is about to become much, much worse. There are still a number of ballots to be held. The first is in Pennsylvania, which Mrs Clinton must, and probably will, win. Her rival then has a decent chance to hit back in North Carolina on May 6, where a large proportion of the electorate are African-Americans. Most of the remaining states (Indiana, West Virginia, Oregon, Kentucky, Puerto Rico, Montana and South Dakota) are likely to be inclined towards Mrs Clinton.
Such an outcome would result in three intriguing consequences.
The first is that there could almost be a tie over the number of pledged delegates. Mr Obama, thanks to the proportional representation rules his party uses, will probably have the greatest number in straightforward terms, but will be behind among those secured in primaries, rather than caucuses. Mrs Clinton would also be able to assert that, if the votes cast in Florida and Michigan were included, then she would be the stronger. In that case she would have finished more impressively than her opponent.
Secondly, the nomination will have to be settled by the super delegates. There are almost 800 of these and more than 300 have still to state their position. Not that it would matter if they had done so, because super delegates are allowed to change their minds right up until the official count at the convention. That being so, even if either Mr Obama or Mrs Clinton were to calculate that they were in second place when the very last primary had been completed in early June, they would have no good reason to abandon their campaigns.
Why not hang on and see if events were to turn up another version of the Reverend Jeremiah Wright, the pastor who has embarrassed Senator Obama recently, or produce an issue that could be exploited? In a further quirk, the convention is being held later than usual because the Democrats decided that it would “maximise momentum” to defer it.
Which means, thirdly, that it may be a convention like no other in recent decades. These occasions are normally totally controlled by the presumptive nominee and orchestrated to suit him (or her). They decide who will make the big speeches, impose the policies to be adopted, and the delegates confirm a vice-presidential selection that the candidate has announced to the world a while earlier. The convention is thus simply a vast rally.
That cannot occur if it is uncertain who the champion will be. The party itself will have to run the convention in close, if tense, consultation with the two contenders. The policy details will become a proxy for the fight between the Clinton and Obama camps. No vice-presidential name can be put forward until the top of the ticket is determined. It is entirely possible that the nomination will be awarded on the basis of a margin of as few as 50 delegates, or fewer, out of more than 4,000 present. The super delegates might overrule the pledged delegates, as they are entitled to, attracting intense controversy.
A bitterly divided party would then have about two months to bind its wounds before polling day in November. Meanwhile, a few days later, the Republican convention will open in Minneapolis, a model of love, peace and unity compared with the Democratic showdown.
In one of the more crackpot Dynasty plotlines, Blake and Alexis end up running against each other for public office (the post of Governor of Colorado) but their expensive feud serves only to allow another candidate to emerge triumphant. John McCain has reason to hope that Mr Obama and Mrs Clinton are poised to do exactly the same, to his advantage.
Tim Hames
domenica 6 aprile 2008
Occhio non vede.....
Before everyone gets too excited about the blindness of David Paterson, the new governor of New York (not a disability first for US politics by any means), we might remember that the first political personality in all of Roman history was also blind.
Appius Claudius Caecus is most famous for overseeing the Appian Way, the first 'Roman road'.
But he made democratic history in 312 BC by promoting slaves' sons over aristocrats to the Roman senate.
Critics point out that he kept the priesthood posh. But he was a worthy forerunner for today's new Democratic man.
He is the first real character who comes to life in the history of Rome.
David Paterson himself comes nicely to life in this on-the-Clinton-stump encounter with The Times.
Caecus also made the first political speech in Latin of which we have any decent record - a prototype of the 'no surrender' rhetoric which is still with us - though not to be heard anymore from former New York governor, Eliot Spitzer, who has had to surrender his office to Mr Paterson for buying expensive prostitution.
Caecus was blinded because of a 'curse' it was said.
His own best known saying - also still with us and expecially so in New York this week, is that "every man is the architect of his own fortune".
Quisque faber fortunae suae - if anyone wants to write it on a subway wall.
sabato 5 aprile 2008
venerdì 4 aprile 2008
giovedì 3 aprile 2008
FAMILY&POLITICS
Bella la vita della consulente di provincia! Altro che pullman, camper, Audi 8, predellini, colpi d'occhio sul Colosseo, attovagliamenti al Bolognese! A questa latitudine le campagne elettorali si fanno sul campo e quasi quasi non me lo ricordavo più.
Vuoi perchè sono esterofila, vuoi perchè non resisto al fascino dei lunghi soggiorni in albergo (si diventa le pupille del personale con benefits di straordinaria portata), vuoi perchè quando si mettono molti chilometri fra sè e la propria casa chissenefrega di tutti, fatto sta che di campagne elettorali qui, nella mia terra, avevo perso la mano ad organizzarle (crearle? inventarle?). Ma è successo che, dio me lo conservi, sia sceso in campo il mio coinquilino che - roba da non credere - in deroga alla sua prudentissima prudenza mi dice un giorno "Dài, questo giro lavori per me". Tanto per essere chiari si tratta di un soggetto che non è esattamente facile e che della politica pensa ancora che debba essere al servizio dei cittadini e via dicendo. Insomma, storie d'altri tempi. Non tanto facile da capire per una che ne ha viste di cotte e di crude e che se non tenesse aggiornato il suo database sui compensi dai parlamentari agli uscieri comunali probabilmente dovrebbe cambiar mestiere. Intendo dire che a destra o a sinistra la prevalenza della professione politica ha una certa influenza sulle relative scelte. Siccome di mettermi contro Max Weber non se ne parla proprio (anche in onore al mio primo esame di sociologia con il buon Alberoni, allora di primissimo e rivoluzionario pelo) mai che mi sia venuto in mente di dire ai miei candidati guarda che così o guarda che colà. Insomma, lungi da ma ogni velleità moralistica e buon per quelli che dalla politica san trarre qualche meritata lira. E qui apro una parentesi. Il personaggio è Fini ma potrebbe essere chiunque di quella portata. L'altro giorno si è svegliato a Roma, è passato per Bologna, è andato a Trieste, è venuto a Udine (comizi su comizi) e alle 21 era negli studi di Porta a Porta con la camicia fresca a registrare la puntata che sarebbe andata in onda mentre faceva un altro comizio sempre a Roma. Ma che vita è mai questa?
Chiusa la parentesi. Avendo scandagliato elettoralmente 19 regioni su 22 (ultimamente scelgo anche in base al clima oltre che, come sempre, alle stelle dell'albergo) tornare a praticare nella mia città l'ho considerata una proposta piuttosto allettante in un momento in cui, ahimè, la vita mi obbliga a una reperibilità degna della protezione civile. Così, al mio coinquilino ho detto di sì. Ci sto. Mi chiedo talvolta se non si sia candidato per farmi un favore... non lo voglio escludere e nei prossimi anni questo dubbio mi sarà di conforto.
Non è facile da spiegare, ma è come se improvvisamente avesi perso il file dei nostri ultimi decenni. Chi era il tizio con cui ho litigato per oltre vent'anni su quel modo assurdo che ha di guidare (pensa che tutti rispettino il codice della strada), che un'opzione alternativa al 2 come risultato dell'1+1 per lui non esiste mentre per me è la regola? Insomma, eccolo qua il Candidato che sbuca dall'armadio contiguo al MIO e chiede a ME come vestirsi. Qui bisognerebbe aprire il capitolo sull'anarchia dell'uomo di sani principi ma temo una rischiosa deriva freudiana. Per dire che mai, dicasi mai, il Candidato/coinquilino aveva messo in discussione le sue scelte di abbigliamento. Diciamo pure che il concetto di condivisione domestica gli è piuttosto estraneo. Figuriamoci se posso metter becco sulle cravatte o i calzini!
Svegliarsi nel letto accanto a quello di un Candidato, diciamolo subito, non è tranquilizzante e God bless lady Obama. Sia mai che dia di matto e che gli vengano le paturnie... Ho fatto bene? Ho fatto male? Che cosa diranno di me? Ricordo un candidato in Sardegna (nella stagione giusta) che mi telefonava nel cuore della notte per chiedermi se il suo avversario... E' allora che ho capito che guardare il mare significa lasciarsi il mondo alle spalle. Nel mio portfolio/candidati non ci sono leader ma decine di politici di campagna/città come me. Sindaci, consiglieri regionali poi diventati assessori e magari presidenti di regione, presidenti di provincia, parlamentari quando le liste c'erano, questori - per nomina e premio - della camera e del senato. Poco da raccontare ai giornalisti che vogliono sapere se D'Alema è carnivoro (credo di sì) o perchè Berlusconi si è fatto la testa come Diabolik.
I miei candidati (quasi tutti eletti) sono sempre personaggi delle seconde o terze linee (quelle che contano e che consentono ai leader di contare). Quelli che sanno tutto... avete presente la Base? Ecco, io e la Base siamo pappaeciccia. Se non ci fosse non ci sarebbero i leader e tutto l'ambaradam che li circonda. Io sono quella che chiama le segreterie nazionali e peroro (se è il caso) la visita del premier o del capoccione di turno. Sono l'anello di congiunzione tra mondo reale e il reality show della politica. Sono una che non ha niente a che vedere con il signor Penn, quello che ha fatto bollire il sangue a lady Clinton e che si è aggiunto allo stuolo di consulenti cacciati per mancato rendimento, gaffes e tutto quell'armamentario di guai che ti possono cadere addosso se accetti di tallonare una tizia piuttosto biliosa e con ambizioni altrettanto rilevanti.
Oggi di consulenti in Italia c'è n'è uno dietro ogni angolo e spuntano, in veste di candidato, a ogni campagna elettorale. Sono loro, i candidati, che di comunicazione sanno tutto: che i manifesti vanno fatti così, che bisogna fare un comunicato stampa in un certo modo, che è meglio soprassedere a un certo argomento, che leggono i sondaggi, che traccheggiano con i targets e via di questo passo.
Si fanno gli spot, i programmi, stabiliscono come e cosa dire... caspita! E' una vita che aspettavano il momento giusto per provare che sin da bambini giocavano al piccolo consulente politico. Bè, alla fine mi sono fatta un'idea (Herr Weber, bitte, non si rigiri nella tomba). Ed è quella che salvo rari, rarissimi casi, le elezioni sono un passaggio indispensabile per spostare sulla cosa pubblica i propri interessi o il tempo libero, o il narcisismo, o più semplicemente per togliersi la sacrosanta soddisfazione di annusare il potere politico che, sempre a queste latitudini, ben poca cosa è rispetto a quello reale. Ma questa è un'altra storia.
Il fatto è che oggi ho mangiato l'uovo a la coque assieme al Candidato e che prima di dormire gli chiederò se spegne lui o spengo io. Abbiamo anche discusso del futuro che vede Attali e già che c'eravamo anche di Chuck Palahniuk.
Qui, a est del nord, gli elettori voteranno praticamente per tutto il votabile e dio benedica chi ha abolito le circoscrizioni. In circolazione, nella nostra città, ci sono quasi 694 candidati al solo comune. Poi ci sono quelli che si vogliono infilare alla Provincia e quelli che per la Regione sono pronti a fare carte false (e le fanno).
Sarà il mestiere che faccio, sarà che la superficie complessiva è pari a quella del quartiere Montesacro di Roma, ma ne conosco personalmente qualcosa come più del 60 per cento di ogni genere (per inciso, di candidati sindaci donna non c'è traccia) ed estrazione politica e conosco anche famiglie con candidati antagonisti sotto lo stesso tetto (anche il mio. Ma questa è un'ulteriore storia).
Gli echi della politica nazionale arrivano filtrati dalle miserie, nobiltà e virtù che come sempre in questi casi emergono o scompaiono per poi trionfare o sparire per sempre tra meno di una settimana. Sono le elezioni, bellezza. E non quelle degli States sulle quali mi piace concentrarmi. Qui si concorre a piccoli spazi di potere domestico sempre più risicato quando le risorse economiche languono e la normale amministrazione è una fatica.
Il Candidato ed io giochiamo a costruire e smontare alleanze e a vedere com'è facile essere disgiunti quando si tratta di voti.
La racconterò questa campagna elettorale, servitami su un piatto d'argento e che mi consente di essere nel contempo lontana e vicina alle faccende politiche che si intrecciano sotto le mie finestre.
E racconterò anche delle elezioni provinciali e delle regionali e cercherò di spiegare perchè un candidato alla presidenza abbia solennemente dichiarato che smantellerà la Direzione della comunicazione che, ha detto, udite udite colleghe e colleghi di qua e di là dell'oceano!, è un doppione dell'ufficio stampa!
E anche stasera batterò il cinque con il Candidato. Cinque. Tante quante sono le schede che domenica prossima faremo scivolare nell'urna pensando che, comunque vada, ne è valsa la pena.