In realtà il termine qualunquismo deve essere riconsiderato, estendendolo ben al di là delle sue origini storiche: quando venne assunto orgogliosamente, nel l946, da Guglielmo Giannini che ne fece il vessillo di una contestazione reazionaria della Repubblica e delle sue fresche istituzioni. Per quel partito fu una effimera stagione, cancellata da una vivace partecipazione popolare al dibattito politico e al confronto elettorale.
Negli ultimi anni, il vento è cambiato e, senza disconoscere le mende dei nostri concittadini, inclini alla strenua difesa del «particulare», la prima responsabilità va cercata nella classe politica che li ha rappresentati. In quello che potrebbe essere definito il qualunquismo che viene dall’alto. Non mi riferisco all’attenuazione del contrasto ideologico, al modo più disincantato e civile di contrapporre i valori della libertà e dell’uguaglianza. Penso piuttosto ai generici programmi che vengono proposti dalle due parti in un imbarazzante gioco al rialzo, si tratti delle sorti dell’Alitalia, delle necessarie infrastrutture, della lotta alla criminalità.
Penso, ma è soltanto l’ultimo dato di cronaca, all’intimazione rivolta da Veltroni alla ‘ndrangheta di non votare per il Pd, che è deciso ad annientarla. Ovviamente apprezzabile, ma non tale da apprestare concreti rimedi a certe complicità. Mentre suona vagamente surreale la proposta di creare una specie di Bocconi per aspiranti manager in una regione dove si sono avuti sei ammazzati in quattro giorni. È un esempio, che non annulla altri meriti di Veltroni (come la rottura a sinistra). E nessuno dei candidati premier sfugge all’esorbitanza ed evanescenza programmatica. C’è da sperare che non incoraggino troppe astensioni tra i «qualunquisti» di ogni ordine e grado.