martedì 20 maggio 2008
Monnezza a chi?
Non si può dire, onestamente, che lo stato d’animo sia di chi tira un sospiro di sollievo mentre mormora «almeno ’sta rogna gliel’abbiamo mollata».
Però, certo, sotto sotto l’animo è di chi è lì, in attesa, e pensa «adesso vediamo come se la cava lui». Perché magari - ed è la speranza di tutti, napoletani in testa - andrà benissimo, e Berlusconi potrà dirsi il protagonista di un’altra di quelle imprese di cui ogni tanto si vanta: aver ripulito Napoli dall’immondizia. Ma potrebbe anche andare meno bene, cioè com’è andata a chi ci ha messo le mani fino ad ora, da Bassolino a De Gennaro, da Bertolaso a Iervolino. E questo dice di quanto sia coraggiosa e insidiosa la sfida lanciata da Berlusconi: la cui faccia, da domani, sarà inevitabilmente associata ai cumuli di rifiuti.
Pare l’abbiano sconsigliato fino all’ultimo - consiglieri romani e referenti napoletani - di tener fede all’impegno di riunire qui il Consiglio dei ministri che darà il via, tra l’altro, al piano per la guerra alla monnezza. La faccenda si stava facendo - e resta - un po’ rischiosa: campi rom incendiati, falò per le strade, guaglioni della camorra in attività e due cortei già pronti per contestare la riunione del governo (uno con Francesco Caruso). Ma Berlusconi non ha voluto saperne: lo aveva promesso e un impegno è un impegno. A costo di portarsi dietro tutti i ministri. Nel suo ufficio al terzo piano di un bel palazzo di via Santa Lucia, Bassolino conferma: «A me sembra il presidente convinto e impegnato. Ci vuole provare, e noi gli saremo al fianco. Sa perfettamente che è una brutta grana, perché con l’emergenza rifiuti Berlusconi ci ha già avuto a che fare tante volte: ricorderà, immagino, che perfino io - quando lui era al governo - sono stato per tre anni suo commissario...».
E la monnezza, dunque, da domani diventa una grana bipartizan: e già il fatto che sia bipartisan, fa tirare un fiato alle istituzioni locali, triturate dallo scandalo dell’immondizia per le strade. Quando poi all’immondizia sono tornati ad aggiungersi i raid notturni, i campi rom incendiati e i pompieri presi a sassate, si è tornati ai livelli di guardia - quelli di oggi, appunto - della prima emergenza-rifiuti, che a gennaio fece il giro del mondo. Sistemato dietro la scrivania ultramoderna del suo ufficio al 16° piano del Centro direzionale, Velardi - assessore regionale al Turismo e storico consigliere di D’Alema - sostiene che le cose non starebbero così. «Bisogna cominciare a dirsi che sono fatti diversi. La prima crisi, quella sì, fu la crisi dei rifiuti. Questa è un’altra cosa: è la crisi della convivenza, dello spirito pubblico che muore. Intorno alla monnezza si agitano camorristi e ultrà, gente di Forza Nuova e quelli di Caruso, e la città ne è travolta e anzi fa il tifo ora per questo, ora per quello... E nessuno ha i titoli per ripristinare un principio di autorità. Bisognerebbe azzerare tutto e ricominciare».
Ieri mattina uno sciopero a tradimento dei servizi di trasporto pubblici ha paralizzato la città. La notte prima, due ragazzi minorenni hanno sbattuto con la moto e sono morti: naturalmente, erano senza casco. Forse è poco pietoso aggiungere che ogni volta è un po’ peggio, che passa il tempo e la parabola della città non s’arresta. La violenza e l’abitudine alla violenza, anzi, si radicano: e diventano cultura. Ieri Napoli mandava in giro per il mondo film come «Morte di un matematico napoletano» o il «Ricomincio da tre» di Troisi. Oggi a Cannes ci va «Gomorra». E non c’è niente da dire. «A fine mese torna a Napoli il Re di Spagna. E ci siamo appena aggiudicati il Festival internazionale del Teatro, 200 spettacoli, 15 Paesi coinvolti, comincia il 6 giugno - gesticola Bassolino per dire che Napoli non è solo immondizia, come ieri si diceva che Napoli non era Calcutta, ed è un paragone che è prudente non rifare -. In più, è imminente il restauro del San Carlo. Noi ci abbiamo messo 50 milioni di euro, è il più importante intervento dal 1737...».
La parte finale della Riviera di Chiaia, la strada parallela all’incantevole lungomare, è colma di immondizia: il vento che viene dai Campi Flegrei ne spalma la puzza e magari la spinge fin lì, a piazzetta Trieste e Trento, al San Carlo, appunto. Nei quartieri di periferia, dove un teatro nemmeno c’è, è peggio: si sguazza in un pantano di reciproche illegalità e poi ci si meraviglia che si arriva al punto che la gente applaude i guaglioni che danno fuoco ai campi rom. Una miscela esplosiva. Napoli ha conosciuto altri precipizi, il colera negli Anni 70 e il terremoto dell’80, gli omicidi di Prima Linea e le stragi di camorra: ma si rialzava e reagiva, aggrappandosi a qualunque cosa - dal teatro di Eduardo a Maradona - per mandare di sé un’immagine positiva e viva. Oggi, tra rassegnazione e rabbia, non sembrano esserci stazioni intermedie...
Ed è in una polveriera così che Berlusconi ha deciso di giocarsi un po’ della faccia del suo quarto governo. «E noi dovremo collaborare - assicura Velardi -. Anzi, dovremo essere il suo braccio operativo qui. Solo una cosa il Cavaliere deve aver chiara: che quanto più forti sono le aspettative che si suscitano, tanto più forte sarà la rabbia per un fallimento. E’ un’equazione matematica. E’ quella, in fondo, che qui ha già tramortito un’intera classe dirigente».
Però, certo, sotto sotto l’animo è di chi è lì, in attesa, e pensa «adesso vediamo come se la cava lui». Perché magari - ed è la speranza di tutti, napoletani in testa - andrà benissimo, e Berlusconi potrà dirsi il protagonista di un’altra di quelle imprese di cui ogni tanto si vanta: aver ripulito Napoli dall’immondizia. Ma potrebbe anche andare meno bene, cioè com’è andata a chi ci ha messo le mani fino ad ora, da Bassolino a De Gennaro, da Bertolaso a Iervolino. E questo dice di quanto sia coraggiosa e insidiosa la sfida lanciata da Berlusconi: la cui faccia, da domani, sarà inevitabilmente associata ai cumuli di rifiuti.
Pare l’abbiano sconsigliato fino all’ultimo - consiglieri romani e referenti napoletani - di tener fede all’impegno di riunire qui il Consiglio dei ministri che darà il via, tra l’altro, al piano per la guerra alla monnezza. La faccenda si stava facendo - e resta - un po’ rischiosa: campi rom incendiati, falò per le strade, guaglioni della camorra in attività e due cortei già pronti per contestare la riunione del governo (uno con Francesco Caruso). Ma Berlusconi non ha voluto saperne: lo aveva promesso e un impegno è un impegno. A costo di portarsi dietro tutti i ministri. Nel suo ufficio al terzo piano di un bel palazzo di via Santa Lucia, Bassolino conferma: «A me sembra il presidente convinto e impegnato. Ci vuole provare, e noi gli saremo al fianco. Sa perfettamente che è una brutta grana, perché con l’emergenza rifiuti Berlusconi ci ha già avuto a che fare tante volte: ricorderà, immagino, che perfino io - quando lui era al governo - sono stato per tre anni suo commissario...».
E la monnezza, dunque, da domani diventa una grana bipartizan: e già il fatto che sia bipartisan, fa tirare un fiato alle istituzioni locali, triturate dallo scandalo dell’immondizia per le strade. Quando poi all’immondizia sono tornati ad aggiungersi i raid notturni, i campi rom incendiati e i pompieri presi a sassate, si è tornati ai livelli di guardia - quelli di oggi, appunto - della prima emergenza-rifiuti, che a gennaio fece il giro del mondo. Sistemato dietro la scrivania ultramoderna del suo ufficio al 16° piano del Centro direzionale, Velardi - assessore regionale al Turismo e storico consigliere di D’Alema - sostiene che le cose non starebbero così. «Bisogna cominciare a dirsi che sono fatti diversi. La prima crisi, quella sì, fu la crisi dei rifiuti. Questa è un’altra cosa: è la crisi della convivenza, dello spirito pubblico che muore. Intorno alla monnezza si agitano camorristi e ultrà, gente di Forza Nuova e quelli di Caruso, e la città ne è travolta e anzi fa il tifo ora per questo, ora per quello... E nessuno ha i titoli per ripristinare un principio di autorità. Bisognerebbe azzerare tutto e ricominciare».
Ieri mattina uno sciopero a tradimento dei servizi di trasporto pubblici ha paralizzato la città. La notte prima, due ragazzi minorenni hanno sbattuto con la moto e sono morti: naturalmente, erano senza casco. Forse è poco pietoso aggiungere che ogni volta è un po’ peggio, che passa il tempo e la parabola della città non s’arresta. La violenza e l’abitudine alla violenza, anzi, si radicano: e diventano cultura. Ieri Napoli mandava in giro per il mondo film come «Morte di un matematico napoletano» o il «Ricomincio da tre» di Troisi. Oggi a Cannes ci va «Gomorra». E non c’è niente da dire. «A fine mese torna a Napoli il Re di Spagna. E ci siamo appena aggiudicati il Festival internazionale del Teatro, 200 spettacoli, 15 Paesi coinvolti, comincia il 6 giugno - gesticola Bassolino per dire che Napoli non è solo immondizia, come ieri si diceva che Napoli non era Calcutta, ed è un paragone che è prudente non rifare -. In più, è imminente il restauro del San Carlo. Noi ci abbiamo messo 50 milioni di euro, è il più importante intervento dal 1737...».
La parte finale della Riviera di Chiaia, la strada parallela all’incantevole lungomare, è colma di immondizia: il vento che viene dai Campi Flegrei ne spalma la puzza e magari la spinge fin lì, a piazzetta Trieste e Trento, al San Carlo, appunto. Nei quartieri di periferia, dove un teatro nemmeno c’è, è peggio: si sguazza in un pantano di reciproche illegalità e poi ci si meraviglia che si arriva al punto che la gente applaude i guaglioni che danno fuoco ai campi rom. Una miscela esplosiva. Napoli ha conosciuto altri precipizi, il colera negli Anni 70 e il terremoto dell’80, gli omicidi di Prima Linea e le stragi di camorra: ma si rialzava e reagiva, aggrappandosi a qualunque cosa - dal teatro di Eduardo a Maradona - per mandare di sé un’immagine positiva e viva. Oggi, tra rassegnazione e rabbia, non sembrano esserci stazioni intermedie...
Ed è in una polveriera così che Berlusconi ha deciso di giocarsi un po’ della faccia del suo quarto governo. «E noi dovremo collaborare - assicura Velardi -. Anzi, dovremo essere il suo braccio operativo qui. Solo una cosa il Cavaliere deve aver chiara: che quanto più forti sono le aspettative che si suscitano, tanto più forte sarà la rabbia per un fallimento. E’ un’equazione matematica. E’ quella, in fondo, che qui ha già tramortito un’intera classe dirigente».