Non essere sulla Croisette nei giorni giusti è piuttosto seccante. E lo è ancor più se di red carpet calpestabile è rimasto solo lo scendiletto degli alberghetti pretenziosi. Il fatto è che ci hanno invece marciato sopra registi e attori italiani adorables che hanno schiaffato sullo schermo non bamboccione siliconate made in Italy ma il made in italy stesso, quello siculo-campano-romano e giù di lì con nuove componenti cinesi,vietnamite ecc. ecc. Non so se a voi ma ha me è capitato per anni di girare il mondo (non troppo, ahimè!) e di sentirmi sibilare alla spalle, al suono del mio cinguettante linguaggio, paroline tipo mafia, maccheroni, cicciolina, calcio, al capone, pizza e altre amenità aggiornate tempestivamente sull’onda della cronaca. Ammetto che monnezza, in bocca a un marocchino sia piuttosto divertente così come a un paralord d’oltrematica. Ciò che temo è che dopo una stasi negli spunti, i film che giustamente si sono aggiudicati premi su premi rimettano in circolo quell’immagine dell’Italia che inutilmente l’ex ministro blasè Rutelli aveva tentato di ammorbidire con l’indimenticabile e fallitissima operazione italia.it.
God bless Saviano e soprattutto il divo dei divi ma già mi vedo in un mercato di Los Angeles (ah! magari!) mentre il pirla di turno al pret à manger mi apostrofa come figlia di scampìa (son of scampia), moneza, cammora e via di questo passo. E temo che a poco varrà la mia esibizione dei sandaletti da quinta strada e montenapoleone fatti a nord ovest di Pechino. Insomma, un disastro. E che cosa porto ai miei amici americani? Il Brunello che sono ormai convinti sia taroccato? A Tokio, nei ristoranti italiani, è indicato a chiare lettere (tokiesi) che tutti gli ingredienti dei piatti italiani sono rigorosamente giapponesi. Stesse contraddizioni nel resto del mondo. Insomma, Gomorra è una specie di colpo di grazia sulla mia credibilità di italiana. Italian? Sorry, I dont undestand… I live in an other country… Espagna? Near espagna, very far gomorra’s land…