sabato 17 gennaio 2009

Santoro come Hamas bombarda tutti e poi grida al martirio

di Paolo Guzzanti

Quello che è successo da Santoro è perfettamente normale. Siamo forse in un Paese in cui l’informazione e la comunicazione (che sarebbe l’uso emotivo dell’informazione) sono tutelate da norme certe e un costume civile? No. E allora che cosa abbiamo da lamentarci? Michele Santoro ha sempre fatto e sempre farà come gli pare e piace. E zitti. E se protesti, allora - come è stato detto a Lucia Annunziata - vuol dire che qualcuno ti paga. Non con vile denaro, s’intende, ma con prebende, vantaggi e carriera. Se tu sei contro l’Italia di Santoro, quel cesso di Italia in cui si sfornano bugie e fabbricazioni a tutta birra, allora sei un censore.

Lucia Annunziata che con grande coraggio (anche perché sapeva che stava ripetendo il gesto che Berlusconi compì da lei e che avrebbe pagato pegno per questo) si stacca il microfono, si alza e se ne va, ha fatto naturalmente benissimo, e bisogna dire che fra lei e Santoro, quanto a giornalismo, c’è la differenza che passa fra una mela e il baco della mela. Quando io e Lucia ci conoscemmo un quarto di secolo fa scendevamo e salivamo sugli elicotteri nella giungla del Salvador e lei rischiava la vita, raccattava le notizie e le raccontava al Manifesto, e io - allora - a Repubblica. Siamo giornalisti. Abbiamo sì idee diverse e talvolta opposte, ma prima di tutto abbiamo una forma genetica di rispetto per la verità.

Poi la verità la raccontiamo in mille modi, ma la decenza è la decenza e ciò che fa Santoro è indecente ed è un peccato perché l’uomo sa comunicare - è un formidabile propulsore, cioè, di emozioni politiche prefabbricate - ma è abituato a considerare la verità, l’oggettività, il rispetto delle regole elementari che sono osservate in ogni Paese, come merda di cane sotto la suola delle scarpe.
In tutto il mondo si svolgono show in cui Israele è attaccato, criticato, messo sul banco degli accusati. Ovunque. Ma mai, mai, in nessuna trasmissione si è visto l’obbrobrio che abbiamo visto da Santoro. Santoro non è professionalmente onesto: a me ha impedito di replicare al suo amico Travaglio che nella sua trasmissione mi ha attaccato indisturbato rovesciandomi addosso parole miserabili, e Santoro l’ha coperto, mi ha legato le mani e fatto picchiare senza concedermi replica.

Professionalmente dunque una persona censurabile. C’è soltanto da spiegare perché non è censurata.
Il punto cardine, la questione prima nel nostro Paese è la qualità, la attendibilità, la potabilità dell’informazione. E quella qualità è tossica, avvelenata, proibita. E la cosa più grave è che Santoro è talmente impunito e impunibile, che crede alla propria divinità, alla propria intangibilità, alla propria - persino - bontà. È così facile per lui: lo critichi? E lui grida alla censura. La Annunziata - sua amica e collega - protesta in nome della professione: «Bisogna vedere chi cerchi di compiacere».
Esprimi un’opinione diversa da quelle che lui sta certificando e bollando: «E basta! Basta di ripetere sempre le stesse cose». E così via. Quella è la «Santoro-Weltanshaaung», la visione del mondo, della vita, della storia, dell’informazione, della televisione di Michele Santoro. Santoro è un dio, in Italia (non potrebbe esserlo altrove) e qui comanda lui. Il conflitto su Gaza è quello che dice lui e con lui quel gruppo di liofilizzati reidratati che fanno, dicono, si muovono come lui vuole.

Un teatro delle marionette dove non esiste contraddittorio, ma soltanto la presenza simbolica di qualche sparuto e disperato rappresentante della contraddizione che viene sommerso dal coro greco delle urla, della dannazione, della riprovazione. Chi cavolo sono quei figuranti pagati dal contribuente che fanno la claque a Santoro? Fingono di essere il coro che rappresenta l’Italia. E purtroppo è vero. E quel che resta dell’Italia santorizzata. Il resto dell’Italia è diventato carne da Grande fratello, dall’estrema destra fino a Luxuria. Abbiamo oggi due grandi poli televisivi formati dall’imbecillismo amorfo di un’Italia che beve tutto purché sia trash, demenziale e possibilmente offensivo dell’intelligenza e della cultura e di un’altra Italia santoriana in cui bisogna posizionarsi contro l’America, contro Israele, possibilmente con tutti i satrapi del mondo, decidendo anche quale e che cosa sia l’agenda della questione morale.

Lucia Annunziata se ne è andata, seguita dalla voce arrochita di un Santoro che non le ha voluto dedicare altro che sguardi e ringhiosità piene di disprezzo: il disprezzo di chi si sente tradito non nella professione, ma nello schieramento. E ha ragione Santoro. È lui il vincitore. È l’Italia di Santoro quella che tiene banco, quali che siano gli orientamenti politici e le richieste della gente. La televisione è sua. Se ne fotte del governo, del Parlamento, del presidente della Camera e se occorresse anche di quello della Repubblica. In questo lui e quelli della sua scuola sono come Hamas: sanno che il martirio paga, la persecuzione censoria se ben evocata, passa in un pubblico di poveri italiani ormai analfabeti, drogati di immagini manipolate, rincoglioniti da mantra ripetuti che non hanno alcuna relazione con la verità giornalistica.

Non è questione di destra e di sinistra, neanche di israeliani e palestinesi. È questione di stile, è questione di rispetto per i cittadini, per il mestiere e la deontologia del giornalismo, per la verità presa a calci in culo dalla mattina alla sera, quando non è appiattita a sogliola sul governo del momento, quale che esso sia.

Dunque, complimenti al dottor Santoro - come lo chiamava Berlusconi - complimenti vivissimi. Ce l’hai fatta un’altra volta, vecchio pirata.