giovedì 31 gennaio 2008
La carta di D'Alema: subito il referendum
Così si andrebbe al voto non prima nel 2009. E si metterebbe in difficoltà la Cdl
La strategia del vicepremier: alle urne ad aprile per modificare con il sì la legge elettorale
E' la carta segreta che spiazzerà il centrodestra. L'idea l'ha avuta Massimo D'Alema. Una mossa degna di un politico abile qual è lui per sparigliare la partita che si sta giocando con Berlusconi. Non riesce il tentativo Marini? O comunque riesce per il rotto della cuffia? Bene, il ministro degli Esteri ha in serbo un'iniziativa che difficilmente il Cavaliere potrà contrastare. D'Alema l'ha suggerita a Giorgio Napolitano, che in queste ore la sta vagliando: indire il referendum elettorale in aprile. Dopodiché si vada pure alle elezioni. Ovviamente, come minimo in giugno, se non oltre.
La Corte costituzionale ha annunciato che il sistema elettorale vigente ha delle «carenze». Il che, tradotto in parole povere, significa che secondo la Consulta la legge aveva bisogno di aggiustamenti anche a prescindere dal referendum. Una spinta in più per fare una riforma: e per centrare l'obiettivo di un sistema elettorale compiuto si potrebbe arrivare fino al 2009.
Una mossa, quella di D'Alema, che creerà qualche problema nel centrosinistra (anche se Rifondazione ha già lasciato intendere che è pronta anche ad affrontare questo appuntamento). Ma che, sicuramente, provocherà uno sconquasso dall'altra parte della barricata. Nella Casa delle Libertà, infatti, c'è Fini, che quel referendum l'ha firmato. C'è Berlusconi, che finora è riuscito a non esprimersi in proposito. C'è la Lega che è contraria. Ma, soprattutto, c'è quell'Udc che avrebbe dovuto essere l'interlocutore del centrosinistra sulle riforme — e sul prolungamento della legislatura — che vede nel referendum la certificazione della fine della propria autonomia (e, forse, anche, della propria sopravvivenza).
Non è un caso che appena il tam tam sulla mossa escogitata da D'Alema giunge alle orecchie di Berlusconi, il Cavaliere resti interdetto: «Certamente questa è una mossa insidiosa», dice Berlusconi a Fini e Letta. Non è la prima volta e non sarà l'ultima che D'Alema prende in mano le redini del gioco per scongiurare una fine prematura per il centrosinistra. E Veltroni, che pure teme che questa operazione serva ad andare avanti e a indebolirlo, non può certo contrastarla. Qualche mese in più serve soprattutto a lui. E comunque un referendario della prima ora come il sindaco deve comportarsi di conseguenza. Perché è vero che il leader del Pd non ha firmato il referendum, come invece hanno fatto Parisi e Bindi, ma è anche vero che non può essere colui che lo ostacola. La sua storia politica non lo permette.
Il che non significa che Veltroni non abbia dei dubbi. Primo, «anche se passerà la legge del referendum io mi rifiuto di fare un'ammucchiata in cui tutti stanno con tutti, con le conseguenze che si sono viste con questa coalizione e questo governo». Per Veltroni questo è un punto fermo. Di più. Il sindaco aveva sfidato Berlusconi, anche nel loro secondo incontro riservato, ad andare da solo alle elezioni, anche nel caso in cui si fosse fatto il referendum. Ma c'è un altro dubbio che assilla Veltroni, il quale è scettico sulla riuscita della consultazione. E' già accaduto per gli altri due referendum elettorali: il quorum non è stato raggiunto. Chi ha detto che questa volta accada il contrario?
Eppure, tra scetticismi, dubbi e tentativi di Marini, quella di D'Alema si rivela come l'unica mossa capace di mettere in difficoltà il Cavaliere e di dare del filo da torcere al centrodestra. «Perché — è il ragionamento del ministro degli Esteri — dovremmo togliere agli italiani questa occasione per esprimersi? ». Dunque, forte di 800 mila firme in calce ai quesiti referendari, il Quirinale potrebbe indire la data del referendum. E non è un caso che i vertici del Prc, avvertiti anzitempo di questa eventualità, non alzino le barricate, ma facciano sapere: «In fondo con il referendum non andrebbe tanto male neanche a noi». E soprattutto non andrebbe male al centrosinistra che prenderebbe fiato e tempo per rinserrare le fila e tentare una campagna elettorale che altrimenti sarebbe persa in partenza.
Maria Teresa Meli/Corriere della Sera
31 gennaio 2008
La strategia del vicepremier: alle urne ad aprile per modificare con il sì la legge elettorale
E' la carta segreta che spiazzerà il centrodestra. L'idea l'ha avuta Massimo D'Alema. Una mossa degna di un politico abile qual è lui per sparigliare la partita che si sta giocando con Berlusconi. Non riesce il tentativo Marini? O comunque riesce per il rotto della cuffia? Bene, il ministro degli Esteri ha in serbo un'iniziativa che difficilmente il Cavaliere potrà contrastare. D'Alema l'ha suggerita a Giorgio Napolitano, che in queste ore la sta vagliando: indire il referendum elettorale in aprile. Dopodiché si vada pure alle elezioni. Ovviamente, come minimo in giugno, se non oltre.
La Corte costituzionale ha annunciato che il sistema elettorale vigente ha delle «carenze». Il che, tradotto in parole povere, significa che secondo la Consulta la legge aveva bisogno di aggiustamenti anche a prescindere dal referendum. Una spinta in più per fare una riforma: e per centrare l'obiettivo di un sistema elettorale compiuto si potrebbe arrivare fino al 2009.
Una mossa, quella di D'Alema, che creerà qualche problema nel centrosinistra (anche se Rifondazione ha già lasciato intendere che è pronta anche ad affrontare questo appuntamento). Ma che, sicuramente, provocherà uno sconquasso dall'altra parte della barricata. Nella Casa delle Libertà, infatti, c'è Fini, che quel referendum l'ha firmato. C'è Berlusconi, che finora è riuscito a non esprimersi in proposito. C'è la Lega che è contraria. Ma, soprattutto, c'è quell'Udc che avrebbe dovuto essere l'interlocutore del centrosinistra sulle riforme — e sul prolungamento della legislatura — che vede nel referendum la certificazione della fine della propria autonomia (e, forse, anche, della propria sopravvivenza).
Non è un caso che appena il tam tam sulla mossa escogitata da D'Alema giunge alle orecchie di Berlusconi, il Cavaliere resti interdetto: «Certamente questa è una mossa insidiosa», dice Berlusconi a Fini e Letta. Non è la prima volta e non sarà l'ultima che D'Alema prende in mano le redini del gioco per scongiurare una fine prematura per il centrosinistra. E Veltroni, che pure teme che questa operazione serva ad andare avanti e a indebolirlo, non può certo contrastarla. Qualche mese in più serve soprattutto a lui. E comunque un referendario della prima ora come il sindaco deve comportarsi di conseguenza. Perché è vero che il leader del Pd non ha firmato il referendum, come invece hanno fatto Parisi e Bindi, ma è anche vero che non può essere colui che lo ostacola. La sua storia politica non lo permette.
Il che non significa che Veltroni non abbia dei dubbi. Primo, «anche se passerà la legge del referendum io mi rifiuto di fare un'ammucchiata in cui tutti stanno con tutti, con le conseguenze che si sono viste con questa coalizione e questo governo». Per Veltroni questo è un punto fermo. Di più. Il sindaco aveva sfidato Berlusconi, anche nel loro secondo incontro riservato, ad andare da solo alle elezioni, anche nel caso in cui si fosse fatto il referendum. Ma c'è un altro dubbio che assilla Veltroni, il quale è scettico sulla riuscita della consultazione. E' già accaduto per gli altri due referendum elettorali: il quorum non è stato raggiunto. Chi ha detto che questa volta accada il contrario?
Eppure, tra scetticismi, dubbi e tentativi di Marini, quella di D'Alema si rivela come l'unica mossa capace di mettere in difficoltà il Cavaliere e di dare del filo da torcere al centrodestra. «Perché — è il ragionamento del ministro degli Esteri — dovremmo togliere agli italiani questa occasione per esprimersi? ». Dunque, forte di 800 mila firme in calce ai quesiti referendari, il Quirinale potrebbe indire la data del referendum. E non è un caso che i vertici del Prc, avvertiti anzitempo di questa eventualità, non alzino le barricate, ma facciano sapere: «In fondo con il referendum non andrebbe tanto male neanche a noi». E soprattutto non andrebbe male al centrosinistra che prenderebbe fiato e tempo per rinserrare le fila e tentare una campagna elettorale che altrimenti sarebbe persa in partenza.
Maria Teresa Meli/Corriere della Sera
31 gennaio 2008