sabato 25 agosto 2007

CHIOSARE DE RITA (God bless the blog!)

Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera e la Pustetto per il suo blog

Giuseppe De Rita, padre della sociologia italiana e di otto figli, lavora anche in vacanza. Ad esempio considera che Courmayeur non sia cambiata molto, da quando costruì questa casa con vista sul Bianco nel 1961.
«Ora però è sbarcato Berlusconi. A novembre si elegge il sindaco, e lui vuole vincere. Ma gli manca la comunità calabrese, qui fortissima. Ora ha portato ad Arcore 31 di loro, che rivendicheranno l'appartenenza al Cavaliere per la vita. Berlusconi continua a essere il politico che più assomiglia agli italiani, così come sono diventati (genius loci?)».

Come sono diventati?
«Incomprensibili (più che incomprensibili direi ondeggianti e quindi non catalogabili) La società è sempre più sparpagliata. Spezzettata. È una mutazione che non so spiegare. Dieci anni fa avrei parlato di neoborghesia, venti o trent'anni fa di sommerso o di postmodernità. Quella di oggi è una società a coriandoli. Non la si può studiare se non antropologicamente. Bisognerebbe valutare l'impatto dei mezzi di comunicazione, nuovi e vecchi, che hanno imposto nuovi modelli, stili e modalità di consumo, anche politico. Detto da me, da un sociologo (teoricamente collega), è come se mi tagliassi i coglioni».

Non è detto. Tenti un'analisi antropologica. Parliamo di persone. Prodi sta ricominciando a sentire il paese? O no?
«L'ultimo Prodi per me è un mistero. E' solo vittima della sua avidità. Ha voluto assolutamente fare il premier (non c'erano alternative , d'altra parte) senza valutare che gliela avrebbero fatta pagare. Diciamo che in questo momento ha perso il controllo del suo ego. Nei tanti anni in cui abbiamo fatto vita parallela, girando l'Italia per ricerche, convegni, associazioni industriali, Romano appariva il più capace ad afferrare le situazioni. Arrivava a Courmayeur, e in due giorni capiva cosa stava accadendo e sapeva spiegarlo. Ora quel suo talento da rabdomante l'ha perso. Forse la sua esperienza — l'Iri, Palazzo Chigi, Bruxelles, ancora Palazzo Chigi — l'ha allontanato dalla realtà italiana Ricordo il periodo in cui era fissato con il Giappone. Diceva in tutti i convegni che da lì stava arrivando la rivoluzione tecnologica e culturale... C'è ancora in lui una sorta di monomaniacalità che si sostanzia nel non volere ammettere mai i propri errori. Forse è entrato nella logica per cui conta soltanto durare. Galleggiare. Fare una dichiarazione oggi, precisarla domani, riformularla dopodomani; tanto alla fine nessuno gliene chiederà conto. Ritiene che se non è stato capito è colpa degli altri che sono fondalmentamente ottusi.Nella sua furbizia contadina, che è la sua dimensione intima, cavalca l'onda; pronto a scenderne per salire su quella successiva. Potrebbe ancora dire, come faceva trent'anni fa con Andreotti, "noi tecnici". Perché cavalcare le onde significa non guidare i processi politici. Sono in molti a farlo, da tutte le parti. E accade quando il concetto di potere diventa troppo pervasivo.

Veltroni può essere un'alternativa?
«Veltroni è un animale molto diverso da Prodi. È attentissimo all'immagine (non che Prodi non lo sia). Il futuro di Veltroni dipende da quanto si farà logorare nei prossimi due mesi, in cui tutti cercheranno di indebolirlo attraverso il consumo mediatico. Ma lui si nutre dei media, è impossibile che lo logorino, sono l'alimento con cui quieta il piacere di essere. Se vince questo passaggio, può anche superare quel filo d'ansia che lo condiziona come sindaco di Roma, questo bisogno di essere rassicurato, di ripetere che Roma è grande, bella, ricca. Allora potrebbe fare molto meglio di quanto si pensa. Deve però imparare a fidarsi, in questo momento è strutturalmente troppo accentratore, e quindi solo.».

Anche andare a Palazzo Chigi?
«Se la situazione precipita e Prodi cade, il centrosinistra — e non solo — farà di tutto per non votare subito; altrimenti vince Berlusconi. Potrebbe nascere un governo istituzionale. Altrimenti toccherà a Veltroni. Ma se Walter a Natale fosse a Palazzo Chigi, farebbe in modo di votare nel 2008. Così sarebbe ancora Prodi, non lui, a perdere, e si guadagnerebbe altri cinque anni di leadership. Se invece Veltroni governa un anno e mezzo e si vota nel 2009, allora rischia di più; perché a perdere sarebbe lui, non Prodi». Esattamente così. Però c'è la variabile centro destra che potrebbe mettere in campo un premier nuovo di zecca. A quel punto la strada di Veltroni si dissesterebbe e presenterebbe temibili insidie messe a punto dagli esclusi dal suo cenacolo.

È così scontato il ritorno di Berlusconi?

«Berlusconi è l'erede della Dc andreottiana e dorotea. Anche di loro dicevamo: non sono nessuno, finiranno tutti in galera, ma questo Rumor chi è? Ne attendevamo il crollo da un momento all'altro. Invece, non fosse stato per Tangentopoli, ci avrebbero seppelliti tutti». Vedo più craxismo che diccismo con notevoli capacità di rigenerazione sotto nuove inaspettate spoglie.

Casini non ha chance di ricostruire il centro?
«Pur appartenendo per natura a quell'area, non credo sia possibile ristrutturarla. Casini può essere bravo finché si vuole, ma se non ci sono le condizioni la bravura non basta. C'è troppa gente: l'Udc, l'Udeur, Di Pietro, Pezzotta con il Family Day; e poi le varie Dc, una proprietaria del simbolo, l'altra del motto, l'altra del nome... Se io, prestigioso signorotto della sociologia, chiamassi tutti attorno a un tavolo, verrebbero il giorno dopo. Ma non andremmo da nessuna parte. Perché l'asse moderato è Berlusconi». Tout simplement, Casini non ha carisma. Carino, puntuale, ma noioso. Tremendamente noioso e anche vagamente flemmatico. No verve, no politique.

Chi dopo di lui? Tremonti?
«Sono un grande ammiratore di Tremonti, che per me è l'equivalente di Amato. Considero Giuliano il migliore della nostra generazione: il più bravo, il più intelligente, il più colto, il più sensibile. Però gli è sempre mancato qualcosa. Non la capacità mediatica, visto che dai giornali è molto stimato. Forse la simpatia, la popolarità. Non a caso gli fu preferito Rutelli. Temo che per Tremonti sia la stessa cosa: bravo, intelligente, colto. Ma non simpatico». Si si si, sono assolutamente d'accordo! Al posto di Prodi avrebbe dovuto esserci Amato...indimenticabile il suo palleggiare con la racchetta da tennis in Tv! Tremonti è troppo anglosassone, internazionale, per andare bene in un paese come il nostro dove il gene latino è un segno di riconoscimento anche per i leghisti.

Di Rutelli che sarà?
«Dipende da come finisce la lotteria delle primarie, che in realtà saranno un congresso democristiano, un gioco delle tessere. Rutelli avrà spazio solo se l'asse tra le truppe di Bettini e quelle di Fioroni non prenderà tutto». Anche lui è flemmatico. Potrebbe giocare a carte con Casini in una situzione molto confortevole (bene in barca, meglio se a motore). Sorseggiare vino bianco al tramonto. Troppo vittima degli agi. O lui o Veltroni. Non c'è storia.

E D'Alema?
«D'Alema è in mano a voi. Si trova a un punto cruciale della carriera e della vita. È uno che ha preso una botta in testa, che ha fatto o farà mezzo passo indietro, e non vuole altro che scorra il tempo, senza essere coinvolto in fatti politici. Ma se qualche giornale, o qualche giudice, dovesse riproporre la questione Unipol, D'Alema sarebbe in grave difficoltà. È apparso debole, fragile. In tv l'ho visto difendersi con una faccia livida che non è la sua. Ha bisogno che gli lascino, che gli lasciate tempo per riprendere la sua forza psichica, la sua faccia di padroneggiamento ». Ha perso la sua forza psichica? Passi indietro?

La situazione è così grave?
«Forse no. A meno che emergano notizie clamorose: tipo la reale destinazione dei 50 milioni di euro espatriati da Consorte e Sposetti. Ma quelli fanno i Greganti e stanno zitti. Il vero errore di D'Alema e Fassino è stato non richiamarli all'ordine, come avevano fatto Napolitano e Chiaromonte, mandati a Bologna dal partito a fermare Galletti, il presidente della Lega cooperative, che voleva trasformare in una holding industriale comprando aziende siderurgiche. Era un uomo molto intelligente, andava in bici con Prodi. Si dimise. Poco dopo morì d'infarto ». Non son tempi in cui si possano vedere le reali destinazioni. La nebbia è stabile. Meglio così.

E Fassino?
«Farà meno fatica di D'Alema, anche perché è meno coinvolto. Ripartirà dal basso, da Torino. Piero è un fondista. Se non ci fosse stato lui non ci sarebbe il partito democratico; e questo non glielo perdonerò mai». Però è sull'orlo, o lo è stato, di una crisi di nervi. Più volte voleva mollare tutto....

Alle primarie ci saranno altri candidati: Bindi e Letta.
«Due mondi democristiani, due personalità così diverse che sembrano studiate apposta per una disputa elettorale di profilo basso, appunto congressuale. Lui, tecnocrate, silenzioso, andreattiano, molto Arel. Lei, esternalizzata, aggressiva. Ognuno rappresenta un frammento di identità, una piccola (piccolissina, e in questo momento irrilevante) appartenenza. Mi dà solo dieci righe da sociologo? ». Dài!

Prego.
«Le primarie non smentiscono ma confermano la fine dei tre grandi meccanismi di condensazione. Assistiamo alla fine della rappresentanza: non è in crisi solo il Parlamento ma anche sindacati e associazioni di categorie, dalla Confartigianato alla Coldiretti. Alla fine delle identità, ridotte a brandelli: cosa resta dell'identità socialista? E di quella popolare? Un comunista oggi dovrebbe ritrovarsi in Bertinotti, o in Diliberto, o in Mussi, o in Angius, o ancora in D'Alema? I missini dovrebbero appoggiarsi a Storace? Poi c'è la fine delle appartenenze, con alcune eccezioni. Resistono l'appartenenza massonica (in vesti molto complesse. Oggi basta che un gruppetto di potenti si accordi e si parla di massoneria. No, non è esattamente così. Sono gruppetti di potere che si aggregano e che si sciolgono su obiettivi precisi. Per questo sono invisibili e incontrollabili. E da non sottovalutare), intesa non come il Grande Oriente, ma come cordate e carriere. Quella localistica (esattamente così!). Quella corporativa (perfetto!!!). E quella cattolico-ecclesiale, la sola non particolarista ma globale ». CL e la Compagnia delle Opere sarebbero l'esempio perfetto.

Non le sembra però che alla Chiesa italiana manchi Ruini? Che cosa pensa del suo successore, Bagnasco?
«Un grande personaggio come Ruini era destinato a lasciare un vuoto. Bagnasco personaggio non era, e l'hanno scelto proprio perché non volevano un altro uomo forte; altrimenti capo dei vescovi sarebbe diventato Scola. Si è adottata una logica policentrica, che è la più pericolosa. Sul caso di don Gelmini e dei preti torinesi accusati di pedofilia, Ruini non sarebbe rimasto in silenzio. Ma è una logica inevitabile, con un Papa che scrive libri e dà l'idea di aver deciso di non comandare. Anche se Bertone avrebbe la tentazione di farlo... (ce l'ha, ce l'ha....)».

Ratzinger non vuole comandare?
«Ratzinger si muove nella dimensione di ritmi lunghi. Nei primi due anni di pontificato ha scritto cose bellissime, come la prima parte della prima enciclica, di straordinaria intelligenza e spiritualmente emozionante. Però, pur essendo uomo di Curia, la Curia non gli interessa. Non ha una concezione piramidale del potere, a differenza di Wojtyla il cui pontificato fu una cavalcata personale nel mondo. Ratzinger non imponeva le sue idee neppure da prefetto della fede. Da Papa, ha scritto un libro su Gesù e l'ha affidato alla critica; infatti alcuni l'hanno trovato bello e altri brutto. La Chiesa non crede più alla verticalizzazione del potere. Gli ultimi a crederci sono rimasti i politici. Che alla fine non combinano niente». Come non condividere? Il rischio è che proprio a causa di questa sua superiorità morale Ratzinger lasci troppo spazio ai suoi uomini di apparato. E ritorniamo inesorabilmente alla politica.