venerdì 9 aprile 2010
SUDAN: AL VOTO DOPO LA GUERRA CIVILE
A tre giorni dalle elezioni previste in Sudan da domenica 11 a martedì 13 aprile la situazione politica è tutt’altro che tranquilla e c’è chi ventila, a Washington, un possibile e auspicabile rinvio.
Queste dovrebbero essere le prime elezioni multipartito che si tengono dal 1986 e, in un’unica tornata, comprenderanno le presidenziali, parlamentari e amministrative. La loro rilevanza è data dal fatto che questo voto sarà fondamentale per capire il modo in cui le forze politiche del paese si avviano al referendum per l’indipendenza del sul del paese previsto per il gennaio del 2011.
Il Sudan è stato teatro nel 2003 di pesanti violenze nella poverissima regione del Darfur quando un gruppo di ribelli non arabi hanno preso le armi contro il governo di Khartoum accusandolo di aver abbandonato la regione. Le Nazioni Unite hanno stimato che almeno 300 mila persone sono state uccise dalle milizie arabe mentre il governo di Khartoum ha sempre sostenuto che i morti non sono stati più di 10 mila.
Attualmente il Sudan è guidato dal National Congress Party guidato dal Presidente Omar Hassan al-Bashir che nel 2009 è stato indicato dalla Corte criminale Internazionale come responsabile dei crimini di guerra in Darfur.
Il partito d’opposizione Umma, di ispirazione islamica, ha dichiarato che intende boicottare il voto mettendo così seriamente a rischio la credibilità delle elezioni. Anche il Sudan People’s Liberation Movement ha annunciato la stessa intenzione ampliando così il fronte dei contestatori.
L’Umma Party ha dichiarato la propria opposizione al voto dopo che gli osservatori internazionali avevano segnalato la mancanza di sicurezza in molte città del paese e dopo l’ultimatum che aveva posto al governo di Khartoum, il 2 aprile scorso, chiedendo la garanzia dell’inizio di un processo di riforme e il rinvio delle elezioni al mese di maggio.
Nel 1986 l’Umma Party aveva vinto le elezioni salvo essere immediatamente rimosso dall’attuale presidente Omar sl-Bashir che dà per scontata una sua vittoria in questa tornata elettorale. Non la pensano così a Juba, la capitale del sud del paese, dove gli abitanti ritengono ben più importante il prossimo referendum per l’indipendenza dagli arabi. E’ per questo che circolano nel Sud del paese persone che indossano t shirt con scritte ironiche tipo “Vote for Pedro” o “Vote SPLM” a dimostrazione della loro scarsa considerazione per le elezioni di dopodomani. Il problema è che senza queste elezioni non ci potrà essere il referendum e rischiando di azzerare così la lunga battaglia della regione per la sua indipendenza. La tensione tra il governo di Khartoum e il territorio di Juba è alle stelle anche perché non sono stati ancora definiti alcuni elementi fondamentali per la futura geopolitica dell’area, come ad esempio il confine tra Nord e Sud nonché a chi andranno le entrate derivanti dall’estrazione del petrolio. L’applicazione delle linee del trattato di pace del 2005 (Comprehensive Peace Agreement-CPA) che ha posto fine alla lunghissima guerra civile non potrà avvenire prima del referendum creando una sorta di cortocircuito tra questo e le imminenti elezioni. Elezioni.
Il Gruppo Internazionale di Crisi ha diffuso un documento in cui sostiene che “non ci sono le condizioni affinchè queste elezioni siano libere e corrette” e che il NCP (National Congress Party), tra l’altro, ha manipolato i risultati del censimento, ha redatto leggi che lo favoriscono e cooptato con sistemi tribali i leader tradizionali. In queste condizioni è ovvio che i partiti d’opposizione del sud e del nord intendano boicottare il voto.
Gli osservatori europei hanno dal canto loro riportato che “In alcune zone del Darfur la violenza è terribile e gli aiuti umanitari non possono arrivare così come non possiamo arrivare noi stessi”.
Tra gli osservatori internazionali presenti nel Paese per monitorare l’andamento delle elezioni c’è anche l’ex presidente americano Jimmy Carter il cui osservatorio internazionale, il Carter Center; ha inviato nel paese africano 65 osservatori mentre quelli inviati dall’Unione Europea sono 130.
Il segretario generale delle UN Ban-Ki-moon ha dal canto suo auspicato che il mandato che prevede la presenza di truppe Onu nel paese fino alla fine del mese di aprile possa essere rinnovato per un antro anno per favorire lo svolgimento del referendum del prossimo gennaio.
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