La stampa internazionale, facciamocene una ragione, non è mai particolarmente prodiga di attenzioni nei confronti della politica del nostro paese. Se ne parla – inutile edulcorare la pillola – significa che Berlusconi si è reso protagonista – vittima o promotore – di una di quelle sue bizzarre trasgressioni al galateo istituzionale universalmente giudicato consono ad un primo ministro.
Di queste elezioni regionali, invece, si è parlato molto, sulla international press sin dalla vigilia. E l’opinione prevalente era che il “test” elettorale avrebbe riservato al leader del governo italiano una sonora débacle.
Si pensi, ad esempio, a cosa scriveva l’Independent, quotidiano amato dalla sinistra-sinistra britannica (il quale, oltretutto, è appena stato salvato dal fallimento grazie all’acquisto da parte del magnate-editore russo naturalizzato in Uk, Alexander Lebedev, già proprietario del London Evening Standard nonché della Novaya Gazeta, il periodico democratico-libertario moscovita sul quale scriveva la compianta Anna Politkovskaya). Ebbene, la testata enfatizza “gli insulti verbali lanciati dal Primo Ministro Silvio Berlusconi alla volta di una donna politica di opposizione” (leggi: Mercedes Bresso), durante il noto comizio piemontese. Secondo l’autore dell’articolo, un simile eccesso del premier sarebbe stato da imputarsi “al calo di consensi ed alla prospettiva di una sconfitta umiliante”. Profetico, no?
Sempre sulle corde dell’indignazione, anche il pezzo della vigilia a noi riservato dall’Economist. Nel cavalcare l’evergreeen del Berlusconi-museruola dei media – un classico del settimanale economico londinese declinato, ormai da un quindicennio, in tutte le ricorrenze comandate, tipo, appunto, le vigilie elettorali – l’Economist aggiorna i lettori appassionati delle malefatte del tirannide tycoon con le new entry nell’universo delle mostruosità, nella fattispecie Augusto Minzolini e gli AgCom’s friends. L’impalcatura della trama costruita dal settimanale regge al tempo, come un format di qualità. Ma non regge alla realtà, poiché, constatato il risultato, l’autorevole testata dovrà poi correggere il tiro e titolare
“A surprisingly good result for Italy’s prime minister”. Ma qui siamo già al dopo.
Ancora della vigilia è invece l’ironico contributo del Journal du Dimanche, quotidiano vicino alla destra sarkoziste, che ripercorre la “epica campagna” del Cavaliere, descrivendola una “commedia dell’arte” combattuta a suon di manifestazione con 150.000 partisans ed il supporto di bizzarre iniziative editoriali, tipo il tomo “sobriamente intitolato” L’amour l’emporte toujours sur l’envie et sur la haine. Puntuale, il giornale spiega che l’opera, “dedicata all’Italia che sa amare”, raccoglie una parte delle 50.000 testimonianze ricevute dopo l’aggressione, nelle quali i fan esortano il premier a “clonarsi”. “Proprio come un topo”, chiosa l’autore dell’articolo.
Sempre rispetto alla preveggenza della stampa straniera sui fatti nostrani, si segnala infine un fenomeno curioso. Appena qualche giorno prima dell’apertura delle urne, il Times dedicava un pezzo a “Little Renato” ed alla sua corsa alla conquista della città lagunare. A rapire la testata della New Right d’Oltremanica, le “big ideas to revive dying Venice” avanzate dal Ministro Brunetta. Come dire, se solo i veneziani avessero letto il Times, il ministro-candidato avrebbe magari pure potuto farcela!
Con queste premesse, è comprensibile lo straniamento della international press a cospetto di un risultato che, beh, non è affatto – come ci si attendeva – assimilabile alla débacle subita in Francia da Sarkozy. E così, se il conservatore Times sottolinea la svolta a destra della coalizione di Berlusconi – e se simpatia c’è, non la si lascia trapelare – il progressista Guardian relativizza l’esito: la partecipazione è stata la più bassa nella storia, quindi la vittoria, praticamente, non è una vittoria.
È poi da rimarcare, secondo il quotidiano della sinistra liberal, l’avanzata della Northern League, di cui è d’uopo nutrire inquietudine. Sentimento, questo, ben espresso dall’immagine scelta a corredo dell’articolo – Bossi senior e Bossi Trota con spadone minaccioso – che, certo, agli occhi del britannico lettore proprio rassicurante non deve esser apparsa.
Il Financial Times – in maniera impeccabile – constata i fatti senza perdersi in interpretazioni: “Berlusconi makes gains in regional elections” – osserva – e tuttavia non ignora come il Partito democratico di Pierluigi Bersani, “quarto leader in appena due anni”, pur avendo patito una “sconfitta totale”, abbia ritenuto di rivendicare l’avanzata rispetto alle ultime europee.
Le Figaro, all’indomani delle urne, dedica un pezzo alla vittoria di Stefano Caldoro. Chissà perché proprio lui e non – chessò! – la Polverini. Beh, il sospetto c’è. Ed il sospetto è che visto che il week-end elettorale era metereologicamente perfetto per una gitarella sulla costa partenopea, il collega francese ne abbia legittimamente approfittato. Il suo pezzo, a onor del vero, lo fa per benino. Si intitola La Campanie gagnée par un poulain du “Cavaliere” e racconta il neogovernatore proto-craxiano – qui appunto definito “pupillo” del Cavaliere – con pregevole verosimiglianza. In pratica, un fedele résumé dei ritratti pre-elettorali dedicati dalla stampa italiana a pochi giorni dall’apertura delle urne, all’ancora semisconosciuto candidato.
Il palmarès della creatività, tuttavia, va a Le Monde ed al contributo audiovisivo prodotto dal corrispondente in Italia assemblando qualche foto d’archivio – Bossi e Berlusconi, Bossi da solo, Zaia, la prima della Padania… – con accompagnamento di commento sonoro nel quale si racconta della “Ligue du Nord, parti populiste et xénophobe”, nonché “allié au Peuple de la liberté de Berlusconi”, che “dirigera pour la première fois deux régions, la Vénétie et le Piémont.” Et voilà!
E, per illuminare i lettori sulle caratteristiche inquietanti del partito di Umberto Bossi, l’audio-commentatore cita il federalismo fiscale che – ammonisce – “è una roba un po’ complicata da spiegare” ma che, insomma, più o meno consiste nel fatto che il ricco nord non ha più voglia di sprecare il proprio denaro per il sud povero.
Chiaro, no?