sabato 25 agosto 2007
CHIOSARE DE RITA (God bless the blog!)
Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera e la Pustetto per il suo blog
Giuseppe De Rita, padre della sociologia italiana e di otto figli, lavora anche in vacanza. Ad esempio considera che Courmayeur non sia cambiata molto, da quando costruì questa casa con vista sul Bianco nel 1961.
«Ora però è sbarcato Berlusconi. A novembre si elegge il sindaco, e lui vuole vincere. Ma gli manca la comunità calabrese, qui fortissima. Ora ha portato ad Arcore 31 di loro, che rivendicheranno l'appartenenza al Cavaliere per la vita. Berlusconi continua a essere il politico che più assomiglia agli italiani, così come sono diventati (genius loci?)».
Come sono diventati?
«Incomprensibili (più che incomprensibili direi ondeggianti e quindi non catalogabili) La società è sempre più sparpagliata. Spezzettata. È una mutazione che non so spiegare. Dieci anni fa avrei parlato di neoborghesia, venti o trent'anni fa di sommerso o di postmodernità. Quella di oggi è una società a coriandoli. Non la si può studiare se non antropologicamente. Bisognerebbe valutare l'impatto dei mezzi di comunicazione, nuovi e vecchi, che hanno imposto nuovi modelli, stili e modalità di consumo, anche politico. Detto da me, da un sociologo (teoricamente collega), è come se mi tagliassi i coglioni».
Non è detto. Tenti un'analisi antropologica. Parliamo di persone. Prodi sta ricominciando a sentire il paese? O no?
«L'ultimo Prodi per me è un mistero. E' solo vittima della sua avidità. Ha voluto assolutamente fare il premier (non c'erano alternative , d'altra parte) senza valutare che gliela avrebbero fatta pagare. Diciamo che in questo momento ha perso il controllo del suo ego. Nei tanti anni in cui abbiamo fatto vita parallela, girando l'Italia per ricerche, convegni, associazioni industriali, Romano appariva il più capace ad afferrare le situazioni. Arrivava a Courmayeur, e in due giorni capiva cosa stava accadendo e sapeva spiegarlo. Ora quel suo talento da rabdomante l'ha perso. Forse la sua esperienza — l'Iri, Palazzo Chigi, Bruxelles, ancora Palazzo Chigi — l'ha allontanato dalla realtà italiana Ricordo il periodo in cui era fissato con il Giappone. Diceva in tutti i convegni che da lì stava arrivando la rivoluzione tecnologica e culturale... C'è ancora in lui una sorta di monomaniacalità che si sostanzia nel non volere ammettere mai i propri errori. Forse è entrato nella logica per cui conta soltanto durare. Galleggiare. Fare una dichiarazione oggi, precisarla domani, riformularla dopodomani; tanto alla fine nessuno gliene chiederà conto. Ritiene che se non è stato capito è colpa degli altri che sono fondalmentamente ottusi.Nella sua furbizia contadina, che è la sua dimensione intima, cavalca l'onda; pronto a scenderne per salire su quella successiva. Potrebbe ancora dire, come faceva trent'anni fa con Andreotti, "noi tecnici". Perché cavalcare le onde significa non guidare i processi politici. Sono in molti a farlo, da tutte le parti. E accade quando il concetto di potere diventa troppo pervasivo.
Veltroni può essere un'alternativa?
«Veltroni è un animale molto diverso da Prodi. È attentissimo all'immagine (non che Prodi non lo sia). Il futuro di Veltroni dipende da quanto si farà logorare nei prossimi due mesi, in cui tutti cercheranno di indebolirlo attraverso il consumo mediatico. Ma lui si nutre dei media, è impossibile che lo logorino, sono l'alimento con cui quieta il piacere di essere. Se vince questo passaggio, può anche superare quel filo d'ansia che lo condiziona come sindaco di Roma, questo bisogno di essere rassicurato, di ripetere che Roma è grande, bella, ricca. Allora potrebbe fare molto meglio di quanto si pensa. Deve però imparare a fidarsi, in questo momento è strutturalmente troppo accentratore, e quindi solo.».
Anche andare a Palazzo Chigi?
«Se la situazione precipita e Prodi cade, il centrosinistra — e non solo — farà di tutto per non votare subito; altrimenti vince Berlusconi. Potrebbe nascere un governo istituzionale. Altrimenti toccherà a Veltroni. Ma se Walter a Natale fosse a Palazzo Chigi, farebbe in modo di votare nel 2008. Così sarebbe ancora Prodi, non lui, a perdere, e si guadagnerebbe altri cinque anni di leadership. Se invece Veltroni governa un anno e mezzo e si vota nel 2009, allora rischia di più; perché a perdere sarebbe lui, non Prodi». Esattamente così. Però c'è la variabile centro destra che potrebbe mettere in campo un premier nuovo di zecca. A quel punto la strada di Veltroni si dissesterebbe e presenterebbe temibili insidie messe a punto dagli esclusi dal suo cenacolo.
È così scontato il ritorno di Berlusconi?
«Berlusconi è l'erede della Dc andreottiana e dorotea. Anche di loro dicevamo: non sono nessuno, finiranno tutti in galera, ma questo Rumor chi è? Ne attendevamo il crollo da un momento all'altro. Invece, non fosse stato per Tangentopoli, ci avrebbero seppelliti tutti». Vedo più craxismo che diccismo con notevoli capacità di rigenerazione sotto nuove inaspettate spoglie.
Casini non ha chance di ricostruire il centro?
«Pur appartenendo per natura a quell'area, non credo sia possibile ristrutturarla. Casini può essere bravo finché si vuole, ma se non ci sono le condizioni la bravura non basta. C'è troppa gente: l'Udc, l'Udeur, Di Pietro, Pezzotta con il Family Day; e poi le varie Dc, una proprietaria del simbolo, l'altra del motto, l'altra del nome... Se io, prestigioso signorotto della sociologia, chiamassi tutti attorno a un tavolo, verrebbero il giorno dopo. Ma non andremmo da nessuna parte. Perché l'asse moderato è Berlusconi». Tout simplement, Casini non ha carisma. Carino, puntuale, ma noioso. Tremendamente noioso e anche vagamente flemmatico. No verve, no politique.
Chi dopo di lui? Tremonti?
«Sono un grande ammiratore di Tremonti, che per me è l'equivalente di Amato. Considero Giuliano il migliore della nostra generazione: il più bravo, il più intelligente, il più colto, il più sensibile. Però gli è sempre mancato qualcosa. Non la capacità mediatica, visto che dai giornali è molto stimato. Forse la simpatia, la popolarità. Non a caso gli fu preferito Rutelli. Temo che per Tremonti sia la stessa cosa: bravo, intelligente, colto. Ma non simpatico». Si si si, sono assolutamente d'accordo! Al posto di Prodi avrebbe dovuto esserci Amato...indimenticabile il suo palleggiare con la racchetta da tennis in Tv! Tremonti è troppo anglosassone, internazionale, per andare bene in un paese come il nostro dove il gene latino è un segno di riconoscimento anche per i leghisti.
Di Rutelli che sarà?
«Dipende da come finisce la lotteria delle primarie, che in realtà saranno un congresso democristiano, un gioco delle tessere. Rutelli avrà spazio solo se l'asse tra le truppe di Bettini e quelle di Fioroni non prenderà tutto». Anche lui è flemmatico. Potrebbe giocare a carte con Casini in una situzione molto confortevole (bene in barca, meglio se a motore). Sorseggiare vino bianco al tramonto. Troppo vittima degli agi. O lui o Veltroni. Non c'è storia.
E D'Alema?
«D'Alema è in mano a voi. Si trova a un punto cruciale della carriera e della vita. È uno che ha preso una botta in testa, che ha fatto o farà mezzo passo indietro, e non vuole altro che scorra il tempo, senza essere coinvolto in fatti politici. Ma se qualche giornale, o qualche giudice, dovesse riproporre la questione Unipol, D'Alema sarebbe in grave difficoltà. È apparso debole, fragile. In tv l'ho visto difendersi con una faccia livida che non è la sua. Ha bisogno che gli lascino, che gli lasciate tempo per riprendere la sua forza psichica, la sua faccia di padroneggiamento ». Ha perso la sua forza psichica? Passi indietro?
La situazione è così grave?
«Forse no. A meno che emergano notizie clamorose: tipo la reale destinazione dei 50 milioni di euro espatriati da Consorte e Sposetti. Ma quelli fanno i Greganti e stanno zitti. Il vero errore di D'Alema e Fassino è stato non richiamarli all'ordine, come avevano fatto Napolitano e Chiaromonte, mandati a Bologna dal partito a fermare Galletti, il presidente della Lega cooperative, che voleva trasformare in una holding industriale comprando aziende siderurgiche. Era un uomo molto intelligente, andava in bici con Prodi. Si dimise. Poco dopo morì d'infarto ». Non son tempi in cui si possano vedere le reali destinazioni. La nebbia è stabile. Meglio così.
E Fassino?
«Farà meno fatica di D'Alema, anche perché è meno coinvolto. Ripartirà dal basso, da Torino. Piero è un fondista. Se non ci fosse stato lui non ci sarebbe il partito democratico; e questo non glielo perdonerò mai». Però è sull'orlo, o lo è stato, di una crisi di nervi. Più volte voleva mollare tutto....
Alle primarie ci saranno altri candidati: Bindi e Letta.
«Due mondi democristiani, due personalità così diverse che sembrano studiate apposta per una disputa elettorale di profilo basso, appunto congressuale. Lui, tecnocrate, silenzioso, andreattiano, molto Arel. Lei, esternalizzata, aggressiva. Ognuno rappresenta un frammento di identità, una piccola (piccolissina, e in questo momento irrilevante) appartenenza. Mi dà solo dieci righe da sociologo? ». Dài!
Prego.
«Le primarie non smentiscono ma confermano la fine dei tre grandi meccanismi di condensazione. Assistiamo alla fine della rappresentanza: non è in crisi solo il Parlamento ma anche sindacati e associazioni di categorie, dalla Confartigianato alla Coldiretti. Alla fine delle identità, ridotte a brandelli: cosa resta dell'identità socialista? E di quella popolare? Un comunista oggi dovrebbe ritrovarsi in Bertinotti, o in Diliberto, o in Mussi, o in Angius, o ancora in D'Alema? I missini dovrebbero appoggiarsi a Storace? Poi c'è la fine delle appartenenze, con alcune eccezioni. Resistono l'appartenenza massonica (in vesti molto complesse. Oggi basta che un gruppetto di potenti si accordi e si parla di massoneria. No, non è esattamente così. Sono gruppetti di potere che si aggregano e che si sciolgono su obiettivi precisi. Per questo sono invisibili e incontrollabili. E da non sottovalutare), intesa non come il Grande Oriente, ma come cordate e carriere. Quella localistica (esattamente così!). Quella corporativa (perfetto!!!). E quella cattolico-ecclesiale, la sola non particolarista ma globale ». CL e la Compagnia delle Opere sarebbero l'esempio perfetto.
Non le sembra però che alla Chiesa italiana manchi Ruini? Che cosa pensa del suo successore, Bagnasco?
«Un grande personaggio come Ruini era destinato a lasciare un vuoto. Bagnasco personaggio non era, e l'hanno scelto proprio perché non volevano un altro uomo forte; altrimenti capo dei vescovi sarebbe diventato Scola. Si è adottata una logica policentrica, che è la più pericolosa. Sul caso di don Gelmini e dei preti torinesi accusati di pedofilia, Ruini non sarebbe rimasto in silenzio. Ma è una logica inevitabile, con un Papa che scrive libri e dà l'idea di aver deciso di non comandare. Anche se Bertone avrebbe la tentazione di farlo... (ce l'ha, ce l'ha....)».
Ratzinger non vuole comandare?
«Ratzinger si muove nella dimensione di ritmi lunghi. Nei primi due anni di pontificato ha scritto cose bellissime, come la prima parte della prima enciclica, di straordinaria intelligenza e spiritualmente emozionante. Però, pur essendo uomo di Curia, la Curia non gli interessa. Non ha una concezione piramidale del potere, a differenza di Wojtyla il cui pontificato fu una cavalcata personale nel mondo. Ratzinger non imponeva le sue idee neppure da prefetto della fede. Da Papa, ha scritto un libro su Gesù e l'ha affidato alla critica; infatti alcuni l'hanno trovato bello e altri brutto. La Chiesa non crede più alla verticalizzazione del potere. Gli ultimi a crederci sono rimasti i politici. Che alla fine non combinano niente». Come non condividere? Il rischio è che proprio a causa di questa sua superiorità morale Ratzinger lasci troppo spazio ai suoi uomini di apparato. E ritorniamo inesorabilmente alla politica.
Giuseppe De Rita, padre della sociologia italiana e di otto figli, lavora anche in vacanza. Ad esempio considera che Courmayeur non sia cambiata molto, da quando costruì questa casa con vista sul Bianco nel 1961.
«Ora però è sbarcato Berlusconi. A novembre si elegge il sindaco, e lui vuole vincere. Ma gli manca la comunità calabrese, qui fortissima. Ora ha portato ad Arcore 31 di loro, che rivendicheranno l'appartenenza al Cavaliere per la vita. Berlusconi continua a essere il politico che più assomiglia agli italiani, così come sono diventati (genius loci?)».
Come sono diventati?
«Incomprensibili (più che incomprensibili direi ondeggianti e quindi non catalogabili) La società è sempre più sparpagliata. Spezzettata. È una mutazione che non so spiegare. Dieci anni fa avrei parlato di neoborghesia, venti o trent'anni fa di sommerso o di postmodernità. Quella di oggi è una società a coriandoli. Non la si può studiare se non antropologicamente. Bisognerebbe valutare l'impatto dei mezzi di comunicazione, nuovi e vecchi, che hanno imposto nuovi modelli, stili e modalità di consumo, anche politico. Detto da me, da un sociologo (teoricamente collega), è come se mi tagliassi i coglioni».
Non è detto. Tenti un'analisi antropologica. Parliamo di persone. Prodi sta ricominciando a sentire il paese? O no?
«L'ultimo Prodi per me è un mistero. E' solo vittima della sua avidità. Ha voluto assolutamente fare il premier (non c'erano alternative , d'altra parte) senza valutare che gliela avrebbero fatta pagare. Diciamo che in questo momento ha perso il controllo del suo ego. Nei tanti anni in cui abbiamo fatto vita parallela, girando l'Italia per ricerche, convegni, associazioni industriali, Romano appariva il più capace ad afferrare le situazioni. Arrivava a Courmayeur, e in due giorni capiva cosa stava accadendo e sapeva spiegarlo. Ora quel suo talento da rabdomante l'ha perso. Forse la sua esperienza — l'Iri, Palazzo Chigi, Bruxelles, ancora Palazzo Chigi — l'ha allontanato dalla realtà italiana Ricordo il periodo in cui era fissato con il Giappone. Diceva in tutti i convegni che da lì stava arrivando la rivoluzione tecnologica e culturale... C'è ancora in lui una sorta di monomaniacalità che si sostanzia nel non volere ammettere mai i propri errori. Forse è entrato nella logica per cui conta soltanto durare. Galleggiare. Fare una dichiarazione oggi, precisarla domani, riformularla dopodomani; tanto alla fine nessuno gliene chiederà conto. Ritiene che se non è stato capito è colpa degli altri che sono fondalmentamente ottusi.Nella sua furbizia contadina, che è la sua dimensione intima, cavalca l'onda; pronto a scenderne per salire su quella successiva. Potrebbe ancora dire, come faceva trent'anni fa con Andreotti, "noi tecnici". Perché cavalcare le onde significa non guidare i processi politici. Sono in molti a farlo, da tutte le parti. E accade quando il concetto di potere diventa troppo pervasivo.
Veltroni può essere un'alternativa?
«Veltroni è un animale molto diverso da Prodi. È attentissimo all'immagine (non che Prodi non lo sia). Il futuro di Veltroni dipende da quanto si farà logorare nei prossimi due mesi, in cui tutti cercheranno di indebolirlo attraverso il consumo mediatico. Ma lui si nutre dei media, è impossibile che lo logorino, sono l'alimento con cui quieta il piacere di essere. Se vince questo passaggio, può anche superare quel filo d'ansia che lo condiziona come sindaco di Roma, questo bisogno di essere rassicurato, di ripetere che Roma è grande, bella, ricca. Allora potrebbe fare molto meglio di quanto si pensa. Deve però imparare a fidarsi, in questo momento è strutturalmente troppo accentratore, e quindi solo.».
Anche andare a Palazzo Chigi?
«Se la situazione precipita e Prodi cade, il centrosinistra — e non solo — farà di tutto per non votare subito; altrimenti vince Berlusconi. Potrebbe nascere un governo istituzionale. Altrimenti toccherà a Veltroni. Ma se Walter a Natale fosse a Palazzo Chigi, farebbe in modo di votare nel 2008. Così sarebbe ancora Prodi, non lui, a perdere, e si guadagnerebbe altri cinque anni di leadership. Se invece Veltroni governa un anno e mezzo e si vota nel 2009, allora rischia di più; perché a perdere sarebbe lui, non Prodi». Esattamente così. Però c'è la variabile centro destra che potrebbe mettere in campo un premier nuovo di zecca. A quel punto la strada di Veltroni si dissesterebbe e presenterebbe temibili insidie messe a punto dagli esclusi dal suo cenacolo.
È così scontato il ritorno di Berlusconi?
«Berlusconi è l'erede della Dc andreottiana e dorotea. Anche di loro dicevamo: non sono nessuno, finiranno tutti in galera, ma questo Rumor chi è? Ne attendevamo il crollo da un momento all'altro. Invece, non fosse stato per Tangentopoli, ci avrebbero seppelliti tutti». Vedo più craxismo che diccismo con notevoli capacità di rigenerazione sotto nuove inaspettate spoglie.
Casini non ha chance di ricostruire il centro?
«Pur appartenendo per natura a quell'area, non credo sia possibile ristrutturarla. Casini può essere bravo finché si vuole, ma se non ci sono le condizioni la bravura non basta. C'è troppa gente: l'Udc, l'Udeur, Di Pietro, Pezzotta con il Family Day; e poi le varie Dc, una proprietaria del simbolo, l'altra del motto, l'altra del nome... Se io, prestigioso signorotto della sociologia, chiamassi tutti attorno a un tavolo, verrebbero il giorno dopo. Ma non andremmo da nessuna parte. Perché l'asse moderato è Berlusconi». Tout simplement, Casini non ha carisma. Carino, puntuale, ma noioso. Tremendamente noioso e anche vagamente flemmatico. No verve, no politique.
Chi dopo di lui? Tremonti?
«Sono un grande ammiratore di Tremonti, che per me è l'equivalente di Amato. Considero Giuliano il migliore della nostra generazione: il più bravo, il più intelligente, il più colto, il più sensibile. Però gli è sempre mancato qualcosa. Non la capacità mediatica, visto che dai giornali è molto stimato. Forse la simpatia, la popolarità. Non a caso gli fu preferito Rutelli. Temo che per Tremonti sia la stessa cosa: bravo, intelligente, colto. Ma non simpatico». Si si si, sono assolutamente d'accordo! Al posto di Prodi avrebbe dovuto esserci Amato...indimenticabile il suo palleggiare con la racchetta da tennis in Tv! Tremonti è troppo anglosassone, internazionale, per andare bene in un paese come il nostro dove il gene latino è un segno di riconoscimento anche per i leghisti.
Di Rutelli che sarà?
«Dipende da come finisce la lotteria delle primarie, che in realtà saranno un congresso democristiano, un gioco delle tessere. Rutelli avrà spazio solo se l'asse tra le truppe di Bettini e quelle di Fioroni non prenderà tutto». Anche lui è flemmatico. Potrebbe giocare a carte con Casini in una situzione molto confortevole (bene in barca, meglio se a motore). Sorseggiare vino bianco al tramonto. Troppo vittima degli agi. O lui o Veltroni. Non c'è storia.
E D'Alema?
«D'Alema è in mano a voi. Si trova a un punto cruciale della carriera e della vita. È uno che ha preso una botta in testa, che ha fatto o farà mezzo passo indietro, e non vuole altro che scorra il tempo, senza essere coinvolto in fatti politici. Ma se qualche giornale, o qualche giudice, dovesse riproporre la questione Unipol, D'Alema sarebbe in grave difficoltà. È apparso debole, fragile. In tv l'ho visto difendersi con una faccia livida che non è la sua. Ha bisogno che gli lascino, che gli lasciate tempo per riprendere la sua forza psichica, la sua faccia di padroneggiamento ». Ha perso la sua forza psichica? Passi indietro?
La situazione è così grave?
«Forse no. A meno che emergano notizie clamorose: tipo la reale destinazione dei 50 milioni di euro espatriati da Consorte e Sposetti. Ma quelli fanno i Greganti e stanno zitti. Il vero errore di D'Alema e Fassino è stato non richiamarli all'ordine, come avevano fatto Napolitano e Chiaromonte, mandati a Bologna dal partito a fermare Galletti, il presidente della Lega cooperative, che voleva trasformare in una holding industriale comprando aziende siderurgiche. Era un uomo molto intelligente, andava in bici con Prodi. Si dimise. Poco dopo morì d'infarto ». Non son tempi in cui si possano vedere le reali destinazioni. La nebbia è stabile. Meglio così.
E Fassino?
«Farà meno fatica di D'Alema, anche perché è meno coinvolto. Ripartirà dal basso, da Torino. Piero è un fondista. Se non ci fosse stato lui non ci sarebbe il partito democratico; e questo non glielo perdonerò mai». Però è sull'orlo, o lo è stato, di una crisi di nervi. Più volte voleva mollare tutto....
Alle primarie ci saranno altri candidati: Bindi e Letta.
«Due mondi democristiani, due personalità così diverse che sembrano studiate apposta per una disputa elettorale di profilo basso, appunto congressuale. Lui, tecnocrate, silenzioso, andreattiano, molto Arel. Lei, esternalizzata, aggressiva. Ognuno rappresenta un frammento di identità, una piccola (piccolissina, e in questo momento irrilevante) appartenenza. Mi dà solo dieci righe da sociologo? ». Dài!
Prego.
«Le primarie non smentiscono ma confermano la fine dei tre grandi meccanismi di condensazione. Assistiamo alla fine della rappresentanza: non è in crisi solo il Parlamento ma anche sindacati e associazioni di categorie, dalla Confartigianato alla Coldiretti. Alla fine delle identità, ridotte a brandelli: cosa resta dell'identità socialista? E di quella popolare? Un comunista oggi dovrebbe ritrovarsi in Bertinotti, o in Diliberto, o in Mussi, o in Angius, o ancora in D'Alema? I missini dovrebbero appoggiarsi a Storace? Poi c'è la fine delle appartenenze, con alcune eccezioni. Resistono l'appartenenza massonica (in vesti molto complesse. Oggi basta che un gruppetto di potenti si accordi e si parla di massoneria. No, non è esattamente così. Sono gruppetti di potere che si aggregano e che si sciolgono su obiettivi precisi. Per questo sono invisibili e incontrollabili. E da non sottovalutare), intesa non come il Grande Oriente, ma come cordate e carriere. Quella localistica (esattamente così!). Quella corporativa (perfetto!!!). E quella cattolico-ecclesiale, la sola non particolarista ma globale ». CL e la Compagnia delle Opere sarebbero l'esempio perfetto.
Non le sembra però che alla Chiesa italiana manchi Ruini? Che cosa pensa del suo successore, Bagnasco?
«Un grande personaggio come Ruini era destinato a lasciare un vuoto. Bagnasco personaggio non era, e l'hanno scelto proprio perché non volevano un altro uomo forte; altrimenti capo dei vescovi sarebbe diventato Scola. Si è adottata una logica policentrica, che è la più pericolosa. Sul caso di don Gelmini e dei preti torinesi accusati di pedofilia, Ruini non sarebbe rimasto in silenzio. Ma è una logica inevitabile, con un Papa che scrive libri e dà l'idea di aver deciso di non comandare. Anche se Bertone avrebbe la tentazione di farlo... (ce l'ha, ce l'ha....)».
Ratzinger non vuole comandare?
«Ratzinger si muove nella dimensione di ritmi lunghi. Nei primi due anni di pontificato ha scritto cose bellissime, come la prima parte della prima enciclica, di straordinaria intelligenza e spiritualmente emozionante. Però, pur essendo uomo di Curia, la Curia non gli interessa. Non ha una concezione piramidale del potere, a differenza di Wojtyla il cui pontificato fu una cavalcata personale nel mondo. Ratzinger non imponeva le sue idee neppure da prefetto della fede. Da Papa, ha scritto un libro su Gesù e l'ha affidato alla critica; infatti alcuni l'hanno trovato bello e altri brutto. La Chiesa non crede più alla verticalizzazione del potere. Gli ultimi a crederci sono rimasti i politici. Che alla fine non combinano niente». Come non condividere? Il rischio è che proprio a causa di questa sua superiorità morale Ratzinger lasci troppo spazio ai suoi uomini di apparato. E ritorniamo inesorabilmente alla politica.
LUCA DI MONTEZEMOLO "THE BOY"
Ha salutato i colleghi di Confindustria di tutta Italia con strepitosi comizi. In un confronto alla pari (ops!) con DabliuVì è matematico che vincerebbe (parola di una donna accorta). E anche in un confronto non alla pari.
Quindi, mentre i "ragazzi" si divertono potrebbe essere il momento di confezionare un anti PD nuovo di zecca (si fa per dire, in politica nulla è nuovo). Ci sarebbe qualcuno disposto a sostenere che LdC non è "nuovo" o che non è "giovane"? E tra i due, se proprio vogliamo, chi è il più nuovo? Che cosa faceva il dorato LdC mentre DW distribuiva l'Unità o organizzava picchettaggi (come me) nella sede della Fgci con Massimo e l'Annunziata (omen....) ? Ci scommetto che faceva qualcosa, per quel tempo, certamente nuovo. Per esempio, come dW (come gli piacerebbe avere una d minuscola!), si occupava di comunicazione (come me). Però, non quella di partito (come me), e la differenza non è poca.
Bè, confesso un desiderio: un dibattito televisivo tra i due. Da un lato una tonellata di charme e dall'altra una tonellata di "valori" un po' stinti, molto trasteverini. Niente gobbo invisibile per entrambi. Tutto a braccio.
Kennedy e Nixon? Archeologia.
Aspetto una mossa che rientrerebbe nel Dabliupensiero: una cantante/attrice (Ferilli? Mannoia?) che canta HappyBirthday durante la convention del Pd (i conti tornano come date e sperando ovviamente che dopo tre mesi non le venga o non le facciano venire un colpo!)
E un'altra (Scarlett? Stone?) che canta la stessa cosa per un new boy della politica con l'intensità di chi vorrebbe infilarsi nel suo letto e che non sa che cosa sia bandiera rossa.
Che sfida! Quanti cuori infranti! E che manna per chi fa il mio lavoro! E che pacchia per Berlusconi e le sue ragazze sulle ginocchia!!!!!!
Quindi, mentre i "ragazzi" si divertono potrebbe essere il momento di confezionare un anti PD nuovo di zecca (si fa per dire, in politica nulla è nuovo). Ci sarebbe qualcuno disposto a sostenere che LdC non è "nuovo" o che non è "giovane"? E tra i due, se proprio vogliamo, chi è il più nuovo? Che cosa faceva il dorato LdC mentre DW distribuiva l'Unità o organizzava picchettaggi (come me) nella sede della Fgci con Massimo e l'Annunziata (omen....) ? Ci scommetto che faceva qualcosa, per quel tempo, certamente nuovo. Per esempio, come dW (come gli piacerebbe avere una d minuscola!), si occupava di comunicazione (come me). Però, non quella di partito (come me), e la differenza non è poca.
Bè, confesso un desiderio: un dibattito televisivo tra i due. Da un lato una tonellata di charme e dall'altra una tonellata di "valori" un po' stinti, molto trasteverini. Niente gobbo invisibile per entrambi. Tutto a braccio.
Kennedy e Nixon? Archeologia.
Aspetto una mossa che rientrerebbe nel Dabliupensiero: una cantante/attrice (Ferilli? Mannoia?) che canta HappyBirthday durante la convention del Pd (i conti tornano come date e sperando ovviamente che dopo tre mesi non le venga o non le facciano venire un colpo!)
E un'altra (Scarlett? Stone?) che canta la stessa cosa per un new boy della politica con l'intensità di chi vorrebbe infilarsi nel suo letto e che non sa che cosa sia bandiera rossa.
Che sfida! Quanti cuori infranti! E che manna per chi fa il mio lavoro! E che pacchia per Berlusconi e le sue ragazze sulle ginocchia!!!!!!
venerdì 24 agosto 2007
LUCHINO E WALTER
Non c'è dubbio che il più grande desiderio di wV sia quello di avere nella sua lista della "società civile" Luca di Montezemolo. Non credo che questo sogno si possa realizzare a meno che....
giovedì 23 agosto 2007
CHI VOTA COSA
Nella regioni, in TUTTE le regioni, è in atto un gioco al massacro tra Ds, Dl, Ds e Dl, Dl e Ds, per stabilire chi avrà l'onore di rappresentare (e votare) DabliuVì. Facciano attenzione gli altri, i lettiani e bindiani per intenderci, la vendetta contro di loro potrebbe essere fredda ma durissima nel momento in cui DV diventerà leader maximo (aha! aha! aha!).
Questo è il risultato della mancanza di controllo del territorio impossibile, ahinoi!, quando si vorrebbe creare un partito seminuovo composto da due anime (comunisti e democristiani) storicamente contrapposte e non ancora sufficientemente coese (in termini di potere). La sensazione (più che giustificata) tra i "margheriti" è che non si tratti altro se non di una Cosa 3 a cui devono aderire se vogliono evitare la loro scomparsa o la definitiva connotazione di cespugli. I diesse, d'altra parte, hanno bisogno estremo dei loro sedicenti "alleati" per attestarsi su numeri decorosi che consentano alla loro nomenclatura (Max Ikarus in primis, ma non solo) di mantenere e rafforzare le posizioni acquisite in anni di duro potere.
I "locali" dovrebbero quindi accordarsi bene tra loro (DS/DL), e creare un gancio produttivo con Roma, prima di correre per competizioni al termine delle quali potrebbero scatenarsi freddissime vendette.
A meno che, evidenza già considerata qualche post fa, i contendenti attuali (DV, RB e EL) non si accordino saggiamente a priori (lasciando al territorio la consumazione di ogni possibile attentato) evitatando così quel regolamento di conti che non gioverebbe a un partito nascenti.
A suo tempo Berlusconi aveva in mano una rete solidissima e fedelissima di agenti sul territorio (Fininvest) e l'operazione Forza Italia era stata (assieme a qualche altro migliaio di circostanze favorevoli) relativamente semplice.
DabliuVì in questo caso controlla ben poco e le antiche federazioni Pci/PDS/DS hanno superato i limiti di età e, in ogni caso, hanno perso potere ad esclusione delle aree dove invece il loro potere è consolidato da intrecci economici importanti.
Ancor meno brillante il potere contrattuale dei margheriti privi di leaders rivolti alle masse, espressione sinistrosa che semplifica la debolezza di Rutelli (apparente o reale è indifferente ai fini di questo ragionamento) e dei suoi accoliti suddivisi in rivoli tanti quanti sono i partiti e le correnti dei partiti dal quali provengono.
Karl Rove (ritornato a pieno titolo all'attività di consulente, cosa che gli consentirà, alle prossime elezioni, di avere mani ben più libere nella gestione dei candidati) in questo momento starebbe certamente davanti a una carta geografica e pianterebbe bandierine azzurre e rosse sui diversi stati.
C'è da scommetterci che qualche Rove nostrano stia facendo la stessa operazione scoprendo però di avere a che fare con un territorio (il nostro Paese) non controllabile e, in questa fase, tutt'altro che sotto controllo. La carta che DabliuVì può a questo punto giocare, appunto per riprendere almeno in parte questo controllo), è quella della sua amata società civile che equivale a tutto quel mondo scicchissimo e Roma oriented che adora avere un leader di riferimento che ne sà di cinema, di cultura e di spettacolo.
Our Rove, sta quindi dribblando certamente il problema dei partiti in gara (orrore!!!!), immaginando in ogni regione e/o circoscrizione, un gruppo di intelligenti che faccia da traino e quindi, pescando a destra e a manca, faccia da sintesi tra le anime in lotta. E' il principio, pari pari, delle liste civiche utilizzate proprio per superare i ceffi che si accoltellano nelle segreterie di partito e attribuire onorificenze (intellettualmente parlando) nei ben più gradevoli salotti e circoli culturali così amati proprio da DabliuVì che un sorso di tè non lo negherebbe a nessuno.
Lo scenario che si potrebbe prefigurare è quindi questo: da una parte i disgraziati diessini e diellini che si accoltelano per un posto al sole ma che mobilitano le loro truppe nella loro bramosia di miserevole fama, e dall'altra i "veri" dabliuvissiani, imprenditori, scrittori, giornalisti, parolai e via via tutto quel mondo charmant che adora i poveri e tollera i ricchi.
Punto debole. Votare significa aderire. Quanti di questi tizi saranno disposti a trovarsi in tasca una tessera che potrebbe diventare un serio limite nel momento in cui - è nelle cose - dabliuvì e amici fossero messi in sonno dagli elettori? Si può immaginare (e il nostro Rove lo sta certamente pensando), che più di una tessera sarà una specie di carta di credito gold o platinum oppure una specie di Feltrinelli Più; ma sarà sufficiente a intenerire il cuore dello società civile che poi, diciamolo chiaro, negli intendimenti dei Nostri è quella che da destra passa a sinistra ( o al centro o quello che vogliamo, dipende sempre dal punto di osservazione)? Dare la Gold PD Card a chi già freme per averla non è un risultato. Quante saranno le new entries, che sono il vero valore aggiunto che rincorre Dabliuvì?
venerdì 17 agosto 2007
L'immagine
Un premio nobel è stata scambiata per una vagabonda, King non è stato riconosciuto mentre firmava i suoi libri, il ciondolo di Berlusconi lo ha reso un grezzone, Bindi si è dimenticata di far fare l'orlo ai pantaloni. Che estate!
SPOT
Sta andando in onda sulle reti televisive uno spot che parla di Venezia e dei valori della famiglia. Sarebbe il caso di spiegare a quale prodotto si riferisca. Da studiare.
giovedì 9 agosto 2007
DONNE DA BUTTARE
Please, date un'occhiata alla pagina pubblicitaria, qui a fianco, apparsa sui maggiori rotocalchi italiani. Osservate bene il claim, l'immagine, il nome del committente. Nel caso in cui non si capisse bene, spiego.
Il committente è l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e il Consorzio Nazionale Lotterie (che fa capo al Ministero dell'Economia e della Finanza). L'agenzia che ha realizzato la campagna è Young Rubicam.
L'obiettivo è la promozione del Gratta e Vinci "MegaMiliardario" e, non casualmente, il testo che si legge è Tenta la fortuna al MegaMiliardario, il Gratta e Vinci che ti fa vincere fino a 1.000.000 di euro.
Noi sappiamo che, grossolanalmente, si può dire che un milione di euro equivale più o meno a due miliardi di vecchie lire. Il che significa, per i creativi della Y&R, che vincendo questa cifra si diventa megamilardari e infatti troviamo un testo che recita esattamente così:
Vincere al Magamilardario.
Il sistema più semplice per arricchirsi.
Senza sacrifici.
E qui, anche chi moralista o bacchettone non è, potrebbe aprire un bel dibattito che vaga dal buon gusto e che arriva fino al relativismo etico.
In mezzo ci sono tutta una serie di valutazioni strettamente connesse alla comunicazione in generale e alla sua funzione in particolare. Ma lasciamo perdere anche questo, sia pur a malincuore (ci torneremo, altrochè ci torneremo!), e passiamo all'immagine che supporta questi sublimi testi.
L'obiettivo della Y&R (che tra l'altro potrebbe sostenere che si tratta di un messaggio ironico, conosco il genere) è quello di visualizzare il concetto di megamiliardario o, meglio, di quella che è la vita di uno (una) che dispone di un ragionevole gruzzolo ottenuto senza sacrifici e con una semplice grattatina. Prego, osservate bene questa foto e il contesto che circonda i protagonisti.
Che dire dello sfondo? Un caminetto, stucchi, specchi e una poltrona su un tappeto con le frangie spelacchiate. Potrebbe essere la stanza di un albergo con troppe pretese, più facilmente quella di una casa dove è appena approdato, senza sacrificio, un miliardo tondo tondo di euro.
Ma il messaggio forte è lasciato ai due personaggi. Qui non c'è dettaglio che possa essere lasciato al caso. C'è una vecchia "lei", una specie di Patti Pravo tra trent'anni, che indossa una mise en soie bordata di finto ermellino con collana e bracciali di perle (of course), lungo bocchino (!). Decoltè attempato, gambe cellulitiche, pelle nobotox, capelli sfibrati e scarmigliati. Una vera principessa di bordello che ha agguantato (grazie alla grattatina?) un giovanotto che (ironicamente? Mah!) sta alle sue spalle vestito - en pendant - all'Upim dalla testa i piedi. Si presume - malignità delle malignità -, che i due si trovino in una camera da letto piuttosto kitsch.
La domanda da porsi, così, per puro diletto, è: chi dei due si è arricchito senza sacrifici?
Se è il lui, aleggia il vago sospetto di una certa perversione se, invece di rimorchiare una potenziale valletta, si è messo in camicia di rayon per l'amica di sua nonna. Se invece è lei ad essersi l'arricchita nel sistema più semplice, il messaggio è che questo le ha dato la possibilità di portarsi a casa (o in albergo e comunque in una stanza con un camino con i relativi attrezzi decisamente sottodimensionati e certamente in offerta alla Lidl) un prestante giovinotto.
Qui, occupandomi di comunicazione, potrei aprire un altro dibattito sul target ma, per decenza, glisso.
Comunque sia, non c'è niente ma niente di divertente ed io, come donna, mi sono sentita e mi sento profondamente offesa.
Il committente è l'Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato e il Consorzio Nazionale Lotterie (che fa capo al Ministero dell'Economia e della Finanza). L'agenzia che ha realizzato la campagna è Young Rubicam.
L'obiettivo è la promozione del Gratta e Vinci "MegaMiliardario" e, non casualmente, il testo che si legge è Tenta la fortuna al MegaMiliardario, il Gratta e Vinci che ti fa vincere fino a 1.000.000 di euro.
Noi sappiamo che, grossolanalmente, si può dire che un milione di euro equivale più o meno a due miliardi di vecchie lire. Il che significa, per i creativi della Y&R, che vincendo questa cifra si diventa megamilardari e infatti troviamo un testo che recita esattamente così:
Vincere al Magamilardario.
Il sistema più semplice per arricchirsi.
Senza sacrifici.
E qui, anche chi moralista o bacchettone non è, potrebbe aprire un bel dibattito che vaga dal buon gusto e che arriva fino al relativismo etico.
In mezzo ci sono tutta una serie di valutazioni strettamente connesse alla comunicazione in generale e alla sua funzione in particolare. Ma lasciamo perdere anche questo, sia pur a malincuore (ci torneremo, altrochè ci torneremo!), e passiamo all'immagine che supporta questi sublimi testi.
L'obiettivo della Y&R (che tra l'altro potrebbe sostenere che si tratta di un messaggio ironico, conosco il genere) è quello di visualizzare il concetto di megamiliardario o, meglio, di quella che è la vita di uno (una) che dispone di un ragionevole gruzzolo ottenuto senza sacrifici e con una semplice grattatina. Prego, osservate bene questa foto e il contesto che circonda i protagonisti.
Che dire dello sfondo? Un caminetto, stucchi, specchi e una poltrona su un tappeto con le frangie spelacchiate. Potrebbe essere la stanza di un albergo con troppe pretese, più facilmente quella di una casa dove è appena approdato, senza sacrificio, un miliardo tondo tondo di euro.
Ma il messaggio forte è lasciato ai due personaggi. Qui non c'è dettaglio che possa essere lasciato al caso. C'è una vecchia "lei", una specie di Patti Pravo tra trent'anni, che indossa una mise en soie bordata di finto ermellino con collana e bracciali di perle (of course), lungo bocchino (!). Decoltè attempato, gambe cellulitiche, pelle nobotox, capelli sfibrati e scarmigliati. Una vera principessa di bordello che ha agguantato (grazie alla grattatina?) un giovanotto che (ironicamente? Mah!) sta alle sue spalle vestito - en pendant - all'Upim dalla testa i piedi. Si presume - malignità delle malignità -, che i due si trovino in una camera da letto piuttosto kitsch.
La domanda da porsi, così, per puro diletto, è: chi dei due si è arricchito senza sacrifici?
Se è il lui, aleggia il vago sospetto di una certa perversione se, invece di rimorchiare una potenziale valletta, si è messo in camicia di rayon per l'amica di sua nonna. Se invece è lei ad essersi l'arricchita nel sistema più semplice, il messaggio è che questo le ha dato la possibilità di portarsi a casa (o in albergo e comunque in una stanza con un camino con i relativi attrezzi decisamente sottodimensionati e certamente in offerta alla Lidl) un prestante giovinotto.
Qui, occupandomi di comunicazione, potrei aprire un altro dibattito sul target ma, per decenza, glisso.
Comunque sia, non c'è niente ma niente di divertente ed io, come donna, mi sono sentita e mi sento profondamente offesa.
mercoledì 8 agosto 2007
DABLIUVI' & BETTINI
Il Karl Rove italiano si chiama Goffredo Bettini ed è "the brain" di DabliuVì. E' potente come il suo omologo washingtoniano ma, mentre l'Americano dispone di una rete fittissima di relazioni in tutti gli stati d'America, il Nostro esercita il suo potere essenzialmente su Roma e, forse, i dintorni. Và da sè che questo è un limite enorme per chi vuole conquistarsi un "seggio" che richiede una mobilitazione che và ben oltre il Tevere e l'Aniene. Che i due abbiano intrecciato rapporti e alleanze con l'industria e la finanza è ovvio, ma il problema sta nel fatto che manca all'appello tutto quel mondo produttivo che con Roma non ha o non vuole avere a che fare. La sindrome di Roma caput mundi è piuttosto rischiosa e impone l'individuazione di tanti omologhi sul territorio tante quante sono le "circoscrizioni" di queste primarie all'arrabbiata. Ma gli omologhi, e i Due dovrebbero ben saperlo, sono pericolosissimi perchè, giunti in prossimità del soglio, potrebbero rivendicare dei diritti oppure semplicemente abbattere quella che vedono come una nomenclatura che si comtrappone alle loro velleità.
Ma l'"operazione primarie" presenta dei punti debolissimi che certamente il Cervello conosce e che sono essenzialmente, primo fra tutti, la mancanza di meccanismi reali di controllo.
Così, come si è messa, si potrebbe immaginare che - se il bug delle primarie di estende - di qui a qualche anno in Italia potrebbero andare a votare (come in America) solo gli iscritti (volontari) alle liste elettorali.
Il chè, tutto sommato, non sarebbe male. Quanto meno avremmo il piacere di sapere finalmente da che parte un individuo sta. E gli imprenditori, il mondo della finanza e via via tutti quelli che vogliamo, inizierebbero - così come accade negli States e come accade già anche dalle nostre parti (il nostro Rove lo sà?) - a finanziare entrambi gli schieramenti. E che vinca il migliore.
Ma è proprio questo meccanismo, qui sintetizzato in maniera estrema, che da anni anima il dibattito della politica americana e della relativa opinione pubblica che delle primarie ne farebbe volentieri a meno e che proprio alla farragionosità di questo sistema attribuisce, ad esempio, la scarsissima partecipazione al voto.
In una fase di transizione come quella attuale l'operazione all'italiana potrebbe però funzionare almeno per il tempo necessario a mettersi i galloni di premier. Poi, sarà quel che sarà.
L'esodio a Torino è stato giustificato con la necessità di affrontare da subito la questione settentrionale (l'area geografica dove i Due non dispongono di un controllo capillare del territorio e i loro sodali non sono sempre affidabili come sembra...) ma c'è anche una questione meridionale aperta (D'Alema al sud dispone di una straordinaria rete di relazioni). Ciò che Goffredo deve quindi fare è di costruire, e in breve tempo, un network di fedelissimi disseminati dal nord al sud e che garantiscano quell'en plein senza il quale questa manovra avrebbe ben poco senso. E qui entrano in gioco i diellini che, in alcune zone, possono risultare estremamente utili alla causa. Rutelli permettendo. Rutelli permetterà? Certamente! ma non senza una firma di garanzia che il Cervello deve cercare di estorcere anche a Bindi che, dalla sua, avrà il mondo della mestizia e della devozione al quale, nonostante il suo ecumenismo DabliuVì non è ancora approdato a meno che... a meno che Bindi non sia già (come dovrebbe essere se le pedine sono state mosse con la necessaria perizia) uno degli elementi del gioco complessivo che ha per obiettivo il premierato di DabliuVì. Che sarà però qualcosa di più, qualcosa che ancora (almeno nel nostro paese) non conosciamo almeno in termini di immagine e di gestione del potere.
Quello che in questo momento certamente sta facendo il Cervello è individuare i possibili avversari (i dopo Berlusconi, per intenderci) e cooptarli nel Nuovo partito. Questa è la parte più sensibile del suo lavoro per svolgere il quale deve però entrare nell'ottica di idee che Roma non è caput mundi ma quasi. E sul questo "quasi" bisogna ragionare.
Ma l'"operazione primarie" presenta dei punti debolissimi che certamente il Cervello conosce e che sono essenzialmente, primo fra tutti, la mancanza di meccanismi reali di controllo.
Così, come si è messa, si potrebbe immaginare che - se il bug delle primarie di estende - di qui a qualche anno in Italia potrebbero andare a votare (come in America) solo gli iscritti (volontari) alle liste elettorali.
Il chè, tutto sommato, non sarebbe male. Quanto meno avremmo il piacere di sapere finalmente da che parte un individuo sta. E gli imprenditori, il mondo della finanza e via via tutti quelli che vogliamo, inizierebbero - così come accade negli States e come accade già anche dalle nostre parti (il nostro Rove lo sà?) - a finanziare entrambi gli schieramenti. E che vinca il migliore.
Ma è proprio questo meccanismo, qui sintetizzato in maniera estrema, che da anni anima il dibattito della politica americana e della relativa opinione pubblica che delle primarie ne farebbe volentieri a meno e che proprio alla farragionosità di questo sistema attribuisce, ad esempio, la scarsissima partecipazione al voto.
In una fase di transizione come quella attuale l'operazione all'italiana potrebbe però funzionare almeno per il tempo necessario a mettersi i galloni di premier. Poi, sarà quel che sarà.
L'esodio a Torino è stato giustificato con la necessità di affrontare da subito la questione settentrionale (l'area geografica dove i Due non dispongono di un controllo capillare del territorio e i loro sodali non sono sempre affidabili come sembra...) ma c'è anche una questione meridionale aperta (D'Alema al sud dispone di una straordinaria rete di relazioni). Ciò che Goffredo deve quindi fare è di costruire, e in breve tempo, un network di fedelissimi disseminati dal nord al sud e che garantiscano quell'en plein senza il quale questa manovra avrebbe ben poco senso. E qui entrano in gioco i diellini che, in alcune zone, possono risultare estremamente utili alla causa. Rutelli permettendo. Rutelli permetterà? Certamente! ma non senza una firma di garanzia che il Cervello deve cercare di estorcere anche a Bindi che, dalla sua, avrà il mondo della mestizia e della devozione al quale, nonostante il suo ecumenismo DabliuVì non è ancora approdato a meno che... a meno che Bindi non sia già (come dovrebbe essere se le pedine sono state mosse con la necessaria perizia) uno degli elementi del gioco complessivo che ha per obiettivo il premierato di DabliuVì. Che sarà però qualcosa di più, qualcosa che ancora (almeno nel nostro paese) non conosciamo almeno in termini di immagine e di gestione del potere.
Quello che in questo momento certamente sta facendo il Cervello è individuare i possibili avversari (i dopo Berlusconi, per intenderci) e cooptarli nel Nuovo partito. Questa è la parte più sensibile del suo lavoro per svolgere il quale deve però entrare nell'ottica di idee che Roma non è caput mundi ma quasi. E sul questo "quasi" bisogna ragionare.
mercoledì 1 agosto 2007
DabliuV
Essendo ormai chiaro a tutti che l'operazione PD serve a sostituire la sigla DS (attraverso una poco ingegnosa partnership politica) c'è da chiedersi perchè non si sia proceduto con una tranquilla operazione di marketing politico evitando la sceneggiata delle primarie (e soprattutto delle candidature!) e tutto il resto. Ma davvero DabliuV ha avuto bisogno di tutto questo armeggiare? Oppure, piu' verosimilmente, allontanare Prodi è talmente complicato - data la natura dell'uomo - da richiedere un raggiro nazionale di queste proporzioni?
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