venerdì 19 settembre 2008

GAZEBOCRAZIA


Festivalieri compulsivi, organizzatori di eventi, allestitori di ogni ordine e grado, piazzisti culturali, enogastronomici e politici molto au courant unitevi contro chi, come me, intende mobilitarsi e mobilitare affinché il vostro mestiere venga definitivamente costretto alle ferree leggi del savoir vivre.

Nel vostro fianco si sta conficcando l’aureo pennino della mia Mont Blanc edizione limitata che non vi darà pace sino a quando non casserete dalle vostre manifestazioni quei ricoveri posticci impropriamente definiti gazebos (ingle.) o, orrore!, tensostrutture (it.).

Qualcuno - i neofusi di FI e An ne tengano conto -, sfoderi una legge ad meam personam e faccia svanire d’imperio quella moltitudine di chioschi, tali sono, sotto i quali la più raffinata delle esperienze viene degradata ad acqua gym collettiva in condizioni di bassa marea sulla battigia della sola spiaggia libera di Riccione.

L’intervento dovrebbe essere così repentino da far sospendere per mancanza di coperture tutte le manifestazioni presenti e future la cui somma finalità è, sempre e comunque, l’incremento delle vendite di prodotti commestibili, leggibili ed eleggibili. Và da sé che nel novero rientrano i festival culturali e culinari che raggiungono la massima abiezione nel momento in cui tendono a fondere, sotto pergole in pvc, le due vocazioni inducendo le folli folle a degustare contemporaneamente salame e saperi riproposti come goût du jour.

Fermo restando l’imperscrutabile fascino di una wienerschnitzel mangiata su una panca in mezzo alla strada e senza tovaglia o di un bicchiere di plastica pieno di vino che sgorga da una imprecisata damigiana per non parlare dei sottaceti esposti alle intemperie o dei fritti che in condizioni di buonsenso non si ingurgiterebbero nemmeno sotto tortura, mi chiedo perché uomini di scienza, letteratura e cultura si lascino ingazebare accettando di confrontarsi con degli emeriti sconosciuti convenzionalmente rubricati in quell’ampio spettro sociale chiamato “pubblico”. Al di là dell’ego, che induce a cose ben più biasimevoli, consola il pensiero che i permanent guests delle pagode sul selciato se ne tornano a casa con un discreto cachè o, mal che vada, con qualche decina di libri venduti cosa che, in un paese dove le librerie entusiasmano meno della Gelmini, è per gli autori stessi e le loro case editrici un discreto successo anche economico.

Saranno letti quei libri acquistati sotto un gazebo che ribolle di cultura come un minestrone e dopo essersi messi in fila per ottenere l’agognata dedica? Mah!

La mia opinione di presidente autonominata dell’Associazione mondiale contro i gazebo e i relativi contenuti enogastroculturali modulari e polifunzionali è che questi altro non siano se non dei centri commerciali provvisori a cielo semi aperto dove si contrabbanda il nulla appagandosi di balbettii culturali plastificati. Eppure, i gazebo dei famosi impazzano al largo dei nostri marciapiedi e non c’è villaggio o cittadina o strada che non rivendichi il proprio diritto a discettare e trangugiare e chi più ne ha più ne metta. Per adesioni rivolgersi a me.