lunedì 30 novembre 2009

Il VECCHIO TUPAMARO VINCE IN URUGUAY



Josè Mujica, 74 anni, secondo gli exit poll, ha vinto con più del 50 per cento le elezioni presidenziali che si sono svolte Uruguay. Mujica, del Centre Left Board Fronte, aveva partecipato nel 1960 e nel 1970 tra i guerriglieri tupamaros alle rivolte contro i governi eletti democraticamente, è stato in carcere per 14 anni. Il presidente sconfitto Luis Lacalle del Centre Right National Party ha riconosciuto la sconfitta.
Mujica è stato supportato, durante la campagna elettorale, dal presidente del Brasile Inacio Lula da Silva, per dimostrare di non voler collocarsi su posizioni di estrema sinistra come quella del venezuelano Hugo Chavez. Il nuovo presidente assumerà la carica il 1 marzo prossimo e la manterrà per cinque anni. Luis Lacalle ha comunque dichiarato che l’ex guerrigliero Mujica governerà su posizioni ben più radicali di quelle che ha tentato di far passare durante la campagna elettorale. Mujica ha dichiarato invece di voler continuare sulle orme del presidente uscente Tabare Vazques, il primo leader socialista che, in base alla costituzione in vigore, non ha potuto ricandidarsi per un ulteriore mandato.


Uno degli spot elettorali del Presidente eletto

GUINEA, HONDURAS, NAMIBIA: PREVISIONI SUI RISULTATI





GUINEA EQUATORIALE

Teodoro Obiang Nguema ha vinto le elezioni presidenziali con il 96,7 per cento dei voti nelle elezioni che si sono svolte ieri. L’annuncio è stato dato oggi dal governo, anche se i risultati definitivi e ufficiali si sapranno il 7 dicembre prossimo. La notizia è stata data dopo lo scrutinio di un quarto dei seggi. Circa 290 mila elettori si sono recati ai 1.300 seggi che sono rimasti aperti dalle 7.30 alle 18. Nella capitale Malabo le forze di sicurezza hanno presidiato i seggi e, per ordine delle autorità, è stata vietata la circolazione delle auto e il consumo di alcol dalle 6 di domenica alle 6 di oggi. Obiang, candidato del PDGE, che è in carica dal 1989, è stato così riconfermato per i prossimi 7 anni senza alcuna sorpresa per gli analisti politici che avevano registrato la scarsa credibilità degli avversari nonché il divieto di accedere alle elezioni da parte della stampa internazionale.


HONDURAS
I primi risultati ufficiali delle elezioni presidenziali che si sono svolte ieri in Honduras vedono in testa il candidato Porfirio Lobo del National Party con il 56 per cento sul 60 per cento dei voti scrutinati. Le autorità hanno comunicato che oltre il 60 per cento degli elettori registrati si sono recati alle urne e questa è considerata una vittoria dei leader in carica ad interim, per i quali un’ampia affluenza alle urne era particolarmente importante per legittimare il voto agli occhi del mondo. A fronte di queste affermazioni, alla chiusura dei seggi, ieri sera, il presidente deposto Zelaya ha dichiarato di disporre di dati dai quali risulta che nei 1.400 seggi c’è stata un’astensione superiore al 65 per cento. “In quanto presidente dell’Honduras – ha detto parlando alla radio dall’ambasciata del Brasile dove è rifugiato -, dichiaro queste elezioni illegittime e l’astensione è una chiara sconfitta per il regime in carica”. L’esercito non ha mai lasciato le strade da quando i soldati hanno prelevato Zalaya dal suo letto, la mattina del 28 giugno scorso e costretto, sotto la minaccia delle armi, all’esilio.

Da allora il governo insediatosi ha sospeso le libertà civili, costretto al silenzio la stampa avversaria e mandato l’esercito sulle strade per contrastare gli oppositori.

La crisi politica aveva avuto inizio quando Zelaya aveva tentato di far passare un referendum che gli avrebbe consentito di ampliare i tempi della sua permanenza in carica.

Gli Stati Uniti hanno dichiarato che riconosceranno il risultato elettorale, ma molti paesi dell’America Latina, il Brasile in testa, non intendono riconoscere il governo che ha preso il potere con un colpo di stato.


NAMIBIA

Quattro partiti dell’opposizione avversari al partito di sinistra al potere, lo Swapo Party, al governo da quando la Namibia si è resa indipendente dal Sud Africa, hanno denunciato ieri pesanti irregolarità nel voto durante i due giorni (27/28 dicembre) in cui si sono tenute le elezioni presidenziali e parlamentari.

Una prima parte dei risultati ufficiali dovrebbe essere resa pubblica nella giornata di oggi.

Il partito d’opposizione, il Rally for Democracy and Progress (RDP), ha denunciato che alcune schede sono state alterate con timbri falsi rendendole invalidi e che l’inchiostro utilizzato per identificare gli elettori è stato in alcuni casi cancellato consentendo così alle persone di votare due volte.

Tre altri partiti, il Democratic Turnhalle Alliance, il Republican Party della Namibia e il South West Africa National Union hanno anch’essi denunciato pesanti irregolarità.

1 milione 200 mila elettori della Namibia hanno votato per eleggere 72 membri del parlamento.

Dati ufficiosi dei primi seggi scrutinati assegnano al Swapo Party (South West Africa People’s Organisation) 3.455 voti, al National Unity Democratic Organisation of Namibia 1.715 e al Rally for Democracy and Progress 1.291.

Gli exit poll condotti dalla stampa locale dicono che il Swapo ha vinto per un ulteriore mandato di cinque anni con un ampio margine sull’avversario RDP.

La campagna elettorale dei partiti della Namibia, collocata tra la forte economia del Sud Africa e l’Angola, paese produttore di petrolio, è stata incentrata sulla necessità di migliorare i servizi sanitari e il sistema scolastico in un momento in cui si registra un aumento della povertà e una significativa disoccupazione a causa della crisi economica internazionale.

domenica 29 novembre 2009

LA GUINEA EQUATORIALE VOTA (RICONFERMA) OGGI IL SUO PRESIDENTE


Oggi si vota per le presidenziali anche nella Guinea Equatoriale, il terzo maggior paese africano produttore di petrolio dopo la Nigeria e l’Angola ed ex colonia spagnola. A contendersi l’incarico sono cinque candidati tra cui il presidente in carica Teodoro Obiang Nguema, 67 anni, che ha dichiarato di aspettarsi non meno del 97 per cento dei voti.
I seggi si sono aperti stamattina alle 8 e chiuderanno alle 18 ora locale. Il candidato del Partito Democratico della Guinea Equatoriale (PDGE) Obiang, che è al potere da trent’anni, aveva vinto le elezioni nel dicembre del 2002 con il 97,1 dei voti.
Gli altri tre candidati sono Placido Minko Abogo della Convergenza per la Democrazia Sociale (CPDS), Carmelo Mla Bacale dell’Azione Popolare per la Guinea Equatoriale, Archivaldo Montero dell’Unione del Popolo e Bonaventura Monsuy Asumu della Coalizione del Partito Socialdemocratico. I due principali contendenti sono il presidente in carica e Minko Abogo ma ci si aspetta un’altra larga vittoria del primo.
Obiang aveva preso il potere nell’ottobre del 1979 destituendo con un colpo di stato il leader Francisco Macias Nguema diventando capo di Stato e comandante in capo delle Forze Armate. Nel 1982 era stato eletto presidente con un mandato di sette anni. Nel 1986 ha fondato il Partito Democratico della Guinea Equatoriale (PDGE) e nel 1988 ne è diventato presidente.
Obiang era stato poi eletto nel 1989, 1996 e nel 2002, ogni volta con una percentuale superiore al 90 per cento.
Obiang è stato a lungo denunciato dalle associazioni internazionali di non rispetto dei diritti umani.
Minko Abogo è l’unico parlamentare del CPDS. Il suo partito aveva vinto uno dei 100 seggi nelle elezioni politiche del 2008 mentre tutti gli altri sono dei membri del PDGE e dei suoi alleati.
La Guinea Equatoriale, ricca di petrolio e di gas naturale, ha una popolazione di 600 mila abitanti: la parte principale del suo territorio confina con il Cameron e il Gabon e la restante è un’isola dove si trova la capitale del Paese, Malabo. E’ in paese dove scorrono fiumi di petrodollari, violenze e dove la povertà continua ad uccidere. Molte compagnie del settore energetico del mondo hanno però importanti interessi nel paese come gli Stati Uniti, la Germania, la Spagna e il Portogallo. Le compagnie americane producono nella Guinea Equatoriale 250 mila barili di petrolio al giorno e il governo sta trattando con la tedesca E.ON AG per lo sviluppo delle fondi di gas naturale.
I paesi occidentali sono accusati, da più parti, di non voler vedere la corruzione e la repressione che dominano in quel territorio, tra questi l’Unione Europea e gli Stati Uniti. In una lista di 180 nazioni del mondo, la Guinea Equatoriale è il 12 posto per quanto riguarda la corruzione.
La compagnia americana Exxon Mobil è stata la prima a scoprire il petrolio nella Guinea Equatoriale nel 1994 e sono proprio le compagnie americane a dominare ancora l’industria energetica, anche se si trovano di fronte a una crescente concorrenza. Nonostante questa ricchezza il 60 per cento della popolazione della Guinea Equatoriale combatte per sopravvivere con meno di 1 dollaro il giorno. La mortalità infantile continua a crescere e un terzo dei bambini non conclude le scuole elementari. Solamente il 30-40 per cento della popolazione può accedere ad acqua potabile e all’elettricità.
Obiang e suo figlio Teodorin sono stati indagati per i loro conti multimiliardari in Francia e negli Stati Uniti, ma non sono stati trovati elementi certi di accusa.
I risultati definitivi e ufficiali delle elezioni di oggi saranno disponibili entro una settimana.

Ecco un video satirico su Obiang e le sue relazioni con i potenti del mondo

HONDURAS: COME IL GOVERNO AMERICANO GUARDA ALLE ELEZIONI DI OGGI

sabato 28 novembre 2009

IN ROMANIA NOSTALGIA DEL REGIME COMUNISTA


I romeni torneranno al voto il 6 dicembre dopo che nessun candidato ha raggiunto la maggioranza dei voti al primo turno delle elezioni presidenziali il 22 novembre scorso. Si confronteranno il presidente in carica Traian Baescu del centrodestra, e l’ex ministro degli esteri, il socialdemocratico Mirecea Geoana. La disoccupazione e la grave situazione economica hanno pesantemente condizionato la campagna elettorale. Gli elettori, il 22 novembre, hanno anche votato un emendamento costituzionale per abolire il Senato e portare i deputati da 471 a 300.
I risultati completi si avranno dopo il 6 dicembre.
I risultati del primo turno, in cui hanno votato il 54 per cento degli aventi diritto, vedono il presidente in carica leggermente in vantaggio sull’avversario. Il conservatore Crin Antonescu, che guida il partito Liberale, è arrivato terzo con circa il 20 per cento dei voti. I Liberali e il partito Socialdemocratico di Geoana hanno siglato, in questi giorni, un accordo per dar vita a un governo di coalizione.
La situazione economica della Romania, che da metà ottobre è priva di Governo, è particolarmente grave anche perché – come ho precisato nel post che parla del primo turno elettorale -, il Fondo Monetario Internazionale ha bloccato 1,2 miliardi di euro a causa dell’incertezza economica e politica che domina nel Paese.
I cinque anni del governo Basescu sono stati descritti dalla stampa romena come fallimentari e queste elezioni sono considerate le più importanti dopo quelle del 1989.
I risultati di un sondaggio dell’Istituto nazionale di ricerche, svolto meno di due settimane prima delle elezioni, dicono che metà degli intervistati hanno risposto che la situazione attuale è peggiore rispetto a vent’anni fa (quando è caduto il regime comunista di Nicolae Ceausescu), e il 40 per cento che la propria situazione personale è più difficile. Il crollo del potere d’acquisto, l’incertezza sul pagamento delle pensioni e i numerosi scioperi di questi giorni sono alla base della scelta di molti romeni di lasciare il paese sino a quando la situazione non migliorerà. Meno di due settimane fa una ricerca internazionale sulla percezione della corruzione ha collocato la Romania all’ultimo posto tra i 27 paesi europei e dimostrato che gli interventi anti corruzione sono stati abbandonati nel corso dell’ultimo anno. La ricerca ha anche dimostrato che il sistema giudiziario si è dimostrato particolarmente inefficiente nel combattere il crimine organizzato e i gruppi di interesse. Molti romeni hanno inoltre dichiarato che il solo modo per risolvere problemi con la pubblica amministrazione è quello di ricorrere del pagamento sottobanco. Il sondaggio dell’Istituto di ricerche (Bureau of Social Research) dice anche che il 70 per cento degli intervistati ritiene “bassa” la moralità dei politici attuali, mentre il 56 per cento sostiene che durante il regime comunista i politici erano più rispettosi dei cittadini rispetto ad oggi. Considerato questo contesto, la campagna elettorale è concentrata ovviamente in gran parte sul problema della “questione morale”, argomento che gli elettori ritengono però sia trattato per puri motivi elettorali. Circa 20 anni fa, subito dopo la rivoluzione, gli analisti politici sostenevano che: “I romeni avranno bisogno di 20 anni per capire che cosa sia la vera democrazia”. Allora, molti erano scettici, ma oggi questo punto di vista è considerato ottimistico.

Un video di satira politica contro Baescu

IN GIORDANIA IL RE SCIOGLIE IL PARLAMENTO


Il re di Giordania ABDULLAH II ha sciolto il parlamento a due anni dal termine della sua naturale legislatura (4 anni) dando mandato di organizzare nuove elezioni entro quattro mesi. Re Abdullah ha anche chiesto di procedere alla riforma della legge elettorale che prevede che i candidati partecipino alla competizione su base nazionale. Attualmente i candidati corrono in collegi uninominali che, a detta dei critici della legge elettorale in vigore, consentono di tutelare solo interessi locali e "tribali".

Questa è la seconda volta che il re ordina al Governo di emendare l’attuale legge elettorale in base alla quale i parlamentari delle aree urbane rappresentano fino a 90 mila persone, mentre quelli delle aree rurali rappresentano non più di 2 o 3 mila elettori. Ciò facilita la riduzione di rappresentanza delle aree urbane, tradizionalmente più islamiche.

Il Re non ha motivato la scelta di sciogliere il parlamento, ma è certo che negli ultimi mesi la stampa giordana aveva fortemente criticato la legge attuale alla quale è stata attribuita la colpa dell'inefficienza dei parlamentari e della relativa corruzione nonché accusato il parlamento di ignorare i problemi principali del Paese come la disoccupazione e la povertà

venerdì 27 novembre 2009

LA SVIZZERA AL REFERENDUM PER BANDIRE I MINARETI


Lo spot televisivo che invita a boicottare i prodotti svizzeri

Domenica 29 novembre la Svizzera deciderà, attraverso un referendum, se mettere al bando o meno i minareti. In Svizzera vivono circa 400 mila musulmani, il 5 per cento della popolazione. La gran parte proviene dalle regioni balcaniche del Kosovo, Albania e Bosnia e non praticano la religione musulmana. Delle circa 150 moschee o case di preghiera islamiche presenti sul territorio svizzero solamente 4 hanno il loro minareto. I leaders del Partito Popolare Svizzero, formazione politica di destra, sostengono che i quattro minareti sono l’inizio di una deriva islamica che porterebbe all’applicazione delle leggi della sharia, ai delitti d’onore, l’oppressione delle donne e la lapidazione.
E’ la prima volta che un paese europeo si esprimerà, di fatto, sull’Islam e sulla sua religione. Da più parti il referendum, promosso dal Partito Popolare (SVP), è stato tacciato come razzista e visto come una violazione dei diritti umani. “Il minareto non ha niente a che fare con la religione – ha detto Ulrich Schluer del SVP – mentre è un simbolo di un potere politico e il preludio all’introduzione delle leggi della sharia”.
L’SVP due anni fa è diventato il più forte partito svizzero proponendosi con un programma contro l’immigrazione e utilizzando una comunicazione che gli attivisti dei diritti umani avevano bollato di razzismo. Anche la propaganda utilizzata per questo referendum è stata durissima e da questa hanno preso le distanze la chiesa, la comunità ebraica e i leader musulmani. Esponenti del governo hanno paventato il rischio che un referendum di questo tipo possa trasformare la Svizzera in “un obiettivo del terrorismo islamico”. Alla posizione conservatrice anti emigranti hanno però aderito anche dei vecchi militanti della sinistra e dei liberali fortemente critici nei confronti dell’Islam.
I sondaggi dicono che il movimento anti minareti perderà al referendum, ma che una significativa minoranza – circa un terzo degli elettori -, potrebbe sostenere la loro abolizione e che i loro ranghi si stanno implementando in vicinanza del voto. Gli elettori svizzeri saranno chiamati a dirsi d’accordo o meno con l’affermazione: “La costruzione dei minareti è vietata” in base all’articolo 72 della Costituzione.
Il governo svizzero e i maggiori partiti hanno raccomandato di votare NO in quanto una eventuale vittoria dei promotori del referendum metterebbe a rischio il processo di integrazione tra religioni.

Per approfondire:


http://www.youtube.com/watch?v=HeeZ-_3R83c

http://www.youtube.com/watch?v=8i_ZlYSLetc

http://www.youtube.com/watch?v=4gRLE7pgdxY

mercoledì 25 novembre 2009

IN URUGUAY IL CANDIDATO FAVORITO E' UN EX TUPAMARO



Domenica prossima 29 novembre gli uruguaiani voteranno al ballottaggio il loro prossimo capo dello stato (in un post precedente è stato delineato lo scenario politico di quel paese). Il 25 ottobre, al primo turno, Mujca era arrivato al primo posto con 47,96 per cento dei voti seguito da Lacalle con il 29,07 per cento. Nelle elezioni politiche l’EP-FA (Progressive Encunter- Broad Front) si è assicurato 50 seggi alla camera bassa e 16 alla camera alta seguito dal PN-B (National Party-Whites) con 31 deputati e 9 senatori. Luis Lacalle che è stato già presidente con il partito d’opposizione del PN-B, si è detto fiducioso che gli elettori voteranno con scrupolo ponderando la loro scelta. Josè Mujica, ex ribelle tupamaro, dell’ EP-FA potrebbe diventare il prossimo capo di Stato (l'investitura avrebbe luogo nel marzo 2010) stando ai sondaggi che gli attribuiscono il 50 per cento dei voti staccato di dieci punti dall’avversario Lacalle. I sondaggi indicano in 10 per cento la percentuale degli indecisi. Tabarè Vazquez, indicato dal EP-FA, aveva vinto le elezioni nel 2004 diventando il primo presidente degll’Uraguay a governare con il supporto di una coalizione di sinistra. Velazquez non si è potuto ricandidare perché la costituzione non prevede un mandato consecutivo.

Polling Data

If the presidential run-off took place this Sunday, which candidate would you vote for?


Nov. 15

Nov. 1

José Mujica (EP-FA)

50%

49%

Luis Lacalle (PN-B)

40%

42%

Blank ballot / Undecided

10%

9%

Source: Factum
Methodology: Interviews with 968 Uruguayan adults, conducted on Nov. 14 and Nov. 15, 2009. Margin of error is 3.2 per cent.

L'HONDURAS VOTA IN UNA SITUAZIONE DRAMMATICA


Per capire l’atmosfera che si respira in Honduras dove si voterà per le elezioni politiche, amministrative e presidenziali domenica prossima 29 novembre, basta leggere la dichiarazione del portavoce della polizia in cui dice che da lunedì è entrato in vigore il divieto di portare armi in pubblico: “A ogni persona che sarà trovata con armi addosso – ha detto -, queste saranno confiscate e il possessore sarà punito a norma di legge”. Il divieto resterà in vigore sino all’inizio di Dicembre quando i risultati delle elezioni saranno ufficiali. L’Honduras è chiamato a scegliere il capo dello Stato, 128 deputati per il Congresso, 20 deputati del Parlamento dell’America Centrale e 289 sindaci di altrettante cittadine.

Il presidente Manuel Zelaya deposto con un colpo di stato, ha chiesto alle autorità internazionali di non riconoscere queste elezioni. Zelaya si trova ancora all’interno dell’ambasciata brasiliana nella capitale dell’Honduras, Tegucigalpa, dopo essere ritornato di nascosto nel proprio paese lo scorso mese di settembre. Mentre la disoccupazione e la criminalità aumentano e le scuole sono ancora sospese, le controverse elezioni di domenica prossima indicano il livello di crisi politica che sta vivendo il paese del centro america dallo scorso giugno. La campagna elettorale si è chiusa oggi 25 novembre e la domanda che ancora ci si pone in Honduras e all’estero è: se le elezioni saranno riconosciute come legali da pochi paesi, che cosa succederà? “Se non andiamo a votare – ha detto il candidato Porfirio “Pepe” Lobo -, che alternativa abbiamo?”

“Si tratta di una situazione molto complessa – ha detto Pepe ai reporter – perché nessuno può impedire alla popolazione di esercitare il diritto di voto”. Lobo, 61 anni, è un potente proprietario terriero, presidente del Congresso, componente del National Party e i sondaggi lo danno ampiamente vincente. E’ un politico di lunga data e nel 2005 si era candidato, perdendo, alla carica di Presidente. Oggi i sondaggi lo danno in vantaggio di 15 punti sull’avversario Elvin Santos a capo di una importante società di costruzioni. Lobo è schizzato in testa ai sondaggi dopo il colpo di stato che il 28 giugno ha destituito e costretto all’esilio il presidente Zelaya. Al tempo del colpo di stato Santos si era detto contrario a un compromesso con Zalaya e questo ha favorito Pepe. Zelaya, su posizioni di sinistra, si era alienato i voti della potente borghesia insistendo sulla necessità di un referendum per approvare una nuova costituzione. Il Congresso, la Corte Suprema e lo stesso partito di Zalaya avevano giudicato questa mossa come un tentativo per restare al potere.

Quando Zelaya si è opposto alla sospensione del referendum la Suprema Corte ha ordinato il suo arresto. I militari sono entrati nella casa di Zalaya la mattina del 28 giugno e hanno portato il presidente, in pigiama, in Costarica. Il Vicepresidente di Zalaya, Elvin Santos, aveva rinunciato a correre alla carica di presidente essendo il secondo in linea Roberto Micheletti, capo del Congresso. Per cinque mesi sia Micheletti sia Zelaya avevano annunciato la loro candidatura, Micheletti dal Palazzo presidenziale e Zelaya dall’ambasciata del Brasile dove è rifugiato dallo scorso settembre. Lo scorso mese di ottobre Micheletti e Zalaya avevano tentato di accordarsi per creare un governo di unità nazionale, ma le due controparti non avevano trovato un punto d’incontro. Entrambi ritiratisi dalla competizione il candidato del Liberal Party è rimasto Elvin Santos. Gli altri candidati indipendenti sono Carlos H. Reyesm, Rodolfo Padilla Sunceri, del Liberal Party e sindaco in carica di San Pedro Sula, la seconda città dell’Honduras, Elvia Argentina Valle Villalta, deputata in carica del Liberal Congress, e Margarita Zelaya de Elvir, vice presidente del Liberal Party.

Le elezioni per scegliere il successore erano in programma e i candidati erano stati da tempo selezionati. Ma ora si ritiene che, data la situazione, i risultati potrebbero essere il frutto di un albero avvelenato essendo i sondaggi ben pilotati, di fatto, da un regime illegale. Non sarà facile convincere gli stati stranieri che un piccolo gruppo di persone che hanno destituito il presidente, arrestato migliaia di persone e chiuso ad intermittenza i giornali non allineati, stia gestendo delle elezioni legali che sarebbero utilizzate unicamente per legittimare essi stessi.

Il fallimento dell’accordo tra Zalaya e Micheletti aveva fatto scendere in campo l’assistente del segretario di Stato di Washington che aveva annunciato l’intenzione del suo governo di controllare il corretto svolgimento delle elezioni. Questa dichiarazione aveva indispettivo i sostenitori di Zelaya per i quali l’eventuale riconoscimento dei risultati elettorali da parte di Washintong avrebbe escluso ogni possibilità di ritorno al potere da parte di Zalaya. I suoi sostenitori hanno quindi invitato la popolazione a boicottare le elezioni contestando la scelta di Washington, considerata come un pericoloso appoggio ai golpisti. Il movimento che si è creato attorno a Zalaya contro il colpo di stato, ha fatto una campagna capillare nei 18 dipartimenti del Paese dell’America centrale contro il voto invitando a non votare per nessuno dei cinque candidati. A questo punto non è ancora chiaro sino a che punto il boicottaggio sarà attuato dalla popolazione.

Nel frattempo, sabato scorso il governo ad interim ha dichiarato lo stato di emergenza nazionale e ha richiamato 5 mila militari riservisti in vista del voto di domenica prossima.
L’appoggio alle elezioni da parte degli Usa è stato giustificato dalla necessità di normalizzare le relazioni diplomatiche internazionali dell’Honduras che è un territorio legato a molte corporazioni del nord America che operano soprattutto nei settori della frutticoltura, del tessile e di quello minerario. Nello stesso tempo molti paesi dell’America Latina hanno dichiarato apertamente la loro presa distanza dalla dittatura golpista e quindi dalle elezioni. Questi paesi comprendono l’Argentina, la Bolivia, il Brasile, l’Equador, il Guatemala, il Nicaragua e il Venezuela. Non sarà facile per gli Usa portare questi paesi, solitamente alleati, sulla loro linea. L’Organizzazione degli Stati Americani (OAS), solitamente strumento degli Stati Uniti, ha rifiutato di inviare propri osservatori o di assistere tecnicamente lo svolgimento delle elezioni. Certo è che il governo di Obama si trova, rispetto alla situazione dell’Honduras, in una posizione piuttosto imbarazzante, mentre i supporter del presidente deposto denunciano che in questo modo gli Usa cancellano i cinque mesi di governo golpista. Non solo. L’amministrazione Obama non ha risposto nemmeno a due lettere inviate da Zalaya nonostante lui sia il solo legittimo capo di stato dell’Honduras così come hanno riconosciuto i governi di numerosi paesi del mondo.

LO SPOT DEL CANDIDATO PEPE E DEL NATIONAL PARTY

http://www.youtube.com/watch?v=WIxtFgSIIVY
LO SPOT DELL'AVVERSARIO SANTOS
http://www.youtube.com/watch?v=i3pyBZVjDDA
CHE COSA NE DICE IL PRESIDENTE DEPOSTO ZELAYA
http://www.youtube.com/watch?v=qng9ytk0KMw

martedì 24 novembre 2009

CHE COSA SUCCEDE NELLE FILIPPINE




E’ stato un vero e proprio massacro elettorale l’episodio di violenza che lunedì scorso ha interessato le Filippine. Complessivamente sono state uccise 46 persone, ma il numero è destinato a crescere, tra le quali anche delle donne e alcune di queste con una gravidanza in corso. La strage rientra nel turbolento clima politico che da tempo caratterizza le Filippine dove si voterà il prossimo mese di maggio sia per le elezioni politiche sia per le amministrative. Il massacro ha interessato un convoglio di persone che, partito da Amputuan nella regione del Mindanao, stava andando nella capitale per consegnare la documentazione necessaria per candidare a governatore Ismael Mangudadau, vicesindaco di una cittadina della provincia.

La regione del Mindanao, nel sud delle Filippine, è nota per le violente rivalità politiche facilitate, tra l’altro, anche dalla presenza di guerriglieri comunisti e di estremisti islamici. La brutalità dell’assassinio di massa ha messo in luce come la politica di quel paese sia in mano alle faide armate, ai capifamiglia e ai fuorilegge. Nelle lingua locale il termine “rido” si riferisce alle guerre tra clan famigliari e alle relative vendette. In questo frangente le regole del rido, che si accentua in prossimità delle elezioni, sono cambiate. Normalmente si tratta di uccisioni di una persona alla volta, in cui non vengono coinvolte le donne o i non parenti delle famiglie prese di mira. In questo caso invece sono stati assassinate donne e giornalisti che non appartenevano alle famiglie implicate nel regolamento di conti e che sono gli Amputuan e i Mangudadau.

Un poliziotto che ha assistito al ritrovamento dei corpi ha dichiarato che tutte le vittime sono state uccise con colpi di arma da fuoco a breve distanza, alcune all’interno delle loro auto, altre a piedi. “E’ sotto gli occhi di tutti che le Filippine sono in balia delle regole dei clan e dei guerriglieri e che si tratta di mostri creati dal presidente Gloria Arroyo” ha dichiarato Marites Vitug, redattrice di Newsbreak e autrice di molti libri sul rapporto tra corruzione e politica nel suo Paese. “Il governo delle Filippine è solitamente debole e tutela i clan più pericolosi in cambio del loro supporto. In questo caso i killer sospettati sono i Civilian Volunteers, gruppi di giovani uomini organizzati per aiutare la polizia locale nelle attività anti insurrezione. Questi volontari aiutano la polizia, ma sono gestiti da capifamiglia e guerriglieri. I fondi a disposizione della polizia sono limitati e le famiglie dei clan intervengono anche finanziariamente, in cambio dell’immunità” ha riferito la Vitug. Fonti giornalistiche hanno precisato che entrambi i clan coinvolti nella strage sono alleati della presidente Arroyo. Il capo dello Stato Gloria Macapagal Arroyo ha dichiarato lo stato di emergenza in due province dell’isola di Mindanao.

La regione di Maguindanao, una delle più povere del Paese, è dal 2001 in mano alla famiglia degli Ampatuan che è alleata della Presidente Arroyo. Il consigliere politico della Arroyo ha detto di essersi incontrato con Zaldy Ampatuan, governatore della regione autonoma Muslim Mindanao, dove si trova la provincia di Maguindanao, per tentare di sedare la rivalità tra le famiglie degli Ampatuans e dei Mangudadatus. Come ho detto, le elezioni nelle Filippine si svolgono sempre in un clima violento per la presenza di gruppi armati tra cui ribelli islamici che vogliono conservare la propria identità in un paese prevalentemente cattolico, e guerriglieri politici dotati di eserciti privati. Le ultime elezioni che si sono svolte nel 2007 vengono descritte come pacifiche nonostante siano state uccise 130 persone.

A Manila e a Davau sono scesi in piazza oltre 300 giornalisti con una t shirt bianca e con un nastro nero al braccio con la scritta “Basta uccidere i giornalisti”.

http://www.youtube.com/watch?v=66cQH_Q5Gh4

lunedì 23 novembre 2009

LE ULTIME ELEZIONI DEL MESE DI NOVEMBRE


Il 27 novembre si voterà in Namibia, sud Africa, per l'elezione del presidente della Repubblica e il rinnovo del parlamento.


Il 29 novembre ci saranno le elezioni presidenziali nella Guinea Equatoriale.

Nello stesso giorno in Honduras si svolgeranno le elezioni politiche e quelle presidenziali. Qui la situzione politica è particolarmente delicata in quanto il presidente Zelaya è stato deposto la scorsa estate con un colpo di stato.

LA ROMANIA AL BALLOTTAGGIO IL 6 DICEMBRE


Il presidente in carica Traian Basescu e il suo avversario, il socialista Mircea Geoana, andranno il 6 dicembre al ballottaggio non avendo nessun dei candidati raggiunto la maggioranza assoluta nelle elezioni di domenica scorsa. Il conteggio dei voti non è terminato ma la percentuale scrutinata del 74,14 per cento dimostra che il ballottaggio sarà inevitabile.
Basescu è al primo posto con il 32,84 per cento mentre Geoana è al secondo con il 29,82 per cento in base ai dati diffusi dall'Ufficio centrale elettorale di Bucarest. Uno dei candidati sconfitti nella corsa alla presidenza, il segretario del National Liberal Party (PNL) Crin Antonescu ha annunciato che il suo partito supporterà Geoana al ballottaggio se questi garantirà il posto di primo ministro a Johannis. Basescu ha rifiutato di nominare primo ministro Johannis nonostante il paese si trovi di fatto politicamente bloccato dopo il crollo, lo scorso mese, della non facile "grande coalizione" composta dai socialdemocratici di centrosinistra (PSD) e dai democratici liberali (PD-L) di centrodestra e guidata dal primo ministro Emil Boc (PD-L). I socialdemocratici e i liberali gradirebbero Johannis come successore di Boc ma il presidente, stretto alleato di Boc, ha invece indicato due altri candidati. Se Basescu sarà riconfermato la situazione di immobilità è destinata a continuare e, secondo gli analisti, ci sarà un ulteriore ritardo nell'intervento del Fondo monetario internazionale nel far fronte alla difficile situazione economica del Paese. Le elezioni di domenica si sono svolte in concomitanza a un referendum, voluto da Basescu, per diminuire il numero dei parlamentari (attualmente sono 471) e passare da un sistema bicamerale a uno unicamerale. L'89 per cento degli elettori ha votato contro questa proposta. Le autorità impegnate nel corretto svolgimento delle elezioni hanno ricevuto centinaia di segnalazioni di brogli, compresa la compravendita di voti. Le segnalazioni sono state fatte dai principali partiti, ma anche dalla stampa indipendente e da singoli cittadini.

SI DISCUTE LA LEGGE ELETTORALE IN IRAQ

Il vice presidente iracheno Tariq al-HASHIMI è intervenuto con un emendamento sulla legge elettorale al fine di rinviare le elezioni previste per il prossimo gennaio. La legge elettorale da oltre otto mesi è al centro di un dibattito serrato.
Dal punto di vista della costituzione ognuno dei tre componenti del Transitional Presidency Council deve dare il proprio beneplacito a tutte le leggi. I componenti di questo consiglio vengono eletti dal Consiglio iracheno dei Rappresentanti. Hashimi, che è un arabo sunnita, ha detto che legge non prevede abbastanza posti per gli iracheni all'estero. Mentre il numero esatto di arabi sunniti tra la popolazione non è noto, qualcuno stima che sia predominante. All'inizio della settimana la coalizione curda ha minacciato di boicottare le elezioni sostenendo che il numero di seggi assegnato ai loro rappresentanti non è sufficiente e non tiene conto della realtà. In base alla costituzione il mandato del Consiglio è di quattro anni e le elezioni devono svolgersi 45 giorni prima la data della scadenza.

mercoledì 4 novembre 2009

IL MAINE VOTA CONTRO I MATRIMONI GAY


Nello stato del Maine si è votato martedì 3 novembre sul mantenimento o meno della legge, approvata la scorsa primavera, che autorizzava le unioni gay. La legge è stata bocciata (SI alla sua abolizione) con l’87% dei voti la maggioranza dei quali ottenuti a Portland, la capitale dello Stato. Cinque altri stati hanno legalizzato il matrimonio tra omosessuali (Massachusset, Vermont, New Hampshire, Connecticut e Iowa) attraverso strumenti legislativi tradizionali e non facendo ricorso al referendum. Questa sconfitta nel New England mette in forse le leggi in materia che erano in fase di discussione sia nel New Jersey sia nello stato di New York.


CONTRO IL MANTENIMENTO DELLA LEGGE CHE LEGALIZZA LE UNIONI OMOSESSUALI


A FAVORE DEI MATRIMONI OMOSESSUALI

martedì 3 novembre 2009

OGGI ELEZIONI SUPPLETTIVE IN USA. SI VOTA ANCHE PER IL SINDACO A NYC


(da La Repubblica del 3.11.09)

Ci si aspetta che il Repubblicano Bob McDonnell vinca con facilità in Virginia sullo sfidante democratico Creigh Deeds. Così come, nel New Jersey, che il repubblicano Chris Christie sconfigga il governatore in carica Jon Corzine. Nel caso in cui i candidati democratici fossero sconfitti sarà gioco facile per la Casa Bianca attribuirne la causa a Deeds e Corzine.
Più complesso è il discorso riguardante il Distretto 23° NYC dove lo scorso autunno Obama ha vinto di larga misura e dove adesso i Repubblicani hanno ritirato il loro sostegno a Dede Scozzafava, accusata di essere troppo liberal. Una vittoria del conservatore Doug Hoffman potrebbe essere il segnale di un ritorno dei repubblicani a un reaganismo antigovernativo.

domenica 1 novembre 2009

IL RUOLO STRATEGICO DELLE ELEZIONI NEL 23° DISTRETTO DI NEW YORK. LA CANDIDATA MODERATA DEI REPUBBLICANI ABBANDONA LA CAMPAGNA ELETTORALE.


Martedì si voterà negli Usa anche nel 23° distretto di New York per eleggere il senatore che per un anno (le elezioni di midterm si terranno nel 2010)ricoprirà la carica che è stata, sino allo scorso settembre, di John McHugh nominato da Obama Secretary of the Army. La contesa elettorale del 23° Distretto è particolarmente significativa perchè si tratta di una ex roccaforte repubblicana dove gli elettori lo scorso anno hanno votato in maggioranza Obama. La contesa è significativa per i repubblicani che disporranno degli elementi per capire quale debba essere la loro linea politica dopo la disfatta di Bush jr. Fino a due giorni fa, questa l'anomalia, a contendersi il posto di senatore erano tre candidati: la repubblicana liberal Dede Scozzafava (favorevole tra l'altro all'aborto e ai diritti degli omosessuali), il repubblicano miliardario Doug Hoffman, rappresentante dell'ala più conservatrice del partito, e il democratico Bill Owens. Erano, perchè venerdì scorso la Scozzavara ha sospeso la sua campagna elettorale a causa del manifesto appoggio del partito al suo avversario/collega Hoffman a favore del quale si era pronunciato (come ad esempio la Palin) anche Pete Sessions capo del National Republican Congressional Commitee, appoggio (endorsement) che, in una elezione, significa soprattutto denaro. E' un segnale importante che dice come i Repubblicani, ad oggi, non vogliono adottare una linea troppo liberal ma confermare la strategia che aveva fatto vincere Bush Jr. I risultati delle elezioni supplettive di martedì 3 novembre forniranno sia ai democratici che ai repubblicani delle indicazioni precise sul come e se l'"onda Obama" continua a manifestare i suoi effetti e quali provvedimenti eventualmente adottare. Problema questo particolarmente presente proprio in casa repubblicana.


A sostegno di Hoffman




Lo spot di Doug Hoffman contro Dede Scozzafava




La repubblicana/liberal Dede Scozzafava



I democratici contro il conservatore Hoffman



Uno degli spot di Hoffman



Il democratico Bill Owens